Nel Salento inaridito dalla xylella l’associazione Manu Manu Riforesta, mentre ricrea un antico bosco, incontra uno stagno d’acqua effimera di interesse comunitario, ora divenuto simbolo di un progetto di rinascita idrica del territorio
«Sulle pianure del Sud non passa un sogno», scriveva il poeta Vittorio Bodini a proposito del suo Salento. Molto tempo dopo quel verso, nell’estremità meridionale delle Puglie avrebbe dovuto passarci la strada statale 275 tra Maglie e Leuca. Un fiume di asfalto contro cui ha lottato per oltre dieci anni un gruppo di amici riuscendo a evitare che il nuovo tracciato seppellisse discariche abusive di rifiuti tossici. Intanto però il paesaggio di ulivi si era disseccato e poi aggravato per la xylella. Così nell’inverno del 2020 quel gruppo di amici ha iniziato a piantare alberi. Si sono dati un nome: Manu Manu Riforesta. Manu manu in salentino vuol dire mano mano come il tempo che richiede la terra e le mani che se ne prendono cura; vuol dire attesa che l’associazione ha trasformato in lenta rigenerazione di un ambiente naturale, economico, umano. «Abbiamo piantumato querce, lecci, carrubi, lentischi, viburni», dice Ada Martella che si occupa della comunicazione, «riproducendo l’antica biodiversità che caratterizzava questa zona prima della monocultura dell’ulivo».
Terra
«Il Salento vive un grosso abbandono delle terre», dice Ada. La sua geografia è fatta di tanti piccoli terreni al di sotto di un ettaro, un tempo coltivati dai proprietari e ora senza ricambio generazionale: «Ci hanno regalato alcuni terreni perché a chi lo vendi un fazzoletto di terra nel deserto degli ulivi». L’associazione ha iniziato a rimboschirli. «Il Salento rurale è solo marketing turistico. Il cuore della ruralità non esiste più. Se nessuno coltiva la terra, nessuno la difende e apri alle società di fotovoltaico ed eolico che di ecologico hanno ben poco». Nelle Puglie la questione meridionale si fa questione salentina, secondo Assunta De Santis, presidente dell’associazione: «Siamo a due km all’interno delle coste turistiche ma nessuno ci vede. Per esistere la nostra attività sulla terra deve essere vista».
Aria
In poco più di un decennio sono venuti a mancare le chiome, l’ombra e l’ossigeno degli ulivi: «Non è vero che sono morti 11milioni di alberi, ne sono stati eradicati o bruciati tantissimi ma tutti gli altri dichiarati morti in realtà sono in ripresa vegetativa», spiega Ada. I primi ettari riscattati da Manu Manu rientrano nel perimetro dell’antica Foresta Belvedere, un polmone verde di querce, frassini, olmi, lecci nel cuore del Salento. Una biodiversità scomparsa con la coltivazione intensiva degli ulivi. «La monocultura è stata un disastro», dice Ada. «E la xylella ha aggravato una situazione già critica che non può essere spiegata solo con l’arrivo del batterio».
Fuoco
La desertificazione del Salento passa anche attraverso il fuoco degli incendi: «La loro natura è dolosa spesso per la speculazione», spiega Ada. «E c’è una forma di rabbia perché non sai come liberarti di questi ulivi che hanno un costo per essere sradicati». I terreni di Manu Manu hanno subito molti incendi: «Non volevano colpire direttamente noi ma se mettono fuoco, col vento le fiamme ci prendono in pieno».
Acqua
«Un giorno, nel deserto degli ulivi», racconta Assunta, «abbiamo visto un boschetto di olmi. È stato come uscire fuori dalla realtà circostante: lì dentro abbiamo trovato uno stagno e ombra, umidità, uccelli». Hanno raccolto i fondi e al catasto hanno scoperto che quella era una porzione della zona di speciale conservazione della Padula Mancina, un’area protetta di interesse comunitario che rientra nella tipologia degli stagni temporanei mediterranei. «Questo terreno non chiedeva di essere rimboschito ma tutelato». Lo hanno pulito da una discarica di rifiuti e hanno incontrato regione e ufficio parchi per chiedere la nomina di un organismo di gestione dell’area protetta: «Si palleggiano le responsabilità». La giusta sensibilità è arrivata invece dal comune di Montesano che ha creato un progetto per acquistare i terreni della Padula Mancina presenti sul suo territorio, un tempo pieno di specchi d’acqua. «È un gesto di straordinario valore», dice Assunta. «Anche per avere un peso maggiore in regione per la tutela dell’area».
Le acque temporanee se favorite nel riemergere periodicamente possono contrastare il processo di desertificazione. «Andrebbe riscoperto il Salento delle acque e gli stagni temporanei ne sono una delle manifestazioni più misteriose. D’estate vedi solo una pozzanghera, se poi in autunno piove, arrivano animali e piante. Un mondo si sviluppa intorno». Una magia vitale ed effimera che appare e scompare seguendo il ritmo imprevedibile delle piogge. Un fenomeno che gli studiosi chiamano ecologia della resurrezione.
In Quanta rabbia di esistere Bodini scrive che bisognerebbe «scegliersi negli specchi di foglie, d’acqua». Ed è quello che hanno fatto Ada, Assunta e gli altri. Si sono scelti nelle fronde degli olmi e in uno stagno. Hanno fatto passare un sogno sulle pianure del Sud, l’hanno fermato piantando la rabbia di esistere in un antico bosco, cercando il mistero del vivere in un’acqua temporanea per dire che la vita a Sud è questa: un passaggio effimero d’acqua nel deserto, un ulivo che brucia, mani che tengono un mucchio di sogni e semi da mettere in terra per un bosco domani.
© Riproduzione riservata



