Giornata della disabilità 2025, l’inclusione è lontanissima. Le carenze del governo

Ogni 3 dicembre il copione è identico: le istituzioni parlano di diritti, il governo rivendica impegni, i palazzi si illuminano di viola. Poi basta spostarsi di qualche metro fuori dalle celebrazioni per vedere la realtà che invece è lì, ferma. Questa mattina Sergio Mattarella ha ricordato che per troppe persone con disabilità l’accesso ai diritti è ancora «un percorso arduo», segnato da «ritardi, dinieghi e complicazioni irragionevoli» che aggravano il peso sulla vita delle famiglie. Le parole del capo dello Stato arrivano mentre i numeri aggiornati mostrano una frattura netta: in Italia solo il 33,5 per cento delle persone tra 15 e 64 anni con gravi disabilità è occupato; tra 36mila studenti universitari con disabilità, meno di 500 accedono al dottorato; molte amministrazioni pubbliche non hanno ancora coperto i posti riservati dalla legge 68/1999. È la fotografia di un paese che non risponde, nonostante vent’anni di normative. Nel frattempo ovviamente il governo prova a prendersi la scena. Il ministro Giuseppe Valditara sostiene che l’esecutivo «ribadisce l’impegno per una scuola realmente inclusiva», rivendicando la conferma del docente di sostegno precario e un «piano di abbattimento delle barriere architettoniche». Matteo Salvini parla di un impegno «che vale ogni giorno», e la ministra Locatelli insiste sul «cammino lungo ma con passi importanti». Parole e rivendicazioni, mentre nei territori si registra tutt’altro. La zavorra della burocrazia sulla qualità dell’inclusione a scuola Obiettivi mai realizzati A questa fotografia si aggiunge il capitolo più rimosso dal discorso pubblico: gli obiettivi dichiarati e mai realizzati. La riforma della disabilità prevedeva che dal 2025 partisse una rete territoriale capace di valutazioni unificate, tempi certi, sportelli dedicati, ma in molte regioni le commissioni multidisciplinari non sono ancora operative e le famiglie continuano ad attendere mesi per accedere ai sostegni essenziali. Il progetto di vita, che sulla carta deve essere costruito insieme alla persona, si perde nella mancanza di personale, nella frammentazione dei servizi e in procedure che cambiano da comune a comune. Lo stesso ritardo riguarda l’accessibilità urbana e dei trasporti, un ambito in cui migliaia di Comuni non hanno aggiornato il Peba (i Piani di eliminazione delle barriere architettoniche) o non lo hanno mai approvato. Scuole, stazioni, marciapiedi, uffici pubblici restano fuori dalla portata quotidiana di chi avrebbe diritto a muoversi senza ostacoli. Anche nel settore privato gli incentivi per l’adeguamento non decollano e i controlli sono rari, dilatando ulteriormente il divario tra norme e realtà. Sul lavoro, oltre ai posti riservati non coperti, manca completamente la parte più ambiziosa delle politiche attive: percorsi personalizzati di accompagnamento, previsti ma mai finanziati adeguatamente. Il sistema continua a scaricare tutto sulla buona volontà dei singoli e sull’informalità, mentre chi cerca un impiego chiede stabilità, continuità e competenze, non misure episodiche. E la scuola non è da meno: l’obiettivo europeo di un’inclusione uniforme entro il 2030 appare oggi lontanissimo. In molte province, gli enti locali segnalano riduzioni delle ore di assistenza all’autonomia per mancanza di fondi, con diseguaglianze territoriali che violano il principio stesso di diritto allo studio. Diana Anselmo: «La sordità non è mancanza, ma un modo di vivere il mondo» La denuncia dei sindacati Le organizzazioni sindacali non usano formule celebrative. Cgil e Uil denunciano la mancanza di risorse nella legge di Bilancio: nessun incremento al Fondo unico per l’inclusione e un fondo «esiguo» per i 7 milioni di caregiver. La riforma della disabilità prevede il progetto di vita personalizzato, ma i territori non hanno i fondi per renderlo possibile. I servizi socioassistenziali, già logorati, non riescono nemmeno a garantire i livelli minimi. Sul lavoro, la Uil chiede «risorse stabili e politiche concrete», mentre la Cgil ricorda che molte imprese continuano a pagare le penali invece di assumere. Il programma Gol, che il governo presenta come svolta nelle politiche attive, «non ha inciso» sulle condizioni delle persone in cerca di occupazione o scoraggiate. Sul fronte scolastico i numeri raccontano un’altra crepa: 359mila studenti con disabilità, il 4,5 per cento del totale, dipendono da un sostegno ancora discontinuo. La stabilizzazione del personale resta un annuncio, non una riforma compiuta. E mentre i ministri parlano di accessibilità, arriva il richiamo dell’Unicef: i bambini con disabilità risultano «svantaggiati nella maggior parte degli indicatori di benessere» e fino a «quattro volte più esposti ad abusi e violenze». Il professore Francesco Vaia, dell’Autorità garante nazionale, avverte che la disabilità «non è un destino ineludibile» e che servono «ambienti inclusivi lungo l’intero arco della vita». Perfino dal Cnel, Renato Brunetta e Vincenzo Falabella richiamano il paese alla «responsabilità collettiva» e alla necessità di rendere «solidi e omogenei» i servizi territoriali, perché le riforme approvate restano prive di piena attuazione. È un paese in cui la retorica dell’inclusione cresce e i diritti restano fermi ai livelli essenziali. Dove i Comuni attendono risorse, le famiglie sostengono da sole costi enormi, i posti riservati non vengono coperti, la continuità didattica non c’è e l’inclusione lavorativa resta un’eccezione. La Giornata della disabilità è pensata per misurare i progressi. In Italia continua a misurare una distanza: quella tra la celebrazione e la realtà quotidiana delle persone che quei diritti li attendono tutti gli altri giorni dell’anno. Anche quando si spegne il viola.