Una riflessione sulla potenza della lettura come gesto di ribellione, sulle relazioni tossiche, sul potere che altri esercitano su di noi e sulla forza rivoluzionaria delle donne della letteratura, che diventano simboli di resistenza, libertà e rinascita
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Madame Bovary, entrata nella cucina, s’accostò al camino. Con la punta di due dita si raccolse la gonna all’altezza del ginocchio e, avendola sollevata fino alle caviglie, tese alla fiamma, sopra un cosciotto d’agnello che girava allo spiedo, il piede calzato di uno stivaletto nero. Il fuoco la rischiarava tutta, penetrando di una luce cruda la trama del vestito, i pori uniformi della pelle bianca e perfino le sue palpebre dal battito frequente. Un baluginio scarlatto le avvolgeva l’intiera figura secondo il capriccio del vento che alitava dalla porta socchiusa. Dall’altro lato del camino, un giovane dai capelli biondi la guardava in silenzio». La prima volta che il giovane dai capelli biondi, Léon, colui che diverrà il suo amante, vede Emma Bovary, la vede così. Con la punta di queste due dita che sollevano la gonna fino alle caviglie, lo stivaletto nero teso alla fiamma, la luce che le penetra il vestito, i pori della pelle, le palpebre. Immersa in un riverbero rosso, come l’inferno.
Io, a questo punto, chiudo il libro. Non posso andare avanti. Mi scopriranno.
Un potere smisurato
Non importa che io abbia vent’anni e non dieci, non importa che quando si trattava delle regole malamente imposte dai miei genitori io non le abbia mai seguite, non importa che la mente, cazzo, la mente non si può leggere, Toni (Toni sono io)! O almeno lui non lo sa fare. Non importa. Per me, lui, lo, sa, fare. E leggerà nella mia mente, ovunque sia adesso, come Superman però cattivo, che io sto leggendo di un’adultera. Sì, lo so, lo so come tutti, Emma diventerà un’adultera. Una bugiarda lo è da sempre. Beve l’aceto per fingere di star male pur di cambiare città. Inventa qualsiasi cosa per il suo piacere. E questa gamba sollevata con la veste raccolta al cospetto di Léon già me lo dice. Queste palpebre penetrate dalla fiamma.
Questo libro non piacerebbe a Valerio. Già non gli piace che legga. Figurarsi che legga questo libro. Basta. Lo chiudo.
Ci sono persone che hanno su di te un potere smisurato. Oggi io ne ho una che se mi dice non c’è bisogno di essere in ansia, io smetto istantaneamente di essere in ansia, basta una sua parola; ma questa parola non me la dice più, e io vago in un mare malmostoso e pieno d’alghe d’ansia blu. Perché funziona solo la parola di quella persona. Ai miei vent’anni avevo Valerio, il cui potere su di me era totale. Mi vedeva dentro. Vivevo per compiacerlo. Come dio. Pensavo di amarlo molto. Era verbalmente violento, tentava di esserlo anche fisicamente ma io scappo molto veloce, ho studiato danza per mille anni – o perlomeno così ricordo, ricordo che scappavo, che non mi ha mai preso, ma vai a vedere la mente, vai a vedere i ricordi (la scrittrice Maylis de Kerangal dice che i ricordi non sono il passato ma il futuro) –, era geloso e possessivo e odiava i libri e odiava me ma pensava di amarmi. Mi voleva fortissimamente al suo servizio. Io c’ero. C’ero sempre.
Il tradimento
Sai, se tu fossi una persona a cui scrivo una lettera, se fossi una persona che conosco ti direi: sai come sono. Sai, ti direi, avevo paura che a pensare con la mia testa l’avrei perso; mi puoi capire; mi conosci bene. Sai come sono, ti direi, e tu mi diresti quelle cose che mi dici sempre. E io ti direi hai ragione, ma. E quindi quando ho letto di questa donna adultera, oscena, demoniaca, sapendo che Valerio odiava che io leggessi e mi controllava a bacchetta e mi urlava sempre addosso perché era convinto che io lo tradissi (non l’avrei mai fatto; per terrore; non per amore), sapendo che se avesse scoperto che leggevo questo libro, il libro di una bugiarda traditrice, mi avrebbe – ucciso? lasciato? era uguale. Sapendo tutto ciò, quando ho letto questo pezzo, questi stivaletti lascivi, queste caviglie, questa punta di due dita – il dettaglio più pornografico –, questa carne che girava nel fuoco, lasciva pure lei, colando grasso (ho dedotto io), una carne da banchetto del demonio, ho detto adesso chiudo. Basta. Non leggo più. Aspetto che Valerio torni e poi faccio quello che vuole, tutto quello che vuole. Ho chiuso.
C’è un’altra donna. L’ho letta poco dopo. È una donna in apparenza simile a Emma Bovary. Si chiama Anna Karenina. Quando la conosciamo è felice, o meglio appagata. Sta bene come sta. Marito, figlio, parenti. Bella, simpatica, onesta. Poi incontra l’amore, tradisce tutto e tutti, e il mondo finisce. L’amore la condanna a morte.
Ma no. No.
Gesto rivoluzionario
Sai, se fossi un amico che mi conosce bene ti direi che ho chiuso Madame Bovary, quel giorno, ma poi non ho resistito e l’ho subito riaperto e non l’ho più lasciato, mai fino alla fine, e ti racconterei che l’ho letto tutto d’un fiato, e ti racconterei che grazie a Madame Bovary ho sfidato la lettura della mente di Valerio e di come poi l’ho lasciato, Valerio, poco dopo, proprio a partire da quel gesto per me rivoluzionario – leggere un libro che, leggendo lui nel mio cervello, lo avrebbe mandato in bestia. Ti direi che l’ultimo giorno prima di traslocare avevo paura mi uccidesse nel sonno per la rabbia che mi permettevo di lasciarlo. Volevo andare a dormire da qualsiasi parte al mondo tranne che nel nostro letto. Solo che non avevo più amici a cui chiedere un letto. Gli amici me li aveva tolti tutti Valerio. Anzi, se fossi mio amico ti direi la verità: avevo permesso che mi li portasse via. Per seguire cosa?, ti chiederei, se fosse una lettera d’amore. Ti racconterei che non ho mai dormito quella notte, e ho fatto finta di dormire, e la mattina sono scivolata via e ho traslocato salendo su un tram che gemeva come gemevano il mio cuore e le mie valigie. Non ero felice, ti confesserei. Avevo paura del futuro.
La battaglia
Sai, ti direi anche che Anna Karenina non muore per amore. Non è l’amore che la condanna a morte. Anna Karenina si permette di dire a suo marito che ama un altro uomo, di lasciare il marito, di chiedergli il divorzio, di lasciare con immenso dolore suo figlio e di andare a vivere con un altro uomo, Vrònskij. Ma Vrònskij, che l’amava – o pensava di amarla, come Valerio e come Léon – non ha spina dorsale – come Léon e come Valerio – se ne va per il mondo, pascendosi di ogni piacere, mentre Anna Karenina, adesso donna adultera, è una donna reietta, e non la vuole più nessuno in società. E «il mio amore si fa sempre più appassionato ed egoistico», pensa lei, «e il suo non fa che spegnersi». Per colpa sua, pensa lei, del suo amore egoistico, dei suoi capricci.
«Queste strade non le conosco affatto», dice Anna. «Certe montagne, e sempre case, case… E nelle case sempre persone, persone… Quante ce n’è, sono senza fine, e tutti si odiano a vicenda». Dio. Se tu fossi mio amico ti chiederei di salvare questa donna, di dirle che non è giusto che soccomba, di dirle che sì, in certe case le persone si odiano, forse in molte, ma non in tutte, dirle che può venire da me, anche io ho bisogno di un’amica, di un amico, e insieme guadagniamo la nostra indipendenza dal dolore, e pure dall’amore. Ti chiederei di non farla cadere sotto il treno, sulle rotaie. Di portarla da me.
Ti chiederei di dirle che non è Vrònskij che non la ama, ma che il mondo non la ama perché è una donna. E invece io sì.
Se tu fossi mio amico, Anna verrebbe da me – anche se non ho una casa – e poi ci raggiungerebbe Emma. Emma non ha paura di niente e ci guarderebbe un po’ con pena, perché siamo troppo sentimentali, ma poi ci basterebbe guardarla e ci insegnerebbe la libertà. Dall’amore, pure. Non c’è bisogno che Emma ci ami. C’è bisogno che Emma esista, che Anna esista, c’è un tremendo bisogno di loro. E andremmo in giro con questi stivaletti neri e queste ciglia lunghe e queste dita che sollevano le vesti e non avremmo paura di nessuno e nessuna di noi morirebbe più.
O forse moriremmo, a un certo punto. Ma sai che battaglia per rimanere vive e libere, prima di morire.
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