Mossa a sorpresa di Letizia Moratti: il neo assessore al Welfare congeda dopo solo 8 mesi il direttore generale della sanità lombarda, il ciellino Marco Trivelli, e nomina al suo posto Giovanni Pavesi, uno «sconosciuto» direttore della Ulss 8 di Vicenza. Ma Pavesi tanto sconosciuto non è. 

Il profilo

Rampollo di una delle più importanti famiglie di imprenditori veronesi, per quasi vent’anni è stato socio e direttore generale dell’azienda di famiglia, attiva nel settore petrolifero. È assessore della Dc al Comune di Verona nei primi anni ’90 quando la sua carriera incontra il primo inciampo: nel gennaio del 1993 viene arrestato insieme al padre, allora presidente della Cassa di risparmio di Verona, nell’ambito di un’inchiesta per tangenti su una cava trasformata in discarica. Pavesi patteggerà un anno e venti giorni di reclusione.

Il salto ai vertici della sanità pubblica arriva all’improvviso, il 31 dicembre 2007, quando l’allora governatore del Veneto Giancarlo Galan lo nomina direttore generale della (oggi disciolta) Ulss 17 di Este, nel Padovano.

Affare Galan

Galaniano di ferro, Pavesi resta fedele al «Doge» anche nei giorni più bui. Come quelli che precedono l’arresto per lo scandalo Mose nell’estate del 2014: mentre alla Camera si discute sull’autorizzazione a procedere, Galan si fa ricoverare per un problema cardiaco all’ospedale di Este, diretto all’epoca da Pavesi. Che era anche suo socio nella Ihfl Srl, una società che per i pm del Mose era partecipata al 50 per cento da Galan in modo anonimo attraverso la fiduciaria milanese Sirefid Spa, attiva «nel settore delle consulenze sanitarie, nella costruzione e nella gestione di strutture ospedaliere».

Il problema al cuore di Galan verrà poi ridimensionato dagli accertamenti clinici. Ma in seguito a quel ricovero ad Este il 21 luglio 2014 alla Camera infurierà il dibattito sull’impossibilità di Galan, membro del parlamento gravemente malato, di recarsi in aula e difendersi dalle accuse.

La vicenda è raccontata anche nel libro Veneto Anno Zero di Renzo Mazzaro (Laterza 2015), che riporta una replica di Pavesi: «Questa società (la Ihfl, ndr) non è mai stata attivata. Avrebbe potuto svolgere consulenza sanitaria all’estero, invece è in liquidazione. Capisco che viene facile dire: l’hanno ricoverato lì perché il direttore generale è suo amico. Questo si può anche scrivere. Ma un po’ di rispetto per il medico che l’ha ricoverato: sul comportamento strettamente professionale dell’ospedale non ho nessun dubbio». 

Medici in silenzio

Pavesi resta in sella alla sanità veneta anche negli anni seguenti, direttore e commissario straordinario delle Ulss vicentine. E con l’emergenza Covid finisce nel mirino dei sindacati per due circolari che impongono il silenzio ai sanitari: il 9 marzo 2020, mentre l’Italia e il Veneto si confrontano per la prima volta con l’epidemia, Pavesi si preoccupa di impedire a medici, infermieri e dipendenti della Ulss di parlare nelle chat e sui social di «presunti accessi alle strutture di utenti sospetti di aver contratto il virus»: occorre rispettare «l’obbligo del segreto d’ufficio».

Il bis arriva il 16 ottobre, mentre i contagi impennano in tutto il Paese. Pavesi emana una seconda circolare, minacciando conseguenze penali e disciplinari per i dipendenti che dovessero parlare della gestione del Covid nelle strutture sanitarie: occorre evitare «il diffondersi di ingiustificati allarmismi presso la popolazione». Ma un certo allarme, forse, non era poi così ingiustificato.

Il Veneto stava entrando a tutta velocità nella tempesta della seconda ondata: cinquemila morti in soli tre mesi, tra ottobre e dicembre 2020, con le troppe salme costrette durante il picco a stazionare nei container frigo fuori dalle camere mortuarie degli ospedali. Ma questa è un’altra storia.

© Riproduzione riservata