Flash mob degli ospedali italiani per Gaza, perché servono le proteste dei professionisti

La sera di giovedì 2 ottobre, medici, infermieri, farmacisti e altri operatori sanitari parteciperanno a un flash mob davanti a oltre 200 ospedali di tutta Italia, proiettando verso il cielo la luce delle loro torce e dei loro cellulari e ricordando i 1.677 colleghi morti a Gaza mentre portavano aiuto alla popolazione civile. Questa mobilitazione, che è promossa dalle reti #DigiunoGaza e Sanitari per Gaza e che ha registrato più di ventimila adesioni, è un ulteriore segnale di quanto la popolazione civile senta un bisogno ormai insopprimibile di manifestare la propria solidarietà al popolo palestinese e il proprio sdegno per i massacri che il governo israeliano attua ogni giorno nel più assoluto disprezzo del diritto internazionale. «Sentiamo il dovere di agire, di organizzarci, di alzare la voce», le università si mobilitano per Gaza Le mobilitazioni delle categorie Subito prima della manifestazione degli operatori sanitari, è utile ricordare la ragione per cui è importante che categorie di professionisti manifestino anche come tali, anziché confluire solo in iniziative popolari che raccolgono la protesta di tutti i cittadini. Le diverse professioni possono infatti accendere l’attenzione su aspetti specifici del dramma palestinese, fare pressione sulle istituzioni dalle quali dipendono, collegarsi con i propri riferimenti internazionali, rilevare e diffondere dati specifici per il proprio ambito. Questa sera saranno gli operatori sanitari a protestare, ma lo hanno fatto anche i giornalisti, per rivendicare il diritto a un’informazione indipendente, e potrebbero farlo i magistrati per condannare l’indifferenza verso le più elementari basi del diritto dei popoli, o gli architetti e gli ingegneri, contro la distruzione di paesi, città e monumenti storici. Le attiviste di Ultima Generazione in sciopero della fame per Gaza: «Il nostro corpo per la causa» La sensibilità dei medici Tornando a medici e infermieri, è palese che siano chiamati in causa dal fatto che l’assistenza ai feriti e ai malati sui campi di battaglia è da sempre un aspetto ineludibile della loro professione. In ogni guerra vi sono state vittime tra i loro colleghi e i bombardamenti a tappeto delle città non hanno certo risparmiato gli ospedali, basti pensare, per limitarsi alla Seconda guerra mondiale, a Dresda, Hiroshima e Nagasaki. Raramente però si erano visti attacchi preordinati e diretti contro gli ospedali, le ambulanze, i soccorritori. Ne sono un esempio l’atroce attacco in due tempi all’ospedale Nasser del 25 di agosto e la drammatica storia di Hind Rajab, la cui voce ha commosso gli spettatori del Festival di Venezia e di tutto il mondo. Una bambina di cinque anni, morta in attesa dei soccorsi che non sarebbero mai arrivati perché l’ambulanza della Mezzaluna Rossa era stata distrutta dal fuoco dell’artiglieria israeliana, nonostante poco prima gli stessi israeliani avessero consentito l’intervento dei soccorritori. Ma questi sono solo i due casi più eclatanti di una distruzione sistematica che ha fatto tabula rasa di tutta l’assistenza sanitaria, nazionale e internazionale, a Gaza. Dunque, bene fanno i medici e gli infermieri italiani a ricordare con forza un principio basilare della convivenza civile come quello del rispetto dei sofferenti e di chi li assiste. Non si tratta solo di un obbligo morale, ma delle regole del diritto internazionale umanitario il cui fulcro sono le convenzioni di Ginevra del 1949, i Protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005 e la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU n. 2417 del 2018 a cui hanno aderito quasi tutti gli stati del mondo. Non è inutile elencarne qui i cinque princìpi fondamentali: divieto di ricorrere alla fame come arma di guerra; protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile; accesso garantito e senza ostacoli alla protezione umanitaria; responsabilità della potenza occupante nei confronti della popolazione civile nel territorio occupato; adeguata distribuzione di cibo e acqua ai civili e ai prigionieri. «Gaza senza speranze di vita». Lo sciopero della fame dei medici svizzeri, mentre il governo compra droni israeliani La manifestazione di questa sera, che è aperta a chiunque voglia partecipare (per le sedi e gli aspetti organizzativi vedi: www.digiunogaza.it), cade subito dopo la presentazione della proposta Usa per la sospensione dei combattimenti, il cui esito è sommamente incerto. Ma qualunque pace, o simulacro di pace, non potrà mai cancellare gli orrori ai quali abbiamo assistito in Palestina negli ultimi 12 mesi. Soprattutto, non potrà cancellare il fatto, contro il quale gli operatori sanitari oggi si schierano, che l’uccisione dei civili e di chi li assiste e li cura senza fare distinzione di genere, etnia, credo politico o religioso, venga sdoganata come l’inevitabile effetto collaterale di ogni guerra, al quale bisogna adeguarsi evitando, per non imbarazzare il proprio governo, di far sentire alte la propria voce contraria e la propria indignazione.