Sanzioni pagate che valgono quanto un’ammissione di colpa. Bonifici in partenza dal conto svizzero e poi bloccati all’improvviso tramite messaggi sulla chat di WhatsApp. Versioni contrastanti che più che rispondere ai dubbi sul tesoretto svizzero alimentano ulteriori sospetti. Insomma, da qualunque lato la si prenda, la matassa dei depositi esteri da 5,3 milioni di euro ereditati dal presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, non si riesce a sbrogliare. Fontana per difendersi da chi riteneva opportuno persino un suo passo indietro, ha in realtà intorbidito le acque fornendo risposte contrastanti e confuse.

«Era un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo di moda a quei tempi». Spiegava così a luglio, nei giorni caldi dello scandalo nata dall’inchiesta sui camici forniti alla regione dalla ditta del cognato e della moglie. Un’inchiesta nella quale l’esponente leghista è indagato e dalla quale è emersa l’esistenza dei depositi esteri.

Fermate quel bonifico

Fontana aveva disposto un bonifico diretto all’impresa dei suoi parenti per pagare i camici, ma poi li aveva fatti passare come una donazione alla regione quando aveva capito di aver fatto una figuraccia e che rischiava di finire in un guaio giudiziario. Il bonifico ordinato era da 250mila euro.

Doveva partire dal conto svizzero, ma passare dalla schermatura della fiduciaria italiana che dopo lo scudo fiscale ha preso in gestione il deposito estero del presidente. Una mossa sospetta, come ha segnalato l’antiriciclaggio, architettata per camuffare da bonifico nazionale un versamento in realtà proveniente da un conto corrente estero. Il 26 maggio 2020, però, è partito il contrordine.

Alle 13.02 Fontana ha fermato l’operazione rispondendo a un messaggio WhatsApp del responsabile di Unione Fiduciaria, Andrea Presciutti: «Egregio avvocato Fontana, la disturbo ma avrei bisogno di sapere se dobbiamo proseguire con l’operazione … e se era riuscito a ottenere il documento necessario(la fattura della ditta del cognato di Fontana ndr)». «Per ora sospenda tutto, mi farò sentire più avanti», la risposta del presidente della Lombardia.

Le versioni del presidente

Domani aveva rivelato che il conto corrente aperto nel 1997 era sì intestato alla madre, all’epoca 74enne, ma il delegato a compiere operazione era proprio Fontana, che in quegli anni era sindaco di Induno Olona, il suo paese natale dove il padre medico di base e la madre dentista avrebbero accumulato una fortuna milionaria. Un fatto che ha smontato la tesi di Fontana sul fatto che il conto fosse «una cosa dei suoi genitori» che «all’epoca andava di moda». Nell’ultima inchiesta giornalistica pubblicata ieri abbiamo raccontato come da alcuni documenti emerga il pagamento di sanzioni per «omessa dichiarazione di disponibilità estere da parte del procuratore del conto corrente, beneficiando di un cospicuo sconto».

Il riferimento è sempre ai conti correnti intestati alla madre custoditi in Svizzera e schermati da società e fondazioni nei paradisi fiscali. Fontana ha sempre sostenuto di essere soltanto l’erede beneficiario di quei depositi e che dopo la morte della madre, Maria Giovanna Brunella, ha, nel 2015, regolarizzato il tesoretto aderendo alla voluntary disclosure, lo scudo fiscale varato dal governo Renzi nel 2014. Alla fine con questa manovra il governo ha recuperato 3,8 miliardi di euro.

La regione con più domande di rientro di capitali esteri è stata proprio la Lombardia, qui sono state fatte più della metà delle pratiche di voluntary e sono emersi patrimoni nascosti nei paradisi fiscali per quasi 27 miliardi di euro. Di questi solo 7,5 sono rientrati in Italia. Del totale una piccola fetta era della famiglia Fontana, che però ha lasciato il patrimonio sempre nei forzieri oltre confine e li ha affidati a una società fiduciaria nazionale. Fontana, inoltre, fa parte dei 1.800 contribuenti che hanno regolarizzato somme comprese tra i 3 e i 6 milioni. Non tantissimi. In totale dalla regione guidata da Fontana sono arrivate nelle casse del fisco nuove entrate per quasi 1,8 miliardi. Denaro prima sommerso e occultato in casseforti alpine o caraibiche.

Dai documenti in nostro possesso sull’eredità dei conti svizzeri risulta che il presidente ha versato all’Agenzia delle entrate 64mila euro per le annualità 2010-2013 come adesione all’invito a comparire per sanare la posizione della madre. Ma nello stesso periodo ha versato ulteriori 57.138 mila euro come sanzioni relativa all’irregolarità nella dichiarazione di successione del patrimonio estero.

Il governatore ha risposto a Domani: «Mia mamma è deceduta nel 2015 e ho fatto la procedura di regolarizzazione nello stesso anno pagando imposte tasse e sanzioni così come era previsto dalla legge al tempo in vigore, le mie dichiarazioni al fisco sono state controllate dall’Agenzia delle entrate». Una versione contrastante con quella degli esperti fiscalisti consultati dal nostro giornale secondo i quali si tratta di una sanzione per l’omessa dichiarazione di disponibilità estere da parte del procuratore del conto corrente.

«A mia insaputa»

Sui conti della signora Brunella, Fontana dice: «Il conto di mia madre era il conto da cui provenivano tutte le attività su cui non ho mai operato e su cui comunque residuavano poche migliaia di euro. Era talmente risalente nel tempo che non ricordavo neanche di avere una delega ed è stato comunque sanata, fermo restando che i miei consulenti al tempo mi dissero che le norme sul monitoraggio per coloro che avevano una semplice delega mai utilizzata non erano così chiare e stringenti come oggi per cui non avevo alcuna consapevolezza, inoltre anche oggi comunque trattasi di una mera sanzione ammnistrativa e non penale». Aveva dimenticato di essere il procuratore, Fontana. Insomma, aveva avuto la delega dall’anziana madre, nel 1997, a sua insaputa.

La relazione contenuta nel fascicolo della voluntary disclosure di Fontana non mente: «Le violazioni oggetto di emersione sono commesse dal 2009 al 2013 realizzate attraverso la non indicazione nelle dichiarazioni dei redditi delle attività finanziarie all’estero». Tradotto: un’evasione fiscale lunga cinque anni. Perché non dichiarare quelle somme? Davvero l’anziana madre ha deciso tutto da sola? L’inchiesta in corso alla procura di Milano cerca risposte anche nella documentazione acquisita presso lo studio del fiscalista Valerio Vallefuoco di Roma, che ha seguito la pratica Fontana, all’epoca sindaco di Varese. Tra le carte, per esempio, potrebbero esserci le tracce dell’origine del tesoretto accumulato sui conti della signora Brunella quando il figlio aveva già iniziato la sua carriera politica.

Alle risposte inviata dal presidente a Domani è seguita, però, una seconda mail inviata da Jacopo Pensa, il suo legale. «Il presidente Fontana mi prega di veicolarvi la sua seguente risposta», ha scritto Pensa, prima di lasciare la parola al suo assistito, che accusa Domani di aver violato la sua privacy, il segreto d’ufficio e del segreto istruttorio oltreché aver divulgato segnalazioni sospette dell’antiriciclaggio.

Prima risponde, poi minaccia

Sostiene che le notizie pubblicate siano prive di fondamento ma allo stesso tempo non vuole parlare perché «tutti i temi da voi toccati sono oggetto di indagini da parte dell autorità giudiziaria e per rispetto di tale autorità e delle indagini stesse non intendo rispondere a qualsivoglia domanda». Precisando, poi, che le sue dichiarazioni al fisco «sono state accuratamente controllate dall’Agenzia delle entrate con gli atti di accertamento a cui ho aderito volontariamente».

Secondo il presidente Fontana i cittadini non hanno, quindi, il diritto di conoscere come chi amministra le finanze pubbliche gestisca quelle personali. Non è irrilevante per un politico spiegare come siano finiti 5,3 milioni di euro di famiglia in un paradiso fiscale?

Al di là dei rilievi penali, ma per trasparenza, nei confronti prima di tutto dei lombardi che gli hanno dato la loro fiducia votandolo ed eleggendolo.

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