A Roma il silenzio, in Toscana una resa dei conti spietata. Lo scandalo dei pluriennali rapporti incestuosi con l’industria del cuoio sta facendo esplodere il Pd. Eppure ai piani alti continua l’ostinato silenzio sul comparto conciario che smaltiva illegalmente gli scarti con la compiacenza, e talvolta la corruzione, stando alle ipotesi dell’accusa, degli esponenti regionali del partito che governa la Toscana da sempre, oltre che della ’ndrangheta.

Tace il segretario del partito Enrico Letta, che pure si fa fotografare in bicicletta nella sua Pisa, a pochi chilometri dai depuratori sotto accusa, quasi a rivendicare un nuovo afflato ecologista. Tace a Firenze Matteo Renzi, segretario di Italia viva. Tace ad Arezzo Rosy Bindi che per il Pd è stata, perfino, presidente della commissione parlamentare Antimafia.

Così è toccato all’ex governatore Enrico Rossi, senza poltrona da sette mesi, sganciare la bomba. È stata la sua giunta a deliberare nel 2018 la proposta di legge che avrebbe dato agli impianti di depurazione delle concerie di Santa Croce sull’Arno la licenza di inquinare. Ma la norma, in contrasto con quelle nazionali ed europee, non ha passato il vaglio degli uffici regionali.

Quando esce la notizia sui giornali locali, Rossi perde la pazienza, si fa intervistare dalla tv regionale Telegranducato e spara a zero sul suo successore Eugenio Giani e sul consigliere regionale pisano e lettiano Andrea Pieroni.

È toccato a lui, oggi indagato per corruzione, portare in consiglio regionale la norma, approvata in un battibaleno il 26 maggio 2020 grazie all’attiva distrazione del presidente dell’assemblea, appunto Giani, oggi governatore al posto di Rossi. Quel giorno il governatore Rossi non ha fiatato. Oggi celebra l’anniversario accusando Giani e Pieroni di aver agito in modo «surretizio e subdolo». Cioè di essere assoggettati agli interessi degli industriali.

Un missile sul Nazareno

L’accusa al luogotenente di Letta nella sua città natale fa cadere il missile direttamente nella sede del Nazareno. La storia di quell’emendamento è semplice. Viene presentato in aula, alla quinta ora di seduta, tra le proteste dell’opposizione, che sosteneva di non averne copia, ma viene ugualmente messo in votazione da Giani e approvato con il voto favorevole dell’attuale presidente della regione.

Il provvedimento caro ai conciatori, che oggi l’avvocatura della regione definisce «un maldestro tentativo lobbistico», consentiva di escludere l’impianto di depurazione Aquarno dall’obbligo di Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Pieroni presenta l’emendamento direttamente alla presidenza, senza passare dalla commissione legislativa, «per la contrarietà nota degli uffici tecnici regionali».

Quel giorno racconta al direttore dei conciari Gliozzi la genesi del provvedimento: «Quando si è visto che i Cinque stelle o la sinistra (...) hanno chiesto addirittura “ma dov’è l’emendamento? È presentato nei tempi normali?” si è capito che non l’avevano visto e a quel punto lì... avevo parlato con Giani, gli ho detto “guarda l’emendamento io non lo presento tanto è inutile” (…) gli ho detto a Eugenio “Vai liscio” e di buttarlo lì, infatti lui ha letto velocemente la relazione (...) una tattica studiata... il Covid un pochino ha aiutato, sì». Pieroni è il primo firmatario e per questo è indagato per corruzione avendo ottenuto in cambio la promessa di soldi. Ma dopo la sua c’erano le firme di un altro consigliere Pd, Enrico Sostegni (non indagato), ma anche quelle di Alessandra Nardini e di Antonio Mazzeo (non indagati) che, oggi, presiede il consiglio regionale che, ieri, ha votato l’abrogazione dell’emendamento incriminato.

Abrogazione che, però, non sposta di una virgola il disastro toscano. Rossi tenta di opporre al metodo «subdolo e surretizio» di Giani e Pieroni la sua pretesa di aver fronteggiato eroicamente i conciari. E trasforma la sua delibera di un disegno di legge regionale nella richiesta di un parere. «Alla richiesta delle concerie di avere meno controlli, dopo aver chiesto un parere tecnico all'avvocatura regionale, le abbiamo obbligate ad avere l'autorizzazione integrata ambientale, che impone maggiori controlli. Non c’è un atto di giunta che vada incontro in questo senso a Santa Croce», dice Rossi. In realtà il parere dell'avvocatura bocciava una proposta di legge identica a quella fatta approvare (subdolamente) dal lettiano Pieroni due anni dopo, come ha denunciato il consigliere di Fratelli d'Italia Alessandro Capecchi. Insomma l'obiettivo era il medesimo, infatti, quando Pieroni riesce a farsi votare anche da Giani l'emendamento subdolo, Rossi finge di non venirlo a sapere.

La candidatura a Siena

L’ex governatore, oggi in corsa per la candidatura alle elezioni suppletive di Siena dove si è dimesso Pier Carlo Padoan per andare a presiedere Unicredit, e forse per questa ragione tesissimo, non è indagato ma nelle carte dell’inchiesta appare sempre in attento ascolto delle istanze dei conciatori. In merito a un protocollo d’intesa sulla destinazione dei rifiuti firmato nel 2019, si legge che «Rossi chiede al suo dirigente di riferimento in materia di Ambiente ed Energia approfondimenti non di poco conto sul protocollo di intesa (...) e questi (evidentemente impreparato al riguardo) non trova di meglio che chiamare il tecnico di riferimento dell’Associazione Conciatori (principale beneficiaria dell’accordo) facendolo interloquire direttamente con il presidente».

L’affitto da pagare

In un altro passaggio gli inquirenti scrivono: «Edo Bernini e Ledo Gori (capo di gabinetto licenziato da Giani in quanto indagato, ndr) parlano delle richieste avanzate a Enrico Rossi da parte dei conciatori che alzano sempre il prezzo facendo leva sull’atteggiamento di benevolenza che il presidente ha nei loro confronti». E a opporsi sono i dirigenti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa), non la parte politica. Il 12 ottobre 2020 Rossi, appena sostituito da Giani, va a pranzo con i conciatori. La ricostruzione degli inquirenti appare incompatibile con la versione di Rossi. «Il Rossi iniziava a illustrare i suoi progetti futuri dopo il termine dell’incarico di presidente, ipotizzando un “impegno in Europa”, e raccontava anche di un affitto mensile che doveva pagare e che si aggirava sui 20.000 euro, chiedendo quindi contributi all’associazione conciatori». I conciatori passavano in rassegna i soliti problemi con l'Arpat prima dell’intesa. «Al termine del pranzo emergeva come il contributo all'attività di Rossi sarebbe stato elargito tramite promozione pubblicitaria per un ammontare di 6-7000 auro all’anno, “gestiti in autonomia come associazione”; Rossi replicava che “sarebbe stato perfetto”; li ringraziava e lasciava il proprio recapito telefonico».

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