Gang, povertà e precarietà. I confini invisibili di Torino

Fine ottobre, Torino, periferia nord: bancali accatastati, sedie, reti: la porta carraia del liceo Einstein di Torino si presenta come il posto di guardia di una enclave, la cui ultima difesa è una barricata. Siamo nel mitologico quartiere di Barriera di Milano, famoso per chansonniers, banditi, spacciatori, ladri; ignorato per i milioni di lavoratori e lavoratrici che nei decenni qui hanno vissuto mentre costruivano l’industria italiana. L’occupazione è dovuta al volantinaggio “contro la cultura maranza degrado e violenza” – è lo slogan numero uno della destra italiana – finito in parapiglia tra esponenti di Gioventù nazionale e liceali. Uno studente viene portato via dalla Digos. Intorno alla scuola si vedono alti palazzoni, ruderi industriali di raro pregio architettonico e il “trincerone”, una ex linea ferroviaria interrata oggi coperta dalla boscaglia: in futuro diventerà la nuova linea della metro. C’è anche l’autoproclamatosi re dei maranza, un piccolo e aggressivo delinquente che spadroneggiava nel quartiere, poi arrestato dalla Polizia mentre si nascondeva in una cantina. Degrado, baby gang e maranza qui sono ovunque almeno a livello iper reale, alla Baudrillard, quello che conta sul serio perché produce plusvalore mediatico, economico e politico: nella barriera quindi vivono barbari di ogni specie che spacciano e si inseguono con la roncola quando litigano. Prima però vivevano in larga misura i maranza ante litteram: i “napuli”: epiteto coniato dai piemontesi che consideravano i meridionali dei selvaggi che piantavano il basilico nel bidet, non avevano voglia di lavorare e regolavano i conti a suon di pistolettate per strada. Anni Cinquanta-Sessanta. Non era vero, si ammazzavano di turni a Mirafiori come questi di oggi si ammazzano di lavoro nei cantieri, nei ristoranti, sulle bici che inforcano giorno e notte per portare polli e pizze in giro. Prima ancora c’erano altri alieni, i forestieri: astigiani, alessandrini, gente delle valli, tutti divorati nelle ferriere dei primi del Novecento, che i torinesi doc inquadravano come scansafatiche, sanguigni, piantagrane. La strategia dei maranza, la destra usa le banlieu per offuscare le piazze per la Palestina Forestieri e maranza Un eterno ritorno del sempre uguale, come diceva Friedrich Nietzsche, il filosofo che a Torino è impazzito. «Ma noi eravamo diversi», commenta una signora riferendosi ai nuovi arrivati: una rapida occhiata alla cronaca dei giornali degli anni dei film di Ausino – “Torino violenta” e “Tony, l’altra faccia della Torino violenta” – racconta un’altra storia. Oggi come allora, come sempre, qui ci sono tanti giovani, tanti lavoratori poveri, alcuni sbandati, alcuni delinquenti e un mare di lavoratori che tengono in piedi la città: non si può dire, il coro vuole che la Barriera sia nettamente peggiorata da quando sono arrivati i papà e le mamme dei maranza che fanno le baby gang e creano il degrado. Oggi come allora ogni tanto fanno un repulisti sperando che gli sbandati si dissolvano: l’ultimo solo pochi giorni fa, celebrato via social dal sindaco Lo Russo che ha scandito bene “la sicurezza è di sinistra”. Luca Davico, sociologo che studia Torino da molti anni e probabilmente ne sa più di tutti, commenta: «Il mito negativo di Barriera di Milano è pericoloso per due motivi: il primo è di costruire una narrativa, falsa, di questo quartiere come se in passato avesse vissuto un’età dell’oro, messa poi in crisi dall’immigrazione straniera; il secondo rischio è dimenticarsi di altri quartieri, altrettanto problematici, della periferia nord. Dipende anche da cosa vogliamo vedere, da quali problemi ci interessano: se il problema sono gli spacciatori, o magari soltanto le persone di tante etnie che stazionano per strada, allora effettivamente Barriera e Aurora sono quartieri che hanno situazioni del genere. Se invece il tema è la concentrazione di problemi come disoccupazione, povertà, abbandono scolastico, cattiva salute, ecc., allora questi si stratificano in molte zone della periferia nord, da Vallette a ovest a Regio Parco a est». Cristina Prandi, rettrice dell’Università di Torino, ha però un’altra idea e pochi giorni fa l’ha espressa in Comune con toni ruvidi: «Non farei vivere mia figlia in Barriera». Federico Bellono, segretario della Camera del lavoro piantata col suo palazzo vagamente brutalista in Aurora – altra zona assediata dal sostantivo “degrado” – poco distante dalla Barriera, inquadra la situazione in altri termini: «La frontiera più visibile a Torino è quella tra lavoro povero e lavoro ricco: la vecchia industria produce lavoro e integrazione, il resto no, anche i settori trendy del centro che piacciono. Il lavoro precario non integra, il lavoro stabile sì. Questa è la vera frontiera oltre la quale c’è il vero degrado». Le ronde “anti maranza” e la matrice neofascista: l’indagine è solo all’inizio Distanze incolmabili La distanza tra la città per bene senza maranza che attrae i turisti a battaglioni e questa retrovia è pari a un chilometro e mezzo, si trova lungo l’asse di corso Regina Margherita, zona Porta Palazzo: dove c’è quel mercato che vende le arance a tre euro per cinque chili a gennaio a tutta quella marmaglia di stranieri. Uno dei “confini invisibili di Torino” come disse Carlo Levi – oggi ben più netto – dove la lotta è durissima, ma ci stanno provando a respingere l’orda più a nord: piccoli investimenti di apparente lusso nel settore ristorazione, storytelling ad libitum pro hipster e bobo, hanno perfino cacciato via i piccoli commercianti degli stracci dal Balon dopo decenni: ma quelli niente, rimangono. «La politica è assente», dicono gli abitanti che si sentono «abbandonati». Della politica effettivamente non interessa nulla a nessuno e l’astensionismo dilaga in Barriera. Il fronte, democratico, su questo piano è crollato. Chi fa le cose che servono sono le fondazioni bancarie: quelle sì hanno consenso e se fossero un partito stravincerebbero. Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt fanno, e spendono, talmente tanto – oltre ai finanziamenti alla cultura in città si occupano di: povertà, infanzia, Università, acquisto e riqualificazione di patrimoni Unesco abbandonati, dispersione scolastica, cura del verde, recupero tasse, tappano perfino le buche dell’asfalto – che non si capisce chi sia lo Stato, se loro o il Comune: il quale non ha un euro, è indebitato e non rimane che sperare nel prossimo piano regolatore che sta studiando con Bloomberg. Ai ragazzi che montano la guardia alla barricata al liceo Einstein, e vivono nella barriera, questa storia del degrado non piace: e non piace nemmeno sentire che la loro scuola è una enclave: «Il quartiere ha dei problemi, ma non è degradato». E basta, fine della discussione. Da Milano al resto d’Italia, le ronde di picchiatori “anti-maranza” si organizzano su Telegram: «La violenza si combatte con altra violenza»