Nel pomeriggio di martedì 18 maggio, si è tenuto un incontro organizzato dalla Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) per parlare di informazione e lavoro, al quale hanno partecipato anche i giornalisti dell'Ansa e la presidente dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), Marina Macelloni.

Durante l'evento è stata annunciata una mobilitazione, fissata per giovedì 20 maggio, in cui il Consiglio nazionale della Fnsi si riunirà in piazza, davanti a palazzo Montecitorio, dalle 10 alle 12.

L'obiettivo è quello di rimettere al centro del dibattito pubblico i temi che riguardano l'informazione italiana. Il piano nazionale di ripresa e resilienza, infatti, non assegna la giusta attenzione a chi fa informazione, attività essenziale e fondamentale per la tenuta delle istituzioni democratiche, e far crescere un'opinione pubblica matura.

Non sarebbe arrivato nessun segnale concreto da parte del governo del premier Mario Draghi, né dal parlamento, su questioni fondamentali che riguardano la libertà, i diritti e la dignità del lavoro di chi ogni giorno si sforza di aiutare i cittadini a conoscere e a comprendere.

«Serve un cambio di passo, un patto per l'articolo 21 della Costituzione. Per richiamare l'attenzione delle istituzioni sulle difficoltà strutturali dell'informazione e sull'assenza di politiche per il lavoro», dichiarano i rappresentanti del sindacato.

«Vogliamo segnali concreti – proseguono – sul diritto a esercitare la professione senza l'incubo delle querele "bavaglio", sulla dignità del lavoro di giornaliste e giornalisti che in questi anni sono stati falcidiati da prepensionamenti e licenziamenti, trattati come esuberi e non come risorse, spinti nella sacca della precarietà senza fine e per di più additati come casta».

«Il settore nevralgico dell'editoria e dell'informazione non può essere ridotto a terreno di sperimentazione per operazioni di marketing travestite da notizie, e nemmeno essere utilizzato come una start up per modelli di contenimento del costo di lavoro che sono solo escamotage per violare ed aggirare il contratto di lavoro giornalistico nel nome della transizione digitale che deve esser un volano per modernizzare il settore e non per farne terreno di totale deregulation», concludono.

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