Trovate qualcuno che ne parli bene: impossibile. Gli svedesi non piacciono a nessuno. Forse non piacerebbero nemmeno a se stessi, se guardassero le loro partite da spettatori neutrali. Però macinano risultati e vanno avanti. Si qualificano per le fasi finali dei grandi tornei, oltrepassano i gironi eliminatori e si spingono fin dove gli oggettivi limiti tecnici consentono loro.

Lo fanno persino senza quello che nell'ultimo ventennio è stato di gran lunga il loro calciatore più forte, Zlatan Ibrahimovic. La cui mancanza è passata pressoché impercepita sia in occasione dei mondiali 2018 (qualificazione conquistata senza di lui), sia in questi Europei 2020+1. E la formula del torneo consegna loro condizioni piuttosto favorevoli per il prosieguo. Concluso da primi il girone che avrebbe dovuto essere vinto dalla Spagna, i ragazzi di Janne Andersson si ritrovano nell'ottavo di finale che verrà giocato per ultimo, martedì 29 giugno a Glasgow, contro la più dimessa delle ripescate: l'Ucraina di Andriy Schevchenko.

Ma più di ogni altra cosa, c'è un connotato che fa della nazionale svedese una squadra temibile e persino un oggetto culturalmente significativo per l'analista italiano: ha sublimato l'arte del catenaccio dandogli un nerbo tutto nordico che ne fa una suprema mutazione genetica.

Discretamente detestati da tutti

Gli ultimi a manifestare cauto sgradimento sono stati i polacchi, battuti giusto ieri al termine di una partita che per i canoni della nazionale svedese è stata più movimentata del solito: 3-2, dopo che la squadra di Andersson era stata in vantaggio 2-0, per farsi successivamente raggiungere da una doppietta di Robert Lewandowski.

Nel dopo partita ha avuto parole piccate per loro il portiere della nazionale polacca e della Juventus, Wojciech Szczesny. Che fra l'altro nelle scorse ore si è ritrovato al centro di una polemica piuttosto grottesca. Il tabloid inglese The Sun ha pubblicato alcuni scatti che lo ritraevano mentre fumava una sigaretta, nei minuti che precedevano la partita pareggiata il 19 giugno a Siviglia contro la Spagna (1-1). In difesa del portiere è dovuto intervenire il commissario tecnico della Polonia, il portoghese Paulo Sousa, che anziché occuparsi della precoce eliminazione se l'è presa col vezzo dei giornali per il gossip. A ogni modo, dopo la gara persa contro gli svedesi il portiere della Juventus ha affermato a denti stretti che “loro giocano un calcio semplice ma efficace”.

Una maniera molto indiretta per dire che il modo di giocare a pallone della Svezia gli fa ribrezzo. E mica soltanto perché perdendo con la nazionale in maglia gialla la Polonia è stata messa fuori gioco in modo forse inopinato. È che proprio quegli svedesi hanno un modo di giocare frustrante per gli avversari. Per questo lo stesso Szczesny ha ribadito il concetto affermando “hanno sfruttato i nostri errori e hanno vinto la partita”, come se fosse più demerito di chi ha perso che merito di chi ha vinto, nel campo di una scienza inesatta qual è il gioco del calcio. E sulla stessa lunghezza d'onda si è mosso Piotr Zielinski, centrocampista del Napoli, che così ha commentato il primo gol avversario: “Un ping-pong. Gli svedesi sono stati solo fortunati, non doveva succedere”. Ma se credete che i polacchi siano un caso isolato, vi sbagliate. Perché gli svedesi risultano insopportabili a qualsiasi avversario. E per un motivo molto semplici: sono calcisticamente neo-italiani.

0-0 per una settimana

Ce ne accorgemmo quella sciagurata notte del 13 novembre 2017 allo stadio Giuseppe Meazza di Milano: 0-0 nella partita di ritorno per il playoff di qualificazione ai mondiali di Russia 2018 e Italia eliminata per la prima volta dopo 60 anni. Una di quelle tappe che fanno epoca e non soltanto per il risultato. Fu soprattutto lo shock culturale a segnare una notte in cui il calcio italiano si sentì inadeguato. Sia perché la squadra azzurra si mostrò incapace per 180 minuti di segnare un gol a una squadra di normale caratura, ma soprattutto perché gli svedesi ci spiegarono quella notte quanto male avessimo fatto a abbandonare la vecchia via: quella della saldezza difensiva come bene superiore, attorno al quale costruire la forza calcistica. Certo, era la nazionale di Gian Piero Ventura con tutto quello che significa. Ma rimase comunque netta sulla pelle la sensazione che a quegli svedesi non si sarebbe fatto gol nemmeno se li si fosse attaccati per una settimana.

Impressione rinnovata nel corso di questa finale degli Europei, durante la partita giocata a Siviglia contro la Spagna. La squadra teoricamente più forte del girone è andata a sbattere sistematicamente contro il muro svedese e infine sono stati proprio gli uomini in maglia gialla a avere le occasioni da gol più clamorose. Puoi batterli se riesci, però devi essere capace di segnare il primo gol. Missione molto dura, Né è nemmeno detto che basti.

Ma più di ogni altra cosa, c'è la flemma con cui gli svedesi si difendono. Sempre ordinati, disciplinati, piazzati, mai in affanno. Li vedi e ti danno l'impressione di non sudare e nemmeno di spettinarsi. Magari si fermeranno ai quarti, perché da lì in poi senza fuoriclasse in squadra è difficile andare lontano. Però questi svedesi un segnale lo danno: giocare sulla saldezza difensiva non è una vergogna. Piuttosto, è il calcio: lo sport dove si può fare 0-0 e dunque puntarci sopra è scelta legittima. Noi italiani lo sapevamo, ma poi ci siamo lasciati attrarre dalle sirene sacchiane.

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