Non il miglior modo per riaffacciarsi nel grande calcio. Per la prima volta nel Ventunesimo secolo la nazionale scozzese mette piede nella fase finale di un torneo per rappresentative nazionali, ma giusto alla vigilia dell'esordio (in calendario oggi alle 15 sul campo di Hampden Park, che vedrà la squadra allenata da Steve Clark affrontare la Repubblica Ceca) giunge una polemica tra la federazione nazionale e la municipalità di Glasgow. Motivo: la mancata riapertura, dopo l'allentamento delle restrizioni da pandemia, dei campi di calcio e delle strutture passate sotto la gestione di una charity costituita dalla municipalità. Una mancanza che frena lo sviluppo del calcio di base e dell'attività sportiva in generale, col rischio di trasformare la grande opportunità in occasione mancata.

Una pausa lunga 23 anni 

Il tema è stato messo al centro del dibattito in uno dei principali passaggi della lettera aperta scritta dal Ceo della Scottish Football Association (SFA, la federcalcio nazionale), Ian Maxwell, pubblicata ieri dal sito ufficiale dell'organizzazione. Classe 1975, ex difensore con carriera interamente trascorsa nel calcio scozzese (prima fase col Queen's Park, da non confondere coi QPR londinesi, quindi Ross County, St. Johnstone, St. Mirren e Partick Thistle), Maxwell è un figlio di Glasgow. Dunque conosce bene la sua città e ne coglie ogni aspetto problematico.

Soprattutto è ben cosciente di quanto l'Europeo 2020 (+1) possa essere una straordinaria opportunità per Glasgow e per il calcio scozzese. E lo specifica nella parte iniziale del documento, dove fa riferimento all'orgoglio di aver visto Glasgow, nel 2014, scelta nella lista originaria delle 12 città che avrebbero ospitato la fase finale della competizione. Un appuntamento per il quale la SFA ha compiuto un grande sforzo non soltanto per essere presente con la propria nazionale, ma anche per farlo coincidere col varo di un piano strategico per lo sviluppo del calcio scozzese intitolato The Power of Football e reso pubblico sul sito ufficiale della federazione lo scorso 24 maggio, tre settimane prima dell'esordio nella competizione. Un esordio molto atteso, poiché l'ultima partecipazione della nazionale scozzese a una fase finale risale ai Mondiali di Francia 1998, mentre se si guarda agli Europei bisogna risalire a Inghilterra 1996. Dunque l'approdo all'Europeo policentrico dà senso di conclusione di una traversata nel deserto. E avere Glasgow nell'élite delle città prescelte è un ulteriore segno di progresso. Ma proprio la città prescelta, la piazza leader per distacco del calcio scozzese, sta facendo mancare parte importante del suo apporto.

La ‘hard life’ dello sport di base a Glasgow

La polemica di Maxwell è rivolta verso Glasgow Life, una charity fondata nel 2007 con l'incarico di gestire per la municipalità di Glasgow (e non soltanto) strutture e servizi dedicati a cultura, svago, sport e attività fisica. Rientrano nella sua sfera di gestione oltre 150 luoghi come biblioteche, musei, gallerie d'arte, centri sociali giovanili, e infine impianti sportivi e spazi attrezzati per l'attività all'aperto.

Un'organizzazione ambiziosa nella concezione e certamente fatta oggetto di una responsabilità molto impegnativa. Forse troppo, come ha dimostrato l'impatto del Covid. Uno shock da cui Glasgow Life non si è ancora completamente ripresa e gli effetti di ciò sono visibili soprattutto nel segmento di gestione dell'impiantistica sportiva. Che nella lista delle strutture per cui lo scorso 13 maggio è stata programmata la riapertura sono in coda e senza una precisa prospettiva per il riavvio delle attività.

In particolare destano preoccupazione le strutture del Barlia Sports Centre, nella zona di Castlemilk, cui Maxwell fa specifico riferimento nel suo messaggio e che da mesi sono al centro di una mobilitazione da parte della comunità locale, allarmata tanto per il rischio che il degrado si impossessi della struttura, quanto per la mancanza del servizio messo a disposizione del calcio e dello sport di base.

Le due grandi in casa loro

Proprio la questione del calcio grassroots è ciò che più preoccupa il Ceo della SFA. Il livello di vertice del calcio scozzese è riuscito faticosamente a riguadagnare un posto nella mappa del calcio continentale, ma in queste condizioni rischia di veder vanificare lo sforzo causa mancanza di attività di base. Ciò che oscura gli orizzonti a un movimento da sempre strutturato in modo anomalo e costruito intorno alla dittatura dei club di Glasgow, il Celtic e i Rangers. Talmente superiori rispetto al resto del movimento scozzese da avere accarezzato più volte, nel periodo a cavallo fra i Novanta e il Duemila, l'idea di traslocare nella Premier League inglese.

Ambizione smisurata. Perché durante questi anni il loro rendimento europeo è stato, con rare eccezioni, men che modesto. E inoltre i Rangers hanno subito nel 2012 l'onta del fallimento e della liquidazione amministrativa con ripartenza dalla quarta serie. Potreste immaginare che in Spagna succeda a una fra Barcellona e Real Madrid? In Scozia è successo e nessuno ha fiatato. Il lungo purgatorio dei Rangers si è concluso gusto al termine di questa stagione, quando la squadra della comunità protestante di Glasgow è tornata a vincere il titolo nazionale dopo 10 anni di digiuno. Un altro ritorno, come quello della nazionale agli Europei. Ma intorno allo stadio di Ibrox, dove oggi la Svozia esordisce contro la selezione della Repubblica Ceca, rischia di esserci il vuoto calcistico.

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