«La talpa non esiste, mia figlia millantava. Ma quali 300 euro? Ai tempi miei ci volevano 5 milioni di lire». Così Luciano Marianera, padre di Camilla, difende la figlia che da due mesi è in carcere. Nel suo passato ci sono reati e precedenti mentre la figlia era incensurata, praticante avvocata e collaboratrice dell’assessora alla legalità del comune di Roma, Monica Lucarelli, fino a quando è finita in carcere con un’accusa gravissima: corruzione in atti giudiziari.

Secondo la procura di Roma, sfruttando una talpa negli uffici giudiziari, ha procacciato informazioni segrete per rivenderle a esponenti della malavita romana mentre era praticante presso lo studio legale Condoleo, non coinvolto nell’indagine. Un’inchiesta che si allarga approfondendo la posizione anche di altri soggetti, chiamati in causa nelle intercettazioni, e che dovrebbe portare presto al giudizio immediato per Marianera e il compagno, Jacopo De Vivo, in carcere con la stessa accusa. Millantava Marianera? Secondo la pubblica accusa, che ha ottenuto dal giudice la misura cautelare in carcere, confermata anche dal tribunale del Riesame, non si tratta di millanterie. La conferma è arrivata anche da un elemento non trascurabile, la giovane praticante conosceva un particolare tecnico sulla sala intercettazioni, particolare noto solo a chi lavora in quell’ufficio dedicato agli ascolti delle persone sottoposte a indagini.

L’inchiesta dei carabinieri, coordinati dai pubblici ministeri Francesco Cascini, Giulia Guccione e dall’aggiunto, Paolo Ielo, vede tra gli indagati pubblici ufficiali e clienti della cricca. L’indagine non ha ancora individuato la talpa e quindi si sta provvedendo al trasferimento in altre sedi o uffici degli addetti alla sala ascolti della procura della repubblica di Roma.

La prefettura risponde no

«Conosciamo una persona che sta in procura nell’ufficio dove sbobinano le intercettazioni e tutto...a me fa tanti favori», diceva Marianera al telefono spiegando che, ogni tre mesi, chiedeva verifiche sul padre e sul compagno. Un piede in procura e uno al comune di Roma dove era stata assunta con contratto a tempo determinato, l’ingresso in Campidoglio era stato favorito da Franco Pasqualetti, allora portavoce di Lucarelli che li aveva fatto incontrare in un bar.

Marianera si occupava di periferie, ma presenziava anche alle manifestazioni contro i clan. Era presente lo scorso novembre alla marcia contro i Casamonica, alla fine della serata Marianera si era appartata con il suo fidanzato, Jacopo De Vivo. Presenziava anche ai comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza, a quanti? E di cosa si parlava? Non si hanno risposte a queste domande perché la prefettura di Roma ha negato l’accesso agli atti a chi scrive e anche all’ex sindaca e oggi consigliera comunale, Virginia Raggi.

Le indagini sulla coppia sono partite perché gli inquirenti erano sulle tracce di Luca Giampà, compagno di Mafalda Casamonica, del noto clan criminale romano, e hanno scoperto che la praticante veniva utilizzata per veicolare informazioni riservate in cambio di soldi.

De Vivo viveva proprio nel quartier generale dei Casamonica, in zona Porta Furba. Il suo arresto, effettuato dalla polizia a fine settembre scorso, rovina i piani degli inquirenti perché da quel momento Marianera è informata e adotta ancora maggiore prudenza. Il segnale convenzionale che la praticante avvocata utilizzava per accordarsi con il funzionario corrotto erano tre squilli senza risposta.

La ventisettenne è riuscita a sfruttare quello che appare un sistema rodato di circolazioni di notizie riservate in cambio di soldi, ne è una pedina più che una regista, un vero sistema considerando anche il silenzio che caratterizza la sua condotta da quanto è dietro le sbarre.

Er fotocopia

Domani ha consultato gli atti dell’indagine dai quali emergono alcune intercettazioni inedite, il cui contenuto è all’attenzione degli investigatori. Il 15 ottobre 2022 Marianera parla al telefono con Stefania Temofonte, che è stata collaboratrice presso lo studio Condoleo e che inizialmente aveva assunto la difesa di Marianera.

Parlano al telefono di Marina Condoleo, avvocata dello studio, e del marito Gregorio Viggiano, carabiniere attualmente impiegato nel servizio scorte, si occupa della tutela di politici e ministri. «Temofonte ha esternato alla propria interlocutrice di aver appreso, da una terza persona, che Viggiano venisse appellato “er fotocopia”, ai tempi in cui lavorava presso la segreteria dell’ex procuratore capo della repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone», si legge nella richiesta di proroga delle intercettazioni.

Viggiano e Condoleo negano di conoscere anche solo l’appellativo e respingono ogni allusione, contenuta nel fascicolo giudiziario «siamo totalmente estranei all’indagine», dicono. Da quanto risulta a Domani si tratta solo di illazioni prive di fondamento, Viggiano non è indagato e nulla è emerso sul suo conto. Mentre sono in corso approfondimenti proprio su Stefania Temofonte, al momento però non risulta tra gli indagati.

I Casamonica

Anche la rete di clienti di Marianera è tutta da definire, tra le informazioni che avrebbe recuperato, grazie al contributo di Temofonte, alcune riguardano Manuel Zappata, neanche lui risulta indagato. Zappata sui social ha tra gli amici alcuni esponenti della famiglia criminale Casamonica e Di Silvio.

«Ho deciso che prendo i soldi… poi vado da Zara, poi mi voglio fare una doccia», diceva Marianera che al telefono faceva riferimento al coinvolgimento anche di sodali per l’acquisizione delle informazioni.

In fondo lo stesso Giampà, all’uscita da un incontro con Marianera e il compagno, avvertiva la moglie Mafalda Casamonica, attraverso un linguaggio ambiguo, «che il telefono è intercettato ma fortunatamente le indagini sono agli albori».

Parla Luciano Marianera

Per difendere la coppia interviene Luciano Marianera, padre dell’aspirante avvocata. Di lui scrivono gli inquirenti: «Pluripregiudicato, personaggio da anni inserito in contesti associativi, anche connessi al traffico di sostanze stupefacenti».

Non nasconde niente del suo passato, il suo nome finisce sui giornali per la prima volta negli anni settanta quando viene arrestato perché accusato di aver fatto parte di una banda di rapinatori. Da allora ha trascorso più di vent’anni in carcere.

«Sono stato arrestato e condannato per traffico internazionale di stupefacenti, ma anche per il possesso di armi, uno Sten mitragliatore e una bomba a mano, per altre vicende sono stato assolto», ha raccontato alle telecamere di Non è l’Arena in un servizio mai andato in onda per la sospensione del programma.

Un passato nel quale Marianera ha incrociato i narcos romani, in un’ordinanza cautelare parlava al telefono con sodali per incontrare Parrello Candeloro, criminale di rango e in rapporti paritari con i boss della ‘ndrangheta.

La notizia dell’arresto della figlia lo ha travolto. «A me è cascato il mondo in testa. Quella mattina pensavo che i carabinieri fossero venuti per me, tanto che gli ho detto “che vi siete inventati questa volta?”. Quando mi han detto che era per Camilla non ci volevo credere», dice.

Ma cosa pensa dell’indagine che ha coinvolto sua figlia neanche trentenne? «Di recente ho visto mia figlia in carcere ed è stato un colloquio drammatico. Tra pianti e altro le ho domandato se aveva fatto quello che dicono e lei mi ha risposto “no, millantavo e ingigantivo ragionamenti”. Per me l’hanno messa in carcere per dire quello che non sa, se no a me l’avrebbe detto», risponde.

Poi ricorda i suoi tempi quando il palazzo di giustizia era un colabrodo dal quale uscivano, anche allora, notizie riservate.

«Se un tale mi viene a dire “Luciano ho il gps in macchina”, gli avrei risposto che sono tutti intercettati. Quando anni fa trovai un gps nel Mercedes, non sono andato dall’avvocato, ho buttato la macchina. Qual è sta terza persona? Ho chiesto a mia figlia ma mi ha detto che non c’è. Lei ha millantato, per farsi dei clienti. In passato chiedevano 5 milioni per sapere questo e questo, altro che 300 euro, è uno scappato di casa uno che chiede ste cifre», replica.

Per Marianera padre se ci fosse stata davvero una talpa l’avrebbero trovata, ma tra funzionamenti del trojan e comportamenti accorti della giovane praticante, al momento l’infedele servitore dello stato non è stato ancora individuato. Mentre difende la figlia anche contro l’evidenza degli atti giudiziari, racconta quello che le ha suggerito: «A mia figlia in carcere ho detto di studiare, di chiamare la cella “stanza”, di fare socialità, tanto dalla galera si esce sempre, non ha mai mangiato nessuno».

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