Sono falsi i bilanci delle Ferrovie dello stato e dell'Anas dal 2018 al 2020 e gli amministratori delle due società in carica in questi anni, Gianfranco Battisti alle Fs e Massimo Simonini all'azienda delle strade, rischiano di dover comparire in tribunale per il reato grave che ne consegue. Gli effetti economici negativi del falso finiranno per scaricarsi sul bilancio dello stato con un passivo che stando alle prime valutazioni arriverà a sfiorare il miliardo di euro.

La non corrispondenza al vero dei documenti contabili delle due società è la conseguenza diretta di un parere negativo fornito dall'Avvocatura generale dello stato che ad aprile di un anno fa era stata chiamata in causa per valutare la liceità dell'allungamento ventennale, dal 2032 al 2052, della concessione statale ad Anas. Allungamento che è alla base della fusione tra Anas e Ferrovie dello stato decisa alla fine del 2017. In forza di quel vagheggiato prolungamento Anas sosteneva di portare in dote alle Fs un patrimonio di oltre un miliardo e mezzo di euro, somma necessaria per far sì che l'operazione di fusione stesse in piedi anche da un punto di vista finanziario.

I bilanci di Anas e Fs, che è diventata la società controllante di Anas, sono stati redatti sulla base di quel presupposto contabile che però è fasullo. L'allungamento della concessione che molti autorevoli esperti ingaggiati da Anas, avevano ritenuto praticabile, in realtà non è possibile. In questi mesi Domani lo ha scritto più volte senza ricevere né smentite né precisazioni da parte di Anas e Fs.

Ora sulla faccenda si pronuncia in maniera molto più autorevole e definitiva l'Avvocatura dello stato con un parere assai dettagliato di 45 pagine inviato al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, a quello delle Finanze e all'Anas. Il parere è firmato dall'avvocato generale Gabriella Palmieri Sandulli ed è la pietra tombale sul progetto strampalato di fusione tra Anas e Fs, o meglio, di incorporazione di Anas in Fs, voluto caparbiamente dall'ex amministratore dell'azienda pubblica delle strade, Gianni Vittorio Armani, proseguito dal successore Simonini, accolto dal capo di Fs Battisti (sostituito dal governo alcuni giorni fa) e avallato politicamente da Matteo Renzi che era il presidente del Consiglio di allora e stravedeva per Armani.

Tre bilanci in perdita

Nelle conclusioni c'è scritto in maniera chiarissima che l'Avvocatura dà «parere negativo sulla possibilità per codesto ministero (delle Infrastrutture ndr) di procedere alla sottoscrizione di una nuova convenzione unica con Anas spa con scadenza al 31 dicembre 2052, in presenza di un nuovo piano economico finanziario». Richiamando in particolare le norme europee, qualche riga dopo l'Avvocatura sostiene che «la proroga di 20 anni della durata iniziale della concessione appare, in effetti, costituire una modifica sostanziale delle condizioni della concessione esistente, in violazione dei principi di concorrenza, pubblicità, parità di trattamento e trasparenza».

La conseguenza immediata è che sia Anas sia Fs dovranno svalutare il loro patrimonio. Per Anas l'operazione comporterà una perdita di 250 milioni di euro da conteggiare nel bilancio del 2022 relativo all'esercizio 2021 che risulterà quindi il terzo anno consecutivo in perdita dopo il passivo di 71 milioni di euro del 2019 e il passivo del 2020 che ufficialmente non è stato reso noto, ma che secondo indiscrezioni dovrebbe aggirarsi sui 180 milioni di euro. Per Fs la svalutazione sarà di 650 milioni di euro. La differenza di importi tra Fs e Anas deriva dalla circostanza che quest'ultima azienda da quattro anni sta in via cautelativa ammortizzando a colpi di 100 milioni di euro l'anno la svalutazione del patrimonio, mentre Fs dovrà svalutarlo in un colpo solo non avendo effettuato manovre in precedenza. Entrambi gli importi si scaricheranno sul ministero delle Finanze proprietario di Fs e quindi sul bilancio dello stato.

Gli avvertimenti inascoltati

In passato più volte Pino Zingale, il magistrato della Corte dei conti presente in Anas, aveva fatto presente che il prolungamento della concessione così come era stato concepito non era possibile e quindi l'operazione Anas-Fs non stava in piedi. Non l'hanno ascoltato. La brutta storia della concessione e della mancata svalutazione del patrimonio aveva prodotto lacerazioni profonde anche tra i massimi dirigenti del ministero che allora si chiamava ancora dei Trasporti.

L'improbabile piano di allungamento della concessione è stato di fatto avallato da Alberto Stancanelli, capo di gabinetto prima con la ministra Paola De Micheli e poi con Enrico Giovannini. Mentre il direttore della vigilanza stradale, Antonio Parente (che è poi deceduto a metà novembre dell'anno passato) aveva più volte ufficialmente avvertito sia il ministro sia l'Anas che non era possibile una proroga ventennale della concessione statale all'azienda delle strade così come era stata elaborata fino ad allora. E quindi non c'era nessun patrimonio derivante dall'allungamento che l'Anas avrebbe potuto portare in dote alle Fs. Gli stessi concetti sono stati sostanzialmente ripresi dal successore di Parente, Pietro Baratono, e neanche lui è stato ascoltato né dalla ministra De Micheli né da Giovannini. Quest'ultimo ha fatto di più decidendo di rimuovere Baratono dal suo incarico ministeriale.

A questo punto dovrà essere trovata una soluzione per rimediare il grave pasticcio combinato. La più logica potrebbe essere di riportare l'Anas alla sua natura precedente di azienda pubblica sotto il controllo del ministero.

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