I tempi per il bilancio del pontificato di Bergoglio non sono ancora arrivati. Servono alcuni anni, non molti, ma servono. Sono i tempi della Storia e non quelli della cronaca ad aiutare veramente.

Per ora tutto ciò che si vede e si sente, in particolare in alcuni paesi europei, ha solo il merito della tempestività. Fatti e fonti, testimonianze e ricerca sono dinamismi che cominciano a ruotare lentamente, in attesa delle vere domande.
Il compito che dovranno affrontare molti esperti nel mondo accademico e all’interno della chiesa cattolica – e che dovrebbe portare al vero volto del papa – è complesso e difficilissimo, mentre è facile e semplice quello che ha raccontato la cronaca da dodici anni. Francesco ora esce dalla cronaca ed entra nella Storia.

Chiusa la tomba a Santa Maria Maggiore sarà l’ora della verità su un papa molto amato e applaudito, ammirato e celebrato, ma al tempo stesso polemico, divisivo e controverso. Papa Francesco è ancora, e sarà, un enigma e non solo perché l’intero pontificato è stato poco trasparente – soprattutto in alcuni momenti e vicende – ma anche perché la personalità di Jorge Mario Bergoglio Sivori è tutta ancora da decifrare.

La personalità e l’opera sono intrecciate fortemente. Non pochi atti di governo del papa sono inspiegabili se non si tiene conto della sua personalità e del suo carattere.

A tutto ciò, in questi giorni della morte e della preparazione dei funerali, si sono aggiunti – prevedibilmente – tentativi insensati di arruolare il suo magistero a sinistra e a destra, cosa quest’ultima impensabile qualche giorno fa. Leggendo i media internazionali più autorevoli, appare un papa piuttosto inedito, decisamente riformista ma nello stesso tempo conservatore di ferro.

È interessante il fatto che queste letture di Bergoglio prescindano completamente dal fatto centrale: il papa argentino era la guida dei cattolici in quanto vescovo di Roma, ma sembra che il ruolo religioso di Francesco non avesse nulla a che fare con la ragione ultima per cui occupava la cattedra di Pietro.

Le acrobazie

Ognuno prende dal pontefice il pezzettino che serve al momento, e, con acrobazie varie, alcune sorprendenti, Francesco diventa icona della conservazione e della tradizione ma anche della rivoluzione e del riformismo. I primi in questa operazione sono i cattolici e la stampa cattolica, e paradossalmente vi partecipano anche pezzi della nomenclatura cattolica. Sul papa defunto venuto dalla «fine del mondo», finis terrae, è così caduta una pesante doppia cappa: una lettura laicista che focalizza tutto nella narrazione biografica o nel profilo di capopopolo, quasi un Masaniello della fede cristiana.

Anche se il clima mediatico è da stampa sovietica, contrario e offensivo dell’umiltà e della mitezza con le quali la stessa stampa immortala il papa defunto, tutte le operazioni eseguite sono già destinate a scomparire dopo l’elezione del nuovo vescovo di Roma, il cui nome e cognome ci diranno subito come la chiesa cattolica ha vissuto questi dodici anni di papato bergogliano.

La scelta del nome, quella dell’abitazione personale e le prime parole al «popolo di Dio» e al mondo saranno la cartina di tornasole migliore per leggere il passaggio di un papato a un altro. Per questo percorso non serve la cronaca. Occorre la storia, ben diversa della cronaca.

I bilanci

Il grande problema è che papa Francesco è stato un pontefice poliedrico enigmatico e quindi lo saranno anche i bilanci. Bergoglio ha avuto e presentato diversi volti: è il papa mediatico ma anche istituzionale, quello dell’opinione pubblica e dei grandi raduni – «della Piazza» avrebbe detto prima di morire – e il sovrano dello Stato della Città del Vaticano, il riformista ma anche il conservatore ortodosso della dottrina.

Secondo le ottiche o i lati del poliedro avremmo bilanci diversi, contrastanti, così come ci saranno le stesse varianti per quanto riguarda la personalità del gesuita argentino eletto nel 2013. La decantazione storica finirà per pulire e separare gli ingredienti di una miscela che oggi rende opaco lo sguardo.

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