C’era un sistema di potere parallelo al ministero dell’Istruzione. Distribuiva finanziamenti non alle scuole con progetti migliori o istituti che avevano più bisogno di investimenti, ma seguendo un’altra regola aurea: quella di fare favori ai dirigenti amici. Scuole “amiche”, così le hanno in effetti definite gli indagati coinvolti nell’inchiesta della procura di Roma. Il sistema era governato da due persone, una dirigente pubblica e un imprenditore privato: Giovanna Boda e Federico Bianchi di Castelbianco, con quest’ultimo a rappresentare una sorta di ministro dei fondi pubblici del dicastero pur essendo un privato. Peraltro in palese conflitto di interesse, visto che anche le sue associazioni beneficiavano dei soldi dell’Istruzione.

La procura di Roma, il pm Carlo Villani con il procuratore aggiunto Paolo Ielo, ha inviato agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini preliminari qualche giorno fa. Ci sono cinque nuovi indagati. Inoltre anche Boda ha iniziato a collaborare con gli inquirenti, il che potrebbe convincere i magistrati ad accettare la richiesta di patteggiamento e chiudere un capitolo dell’inchiesta.

L’estranea

La storia di questo blocco di potere che si è fatto sistema inizia, però, distante dalla capitale e dai salotti che contano. Comincia in provincia, con una donna caparbia e tenace che riesce a scalare con il duro lavoro posizioni su posizioni fino a diventare capo dipartimento del ministero dell’Istruzione. Una carriera esemplare, senza aiuti, sponsor politici o favori come spesso accade ai dirigenti pubblici, ma finita in maniera tragica proprio all’apice del successo. Finita con un’indagine della procura di Roma, con arresti e perquisizioni, e un tentato suicidio di Boda dopo la visita della guardia di finanza a casa.

Boda era invisa ai mandarini di stato che si tramandano il potere di generazione in generazione. Disprezzata, o meglio, per usare le sue parole, trattata una «schifezza». A Roma si sentiva un corpo estraneo. Tanto che per ottenere un primo incarico importante al ministero dell’Istruzione deve elemosinarlo: è arrivato con la ministra Mariastella Gelmini un incarico in Abruzzo con le scuole devastate dal terremoto, lo ottiene convincendola chiacchierando sulle scale del ministero.

Boda negli anni lavora sodo e alla fine guadagna l’olimpo, diventa capo dipartimento, lì dove comincia la filiera dei finanziamenti alle scuole e dei progetti extracurriculari. Un ufficio che gestisce milioni di euro. La dirigente negli anni costruisce così una solida rete professionale. Si relaziona con i dirigenti del Quirinale (qualcuno narra che ci siano stati contatti che ipotizzavano per lei un ruolo da ministro), con il presidente del Consiglio superiore della magistratura, con giudici e sacerdoti dell’antimafia. Rapporti che spesso si sono trasformati anche in amicizie.

Giornalisti, politici, presidi e presidenti di associazione andavano tutti da lei in processione: era la Boda a disporre di fondi e finanziamenti. È con questi fondi che ogni anno si organizza la nave della legalità diretta a Palermo per commemorare Giovanni Falcone, il giudice ucciso il 23 maggio 1992 dalla mafia. Con questi stanziamenti si sostengono le partite di calcio di beneficenza, le iniziative della legalità. Boda controllava tutti i principali cordoni della borsa del ministero dell’Istruzione.

Soprattutto, secondo l’accusa, il sistema costruito da Boda e Bianchi di Castelbianco era basato sul mutuo soccorso: da un lato il secondo metteva a disposizione dell’amica alcuni suoi collaboratori per ogni esigenza, e pagava servizi e utilità come estetisti, autisti, affitti e altro per un valore calcolato a oggi di circa tre milioni di euro. Dall’altro Castelbianco otteneva dal ministero bandi confezionati ad arte, vincendo negli anni appalti che varrebbero – dicono i pm – 23 milioni complessivi.

I giudici, in caso di processo, decideranno se si tratta di un meccanismo corruttivo, come sostiene la pubblica accusa. Boda, come detto sopra, potrebbe patteggiare, ma dovrebbe restituire le utilità ricevute. Forse la strada più veloce per uscire dal procedimento e ritrovare la serenità perduta: la donna ha tentato il suicidio, si è salvata e combatte da tempo per ritrovarsi.

L’anomalia

Boda arriva da Casale Monferrato, non ha frequentato la scuola della pubblica amministrazione, non ha fatto la Luiss e non è laureata in giurisprudenza. «Per loro ero proprio una reietta, a me tantissime volte i direttori mi ha sempre detto “lei Boda è un’anomalia amministrativa”. E i capi di gabinetto non mi salutavano neanche. Perché ero una schifezza per loro», ha detto Boda interrogata dai magistrati.

È entrata al ministero grazie a un suo professore, Luciano Corradini, che la coinvolse in un gruppo di lavoro, poi è diventata consulente con Luigi Berlinguer ministro. È allora che si innamora del dicastero dell’Istruzione. Studia di notte per il concorso da dirigente, e lo vince. Lavorava in una sede distaccata dove piazzavano «la feccia dei dirigenti», ricorda Boda. Nel frattempo però il direttore che c’era in Abruzzo era andato in pensione e Boda sogna di andare nella regione colpita dal terremoto.

Ha così scritto al direttore del personale: nessuna risposta. Ha, allora, scritto, alla ministra Gelmini: silenzio. La dirigente davanti ai pm ha ricordato i fatti accaduti dopo: «Mi sono messa sugli scalini del ministero ferma ad aspettare che uscisse (Gelmini, ndr), perché io mai avrei potuto parlare col ministro (…) Lei è scesa al cellulare con tutta la scorta e io le ho detto mentre lei parlava al cellulare “ministro, la prego, legga questa lettera”».

Quando Boda ha incontrato Gelmini si è messa a piangere. Ma l’ha convinta e la ministra l’ha nominata direttrice in Abruzzo dove nessuno voleva andare. Lì ha conosciuto il prefetto Franco Gabrielli, il futuro ministro Francesco Profumo che la chiama a Roma alla direzione dello studente. Era iniziata la sua ascesa. Che si rivelerà inarrestabile.

Alla direzione dello studente trova Federico Bianchi di Castelbianco, che sottoscrive il suo primo protocollo nel 2011 e ha un rapporto diretto con il ministro, visto che l’imprenditore era anche editore dell’agenzia di stampa Dire.

Boda ha spiegato ai magistrati che non è stata lei ad accreditare di Castelbianco: al ministero era già introdotto, lei firma solo un protocollo scaduto con l’istituto di Ortofonologia, prima da direttrice dell’ufficio e poi da capo dipartimento. Boda a Roma non è più vista come un aliena, il potere iniziava a farle la corte. Presenzia a convegni, dibattiti, diventa un riferimento per il mondo della scuola, per l’associazionismo antimafia e del Terzo settore impegnato sui temi della disuguaglianza e della disabilità. E poi sono arrivate le amicizie nuove con funzionari, attivisti, magistrati, giudici.

Pm, sodali e regali

Tra questi c’era Luca Palamara, oggi sotto processo per corruzione e radiato dall’ordine giudiziario: «La conoscevo molto bene, non rinnego rapporti di amicizia. Abbiamo avuto un rapporto istituzionale nel periodo in cui abbiamo fatto iniziative sulla legalità» dice l’ex pm «il 23 maggio per Falcone, le notti della legalità, con il coinvolgimento della direzione nazionale antimafia, all’epoca guidata da Pietro Grasso e del Csm, all’epoca presieduto da Giovanni Legnini. Io ero a capo della sesta commissione. Noi andavamo come magistrati alla giornata che organizzava la signora Maria Falcone. Abbiamo anche organizzato una partita del cuore con la nazionale cantanti a Reggio Calabria, iniziative con il crisma della legalità. Era un riferimento per tutto il mondo istituzionale e della magistratura».

Al Csm Boda era di casa. Negli archivi si trovano convegni e iniziative frequenti. «Ci siamo incrociati nei progetti di legalità che coinvolgevano il consiglio, cose pubbliche e note. Il Csm aderiva alle iniziative, come il “giorno” della memoria o “la nave della legalità”, e il Miur organizzava. Abbiamo collaborato, il rapporto era di amicizia», dice Legnini, all’epoca capo del Csm.

In alcuni convegni con Boda e Legnini c’è anche Serena Cecconi. «Lei sicuramente non era inquadrata come Csm, l’ho conosciuta ma credo lavorasse o collaborasse con il Miur», ricorda l’ex presidente del Csm. Cecconi, non indagata, figura in una lista che il pubblico ministero Villani ha mostrato all’ex segretaria Valentina Franco, sotto inchiesta e che, mesi fa, ha iniziato a parlare con i pm. Di Cecconi ha detto: «Ha collaborato col ministero con contratti/o stipulato da Bianchi di Castelbianco; non credo che abbia reso prestazioni a Castelbianco». Non è la sola a lavorare presso il ministero retribuita dall’imprenditore.

La procura ne ha contati più di una quarantina di persone pagate da Castelbianco seppure operativi e a disposizione di Boda. L’imprenditore si assumeva il costo e poi recuperava con i soldi del ministero, circa 23 milioni di euro di bandi contestati.

Stipendiati dall’imprenditore-editore c’erano anche due collaboratori dell’allora ministra Maria Elena Boschi. Nell’elenco c’è la figlia del magistrato dell’anticorruzione Michele Corradino. «Corradino aveva contatti frequenti con la Boda, ma è venuto al ministero poche volte da quando ci sono io (...) Boda e Paola Corradino parlavano, quest’ultima ha collaborato con Bianchi di Castelbianco; a quanto mi risulta scriveva pezzi giornalistici per la Dire».

Ci sono anche omaggi vari distribuiti a uomini di potere. «In Sardegna ho prenotato un Ncc per il ministro Bussetti su richiesta della Boda, così come ho comprato una penna, a mia memoria una Mont Blanc, da regalare a lui. Ho comprato anche altre penne. Mi sembra che una di queste fosse un regalo di compleanno per il dottor Vecchione, generale ex capo dei servizi», dice Franco citando l’ex direttore del Dis vicinissimo a Giuseppe Conte.

Non tutti però hanno accettato compensi. Due collaboratori della ministra grillina Lucia Azzolina hanno declinato l’offerta. «Era il periodo successivo all’uscita dal ministero del ministro Azzolina e quindi anche i due collaboratori stavano andando via. Era una sorta di buonuscita che loro hanno rifiutato», racconta Franco. Ma per due che rifiutano ce n’è sono decine che accettano.

La pratica di avere al ministero personale non retribuito dallo stato ma dall’imprenditore era frequente, una «prassi», ha raccontato Boda nell’interrogatorio. Per qualcun’altra però era un’anomalia e lo aveva riferito ai vertici delle associazioni coinvolte. Boda sostiene che non c’è nulla di illegale e giustifica la presenza del personale esterno come una prassi consolidata. E in riferimento all’auto pagata dall’imprenditore e alle regalie che arrivano a sfiorare il mezzo milione di euro, dice che sono state scelte maturate in un periodo difficile, e che la sua intenzione è restituire tutto a Castelbianco. Ai pm ha raccontato anche del suo ruolo professionale in Calabria e di alcune lettere anonime minacciose: «Stavo male e mi danno pure la Calabria. C’è questa inchiesta un poco particolare...cioè nel senso che sembra che ci sia...diciamo sembra che ci sia la massoneria e nelle intercettazioni ci sono persone del ministero».

La dirigente chiarisce che per il ministero ha fatto di tutto e di più, ha dedicato tutta la sua vita alle scuole. Secondo gli inquirenti, tuttavia, è diventata anche terminale di un sistema illegale che fa capo al ras dei fondi dell’Istruzione, Castelbianchi, l’imprenditore, editore, professore e pure psicologo.

Scuole amiche

Il sistema funzionava così: il ministero dell’Istruzione metteva i fondi per i progetti nelle scuole, gli istituti “amici” vincevano i bandi cuciti loro addosso. Poi pagavano con regolare fattura le associazioni e le società di Bianchi di Castelbianco. È quest’ultimo, secondo l’accusa, il manovratore capace di dirottare 23 milioni di euro dell’Istruzione a favore di progetti da lui sponsorizzati nelle scuole, che in alcuni casi poi fatturavano servizi, a volte mai ricevuti, sempre all’entourage di Castelbianco.

Un sistema parallelo al ministero. Che ha mosso svariati milioni spesso con l’ambizione di diffondere la cultura della legalità. Negli atti dell’indagine al di là delle eventualità responsabilità penali di Boda e Castelbianco, tutte da dimostrare, emerge un metodo di scelta delle scuole da finanziare fondato prima che sul merito sul rapporti di amicizia con il signore dei fondi del Miur.

Iniziano, però, a formarsi le prime crepe nel sistema creato dall’editore-psicoterapeuta. Le perquisizioni e i primi interrogatori hanno convinto alcuni collaboratori del gruppo del Miur a rivelare ai magistrati il funzionamento del meccanismo, fondato essenzialmente sulle «scuole amiche».

La definizione è stata coniata proprio da Franco, collaboratrice di Boda fin dai tempi in cui la dirigente era capo dipartimento del ministero delle Pari opportunità.«Non ricordo con precisione se all'inizio il pagamento fosse una tantum da parte dell’istituto di Ortofonologia», ha detto la donna ai pm. L’istituto cui ha fatto riferimento durante l’interrogatorio fa capo a Castelbianchi, che dunque già all’epoca (2016) operava in strettissimo rapporto con la manager pubblica. Qui con Boda si spostano anche altri suoi fedelissimi, come Emiliano De Maio: «Scriveva i bandi alle Pari opportunità…successivamente è venuto al Miur e anche qui scriveva i bandi», ha spiegato Franco agli inquirenti.

Franco si occupava all’epoca delle Pari opportunità «del report dei documenti che pervenivano dai partecipanti ai bandi del dipartimento, controllavo la regolarità dei documenti e inviavo questo report a De Maio, che sulla base di questo elenco verificava se c'erano anche le scuole a cui Bianchi di Castelbianco aveva chiesto di partecipare. Ai bandi partecipavano soprattutto scuole ed enti come Unicef».

In pratica all’epoca i protagonisti principali di questa storia lavoravano fianco a fianco solo in un altro ministero. Poi il gruppo ha cambiato solo sede, traslocando con Boda nel palazzo dell’Istruzione di viale Trastevere. Il fatto anomalo è che nessuno del ristretto club di fedelissimi era un dipendente pubblico, ma di un privato in evidente conflitto di interessi in quanto beneficiario di fondi di quei ministeri: «Ci trasferiamo tutti lì con Boda…siamo stati assunti da Bianchi di Castelbianco… Non abbiamo mai lavorato per Bianchi di Castelbianco, ma solo ed esclusivamente per Boda. È cambiata esclusivamente la persona che ci pagava».

Nel gruppo c’era chi si occupava di curare i rapporti con le scuole, ha raccontato la donna. Da questi nomi si arriva così al capitolo degli istituti che hanno partecipato allo schema ideato da Castelbianco. Tra questi c’era, secondo Franco, Vincenzo Persi: «Si occupava prevalentemente di bandi, scrivendoli anche, e di rapporti con istituti scolastici, associazioni ed enti privati, faceva parte del “gruppo fondi” (il comitato ristretto tra Boda, Castelbianco e pochi altri, ndr)».

Paga Castelbianco

Chi pagava lo stipendio a Persi, però, non era il ministero, ma l’editore ras dei fondi del Miur oppure «gli istituti scolastici nell’ambito dei progetti». Franco tuttavia non sa dire ai magistrati se Persi abbia effettivamente «reso le prestazioni nei confronti delle scuole, anche sotto forma di consulenze esterne». Di certo ci sono alcuni contratti ottenuti da Domani che documentano effettivamente il ruolo di consulente svolto da Persi in alcuni istituti scolastici, su tutti quello di “Responsabile del trattamento dati” stipulato con l’istituto Costaggini di Rieti, scuola citata da Franco per essere tra quelle “amiche” del gruppo Castelbianco.

«So di queste “scuole amiche” cioè che avevano contatti diretti con Bianchi di Castelbianco. Non necessariamente venivano scelte dalla Boda, erano quelle che risultavano “più disponibili”. Conosco ad esempio il Sampierdarena di Genova, il Salemi della Sicilia e il Pirandello il Galilei di Taranto. Poi a Rieti il Costaggini, il Regina Elena a Roma; poi e c’erano dei progetti piccoli al Virgilio di Roma, di cui ero preside la Vocaturo. Questi erano i nomi che venivano ripetuti di più».

Rosa Isabella Vocaturo è la dirigente scolastica del prestigioso liceo Virgilio del centro di Roma, che, risulta dagli atti, ha collaborato con Boda percependo 2mila euro. In questo cortocircuito tra privato e pubblico, con le scuole che spesso non riescono a comprare neppure la carta igienica per gli studenti, troviamo storie di esperti del giro di Castelbianco pagati dagli istituti, beneficiari dei finanziamenti del ministero.

Secondo Franco i bandi per le scuole si dividevano in due categorie, quelli sotto la soglia dei 40mila euro e quelli superiori per i quali occorreva pubblicare un bando. Una procedura lineare nelle intenzioni, deviata dal gruppo di Castelbianco per favorire le “scuole amiche” soprattutto con gli affidamenti diretti: «Alle scuole si ordinava loro di effettuare dei pagamenti in favore delle persone del “gruppo ministero”. In alcuni casi la richiesta di pagamento per il progetto non era legata ad alcuna attività del soggetto che noi indicavamo di pagare con lettera a firma di Boda, ma era semplicemente un modo per pagare quel soggetto per l 'attività svolta all’interno del ministero per la Boda e indirettamente per Bianchi di Castelbianco». I progetti erano vari, sulla disabilità, sull’inclusione, sulla violenza sulle donne e sulla legalità.

Franco ha rivelato ai pm che alle riunioni al ministero partecipavano persone esterne all’istituzione, perciò ai rimborsi ci pensava il ras dei fondi Castelbianco. «Era difficoltoso giustificare questi pagamenti non trattandosi di dipendenti del ministero…erano persone di tutta Italia quindi difficile pagarli in contanti. Era Bianchi di Castelbianco a rimborsarli».

A rimetterci, secondo la donna, sono ancora una volta la scuola e gli studenti: «Probabilmente Bianchi di Castelbianco pagava perché sapeva di poter inserire questi costi nei progetti delle scuole».

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