«Capisco la rabbia, ma dobbiamo leggere dei vostri problemi giudiziari in prima pagina?», chiede un utente su Twitter. La risposta è sì. Perché la richiesta di Eni a Domani di pagare 100mila euro entro una settimana, prima ancora di un’azione civile per diffamazioni tutte da dimostrare, è un problema di tutti.

Il punto è semplice: a Milano l’Eni è stata assolta in un processo per corruzione internazionale che ha avuto per anni una enorme rilevanza pubblica, e il cui esito ha contribuito a spaccare l’intera magistratura (ora c’è la richiesta di appello). Sempre presso la procura di Milano è in corso una indagine per il depistaggio attuato da alcuni soggetti che volevano sabotare l’inchiesta principale, tra questi c’è Piero Amara, che all’epoca era un avvocato ben remunerato dall’Eni. L’azienda si dichiara inconsapevole e parte lesa di un depistaggio che Amara e altri soggetti avevano avviato di loro iniziativa: questa la versione ufficiale che noi abbiamo riportato fino allo sfinimento.

Il problema è che Eni non vuole che si parli proprio di queste vicende. O meglio, non ha nulla da obiettare quando a scrivere del processo Eni sono i giornali che portano elementi utili a sostenere le posizioni dell’azienda. Ma chi non si allinea viene prima redarguito, poi sommerso di richieste di rettifica e infine passa agli avvocati. Che chiedono cifre spropositate prima ancora di avviare un’azione legale.

È vero che lo stato detiene un 30 per cento di Eni. Ma il 48 per cento del capitale è in mano a investitori internazionali. È a loro che mi rivolgo: ma davvero vi va bene questo uso delle risorse e della reputazione aziendale? Negli Stati Uniti, dove Eni è quotata, non lo accettereste mai.

Per il governo, il premier Draghi, il ministro dell’Economia Franco e l’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti Scannapieco ho un’altra domanda: come azionisti di controllo, approvate simili comportamenti dal dottor Claudio Descalzi che è al vertice dell’Eni? Diamo un bel messaggio all’estero: ecco quanta libertà di manovra hanno i media in Italia nel raccontare le principali aziende che lavoreranno con il governo sul Pnrr.

Poi ci sono i nostri colleghi giornalisti che si fanno finanziare festival, premi, iniziative, inserti ambientali e altro da un’azienda come Eni che non vende al consumatore finale alcun prodotto ma compra tonnellate di pubblicità. Ecco, cari colleghi, da oggi avete un elemento in più per calcolare il prezzo dell’indipendenza: a voi i soldi li danno, a noi li chiedono. I milioni di Eni li lasciamo a voi, noi chiediamo sostegni invece ai lettori che con i loro abbonamenti scelgono di finanziare il giornalismo di inchiesta. A voi lettori garantiamo che nessuna delle pubblicità che trovate su Domani ha avuto contropartite. Chi sta alle regole è il benvenuto, per gli altri ci sono tanti giornali a disposizione.

© Riproduzione riservata