La riforma della curia romana è stata una delle priorità del pontificato di Bergoglio. Molti dei papabili, però, provengono proprio dalle strutture che hanno governato la chiesa in questi anni. Da Parolin a Tagle, passando per Prevost
Certo si può rimanere impressionati, a prima vista, dal numero di cardinali curiali di cui si parla in questi giorni come possibili successori di papa Francesco. Soprattutto se si considera il trattamento critico riservato alla curia vaticana dal pontefice argentino.
Nel 2014, nel tradizionale discorso per gli auguri di Natale rivolto alla curia romana, Bergoglio aveva addirittura stilato un catalogo di ben 15 «malattie curiali». La prima era quella del «sentirsi immortale, immune o addirittura indispensabile, trascurando i necessari e abituali controlli. Una curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo».
Una malattia che discendeva spesso «dalla patologia del potere, dal “complesso degli eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi».
Dopotutto la riforma della curia è stato uno dei temi forti del pontificato, anche perché corrispondeva a un preciso mandato ricevuto dal papa dai cardinali elettori nel 2013. Oggi, per quanto i problemi non siano finiti, le cose sono in buona parte cambiate. E la presenza di diversi candidati curiali al Soglio pontificio ne è la prova.
Curiali e papabili
Nelle previsioni pre conclave il favorito sembra essere Pietro Parolin, segretario di Stato uscente (tutte le cariche vaticane decadono alla morte di un papa), artefice dell’architettura diplomatica della Santa sede negli ultimi 12 anni. Certo, come raccontato da questo giornale, pesano sulla sua candidatura le ombre del caso Becciu, ma soprattutto la gestione del complicato dossier cinese.
Altro papabile che negli ultimi giorni sembra essere un po’ calato nelle quotazioni dei bookmaker è il cardinale Robert Prevost, già prefetto del Dicastero per i vescovi, originario di Chicago, ha passato gran parte della sua esperienza ecclesiale in Perù dove ha svolto un’intensa attività missionaria anche come vescovo.
Dell’elenco fanno parte anche il già prefetto delle Chiese orientali, Claudio Gugerotti, che vanta una lunga esperienza come nunzio in giro per il mondo (dalla Georgia, all’Armenia, dalla Bielorussia, all’Ucraina, al Regno Unito) ma, soprattutto, Luis Antonio Tagle, già prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e poi, fino alla morte di Francesco, pro-prefetto della sezione per la prima evangelizzazione e le nuove chiese particolari del nuovo dicastero per l’Evangelizzazione.
Alcuni media segnalano anche il ghanese Peter Turkson, attualmente cancelliere della pontificia Accademia delle scienze e della pontificia Accademia delle scienze sociali, in precedenza primo prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale.
C’è da considerare, inoltre, che i cardinali di curia uscenti, a parte gli emeriti, sono stati tutti o quasi, nominati da papa Francesco, dunque, sia pure non senza conflitti o problemi in alcuni casi, sono uomini vicini alla sensibilità di Bergoglio, per quanto poi pronti a seguire proprie e originali interpretazioni della sua eredità.
Accanto a loro, inoltre, vi sono almeno due gesuiti porporati che, proprio in quanto tali, ben difficilmente saranno eletti dopo il primo papa gesuita della storia, ma possono comunque aspirare al ruolo altrettanto decisivo di “kingmaker”. Si tratta di Michael Czerny, già prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, di origine canadese, e del lussemburghese Jean Claude Hollerich, che ha fatto parte del C9, il ristretto gruppo di cardinali che coadiuva il papa nel governo della chiesa universale.
Uno strumento di servizio
E proprio quest’ultimo organismo, creato da papa Francesco, appena un mese dopo la sua elezione, allo scopo di riformare la curia romana e farsi aiutare da cardinali provenienti da ogni parte del mondo nel governo della chiesa universale, ha dato fin dal principio il segno di un cambiamento che avrebbe scosso le fondamenta dell’istituzione.
«La riforma della curia romana – racconta padre Federico Lombardi, già responsabile della sala stampa della Santa sede con Benedetto XVI e nei primi anni di Francesco, sull’ultimo numero della Civiltà cattolica – prese forma gradualmente nel corso di nove anni, fino alla pubblicazione della costituzione apostolica Praedicate Evangelium del marzo 2022. Dal titolo stesso se ne comprende immediatamente l’ispirazione, che in realtà era chiara a Francesco fin dall’inizio: la curia romana è uno strumento del papa per il servizio alla chiesa nel mondo, cioè l’annuncio del Vangelo. Il Dicastero per l’evangelizzazione occupa perciò simbolicamente il primo posto fra i 16 dicasteri, e il papa stesso lo presiede direttamente».
«Un’operazione così ardua e complessa – spiega ancora il gesuita – comporta naturalmente difficoltà e limiti, per cui rimane certamente sempre perfettibile. Ma bisogna riconoscere che papa Francesco l’ha condotta in porto nonostante dubbi, obiezioni non tutte infondate e forti resistenze, grazie a una volontà molto ferma, che non ha avuto paura di chiedere anche sacrifici per il bene superiore della missione».
Insomma il conflitto c’è stato, perché l'intervento di Francesco, su mandato del collegio cardinalizio che lo aveva eletto, era quello da una parte di fare pulizia dei troppi scandali che assediavano la curia romana, dall’altra di accompagnare questo lavoro con riforme che lo rendessero stabile nel tempo.
Di questo sforzo, ha fatto parte la complessa e sempre in fieri, riforma delle finanze, improntata all’introduzione di criteri e standard internazionali di trasparenza nella programmazione economica e nell’assegnazione degli appalti.
Infine, ma non certo per ultimo, vanno ricordate due cose: l’istituzione della Pontificia commissione per la tutela dei minori, organismo dalla via travagliata nei primi anni che si sta facendo un po’ alla volta spazio nella nuova curia romana, e la nomina di alcune donne, religiose e laiche, in posti chiave della curia. Così come l’arrivo di laici uomini alla guida di altri dicasteri rilevanti; si tratta di fatti destinati a lasciare il segno.
Non a caso nelle congregazioni pre-conclave fra i temi in discussione c’è la questione degli abusi sessuali, dello stato delle finanze della chiesa, del ruolo delle donne e dei laici in generale. Ora c’è da capire se tra i cardinali, diversi dei quali, in questi giorni, hanno avanzato l’idea di affiancare al prossimo papa un consiglio episcopale permanente, prevarrà l’idea di proseguire il lavoro avviato da Francesco o di un ritorno al passato.
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