Il procuratore di Milano Francesco Greco ha preso ufficialmente posizione a sostegno dei colleghi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, oggetto di articoli di stampa molto critici sul loro operato (si è parlato di spreco di risorse pubbliche e accanimento verso un’impresa strategica italiana) dopo la sentenza di assoluzione piena (perchè il fatto non sussiste) dall'accusa di corruzione internazionale di tutti gli imputati del processo Eni - Shell Nigeria da parte del collegio del Tribunale presieduto dal giudice Marco Tremolada.

«Il procuratore», si legge in una nota, «è a fianco dei colleghi De Pasquale e Spadaro i quali, nonostante le intimidazioni subite, hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza».

La difesa di Greco

Questa sortita del procuratore arriva solo un pugno di ore dopo la pubblicazione di una lettera del presidente del Tribunale di Milano Roberto Bichi che ha attaccato duramente la procura per l'atteggiamento tenuto durante il processo, con iniziative dei pm che si sarebbero risolte in «subdole insinuazioni» nei confronti del collegio giudicante che costituirebbero per la magistratura stessa «una espressione di degrado gravissima».

Ma cosa sta succedendo in questi giorni all'interno del Palazzo di Giustizia milanese, dove il clima si è avvelenato a tal punto da provocare questo scontro così duro tra i vertici della magistratura inquirente e giudicante?

Bisogna tirare in ballo l'inchiesta sul presunto «depistaggio» ai danni dei magistrati negli anni in cui indagavano sulle condotte del gruppo Eni in Africa – in Algeria e Nigeria - condotta dai pm Laura Pedio e Paolo Storari e tutt'ora in corso.

Depistaggio

Agli atti di quest'inchiesta sono depositati alcuni verbali di interrogatorio dell'ex consulente legale Eni Piero Amara (indagato nel depistaggio) inviati oltre un anno fa dalla procura di Milano a quella Brescia per indagare su una sospetta vicinanza del giudice Tremolada ad alcuni avvocati ingaggiati da Eni.

La procura di Brescia è quella titolata a indagare su fatti che tocchino i magistrati del distretto milanese. Questo fascicolo bresciano si era risolto qualche tempo fa con un'archiviazione delle accuse di traffico di influenze illecite e abuso di ufficio e con il sospetto, al contrario, che proprio Amara sia un testimone inattendibile.

In attesa delle indagini bresciane, però, i pm del caso nigeriano avevano chiesto di interrogare proprio Amara durante il processo nigeriano e avevano depositato anche un atto con molti omissis. La volontà di De Pasquale e Spadaro era quella di far emergere la prova che durante le indagini nigeriane proprio qualche avvocato avesse interferito.

A valle di tutta questa intricata vicenda il procuratore di Milano ha ricordato oggi nella sua nota che proprio «nel corso delle indagini (del procedimento Eni Nigeria, ndr) sono stati imbastiti da un avvocato dell'Eni (Amara, ndr), presso la procura di Trani e quella di Siracusa, due procedimenti finalizzati a inquinare l'inchiesta condotta dalla procura di Milano e a danneggiare l'immagine di alcuni consiglieri indipendenti di Eni, segnatamente Luigi Zingales e Karina Litvack».

Per taluni fatti sia Amara, sia il pm siracusano Giancarlo Longo hanno ammesso gli addebiti e sono stati condannati. Greco ha aggiunto che «nell'azione di inquinamento, chi l'ha ideata e portata avanti ha anche cercato di delegittimare il pubblico ministeri di Milano».

Da ricordare che tra gli indagati dell'inchiesta sul depistaggio, oltre ad Amara, ci sono il numero due dell'Eni Claudio Granata, l'ex manager Vincenzo Armanna, i legali interni Michele Bianco e Alessandra Geraci.

Riguardo questa inchiesta resta sibillino un passaggio della nota di Greco nella quale si parla non solo di inquinamento ma anche di «intimidazioni» ai pm. Un'accusa molto grave in relazione alla quale il procuratore, sentito da Domani su questo passaggio, non ha voluto rilasciare spiegazioni. Che, probabilmente, andranno ricercate negli atti di questa inchiesta aperta nel 2017. 

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