Isolato all’interno, scaricato all’esterno. Il capo della Polizia, Vittorio Pisani, vive la sua parabola discendente dopo la gestione dell’affaire Giambruno, con le due persone scoperte a trafficare vicino all’auto dell’ex compagno di Giorgia Meloni.

Una storia, svelata da Domani, che rischia ora di compromettere la carriera del super poliziotto, che nel curriculum vanta l’arresto di boss efferati del clan dei Casalesi. Ora si valuta addirittura una via d’uscita, con un possibile avvicendamento. A palazzo Chigi c’è il gelo nei suoi confronti. Uno dei suoi principali sostenitori, il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, ha perso la fiducia, e di conseguenza anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rivisto il giudizio. La leader di Fratelli d’Italia si fida ciecamente di Mantovano in materia di apparati di sicurezza.

Perfino il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, che lo aveva sponsorizzato per prendere il posto di Lamberto Giannini, fatto fuori prima del tempo per promuovere Pisani, pensa che non sia più inamovibile. Infine, al Viminale di Matteo Piantedosi, responsabile formale della nomina, è aumentata la diffidenza. Il clima tra i funzionari di polizia è quello di attesa.

Il caso Giambruno

Il macigno sulla carriera di Pisani è comunque caduto nella notte tra il 30 novembre e l’1 dicembre 2023, davanti alla villa di Meloni, quando due persone si aggiravano nei pressi dell’auto del già compagno della premier, Andrea Giambruno. In quella notte la premier era all’estero.

Chi erano i due avventori che smanettavano nei pressi del bolide del giornalista di Mediaset? La gestione del caso, a guardare genesi ed esito, è disastrosa. E si abbatte su due vertici di peso. Pisani, appunto, e Giuseppe Del Deo, l’ex potente dirigente dei servizi segreti pensionato anzitempo con un dpcm ad hoc, dopo le rivelazioni di questo giornale.

I due hanno sempre vantato un ottimo rapporto. L’attuale capo della polizia era vicedirettore dell’Aisi, l’agenzia interna dell’intelligence, quando Del Deo gestiva le intercettazioni preventive ed era a capo del reparto economico-finanziario dei servizi. Si muovevano d’intesa. Un feeling che non è venuto meno nella gestione del caso Giambruno.

Tutto inizia quando un’agente di polizia, di vigilanza con la sua volante alla casa all’Eur della premier, nota che qualcosa non torna. Ferma le due persone, che si qualificano come «colleghi», ma non approfondisce. I due vanno via, lei fa però subito rapporto.

Dell’accaduto vengono avvisati tutti i vertici. Ora Domani ha scoperto che l’identikit fatto dall’agente donna di uno dei misteriosi mister X viene riconosciuto da Giuseppe Ditta, un dirigente di lunga esperienza, in quel momento capo segreteria del questore di Roma. Il sospetto appartiene alla scorta personale di Meloni, è in forza all’Aisi e qualche giorno prima era passato in questura perché doveva rinnovare il passaporto. Quando la foto viene mostrata all’agente, lei conferma che il viso che ha visto di notte potrebbe essere proprio quello.

Il nome del secondo sospetto viene fatto direttamente dai vertici dell’Aisi: sarebbe un altro agente dell’agenzia al tempo guidata da Mario Parente, anche lui nella scorta di Meloni. Scorta che è comandata da Giuseppe Napoli, altro effettivo Aisi, vicinissimo a Del Deo e marito di Patrizia Scurti, segretaria della premier.

Per la cronaca, Ditta dopo il presunto “riconoscimento” è stato trasferito a guidare il commissariato di Tor Carbone, periferia sud di Roma. La ragione ufficiale è il cambio di questore, che preferisce avere una persona di fiducia. A Domani spiegano altri inquirenti che si tratta di un normale avvicendamento, nulla più.

Ma c’è un altro dettaglio che nessuno finora ha evidenziato. Il caso fin dall’inizio è stato seguito dalla Digos, come da prassi per vicende del genere. Ed è la Digos inizialmente a indagare, con mandato della procura di Roma, sui due agenti. Che vengono subito spostati armi e bagagli all’Aise, senza che i capi (in primis Giovanni Caravelli) conoscessero i reali motivi del trasferimento. Improvvisamente, però, entra in scena una “seconda” polizia giudiziaria, cioè la squadra mobile di Roma, all’epoca guidata da Stefano Signoretti, che di recente è stato promosso dirigente superiore. Un affiancamento, secondo quanto risulta a Domani, che ha avuto il placet del dipartimento di pubblica sicurezza guidato da Pisani, d’intesa con il segretario dello stesso dipartimento, Diego Parente.

La scelta è stata ufficialmente assunta dalla procura di Roma con l’obiettivo – è il capo Francesco Lo Voi a seguire l’inchiesta – di chiudere la delicata inchiesta in tempi rapidi. Alla Digos, però, molti non hanno apprezzato la decisione, e lo scontro con i colleghi sulla gestione dell’inchiesta cova da mesi sotto la cenere.

È certo che dopo poco tempo dall’arrivo della squadra mobile arriva un primo colpo di scena: i due sospetti vengono rapidamente scagionati, grazie all’analisi delle celle telefoniche. Nella notte in cui l’auto di Giambruno è stata “avvicinata”, loro (o quantomeno i loro telefonini) sarebbero stati localizzati altrove. A confermarlo ci sarebbe anche un passaggio registrato da un Telepass in autostrada.

A quel punto, sempre attraverso l’uso delle celle, l’Aisi di Parente e Del Deo e la polizia segnalano la presenza in zona, quella notte, di un ricettatore di auto usate. S’impone dunque una nuova narrazione. Non una spy story, ma quella dunque di un banale furto (mancato) delle gomme della Porsche dell’ex compagno della premier.

Sarà il presunto ricettatore uno dei due uomini misteriosi? Una prima conferma viene chiesta alla poliziotta che aveva indicato l’agente segreto. Secondo quanto risulta a Domani, la donna non individua il presunto ricettatore tra le foto sottoposte.

Non solo: il presunto ladro, interrogato dagli inquirenti (e intervistato dal Fatto), ammette che quella sera era sì vicino alla macchina di Giambruno, ma parla di un banale «equivoco». E il secondo uomo? «L’avevo conosciuto da pochissimo, poi mai più visto. È lui che ha parlato con la poliziotta», ha detto in una ricostruzione pasticciata che non ha convinto né Lo Voi né Meloni, sentita come persona informata dei fatti.

Doppia indagine

Il governo, per bocca del sottosegretario Alfredo Mantovano, quando Domani aveva sollevato il caso, aveva subito escluso «il coinvolgimento di appartenenti ai Servizi». Anche se l’inchiesta si avvia a una probabile archiviazione, il mistero resta.

Del Deo in questa partita si è giocato le chance di diventare direttore del servizio interno. E ora anche Pisani rischia grosso. Paga la gestione dell’inchiesta dei suoi uomini, i dubbi di Meloni e Piantedosi, e pure quelli del suo ex principale sponsor Salvini, che non ha apprezzato il rapporto troppo stretto con Del Deo.

Salvini è infatti ancora scottato per quanto accadde ai tempi delle sue visite all’ex ambasciatore russo in Italia Sergey Razov nel maggio del 2022. Il contenuto di alcune intercettazioni fatte dall’Aisi (che ascoltava il consulente leghista Antonio Capuano, che aveva accompagnato Salvini in ambasciata) finirono su La Verità, creandogli enormi imbarazzi.

Non è tutto. Oltre all’auto di Giambruno, anche la vicenda dei vitalizi non ha aiutato Pisani. Il capo della polizia, poche settimane prima della nomina, ha chiesto il riconoscimento dello status di vittima del dovere per un infortunio risalente al 1996, per una caduta che gli aveva provocato la rottura del polso.

Un beneficio concesso a chi ha subito ferite gravi (o è stato ucciso) durante il servizio. Tempo prima in famiglia era stato ottenuto un riconoscimento alla famiglia del suocero, il defunto Vincenzo Pirone, per le «particolari condizioni ambientali e operative», come sostenuto da una relazione firmata dallo stesso Pisani.

Secondo molti, il capo della polizia ha dunque fiutato l’aria, e starebbe valutando una via d’uscita, come quella di direttore dell’Agenzia della cybersicurezza. Ma per il governo cambiare per la terza volta il capo della polizia in due anni e mezzo non sarebbe una mossa banale.

© Riproduzione riservata