Tredici italiani sono andati in Ucraina come “osservatori” durante i referendum farsa organizzati dalle milizie separatiste e dal Cremlino. La delegazione italiana era fra le più numerose: in tutto sono andate ad assistere al voto 123 osservatori da 45 paesi.

Si tratta di persone che non svolgono attività di monitoraggio, ma per cinque giorni hanno seguito le procedure di voto nelle regioni di Zaporizhzhia, Kherson, Donetsk e Lugasnk con le quali i filorussi hanno chiesto alla popolazione di esprimersi per l’annessione alla Federazione russa.

I risultati hanno espresso un plebiscito a favore di Mosca: Vladimir Putin ha firmato i trattati di annessione con una cerimonia al Cremlino e la Duma li ha ratificati.

Molti degli osservatori italiani hanno elogiato la correttezza dei referendum, ma basta guardare i loro profili per avere un’ulteriore conferma sull’inattendibilità di un voto che non aveva alcuna legittimità politica.

Nell’ultima settimana sulla stampa sono usciti solo alcuni nomi dei cittadini italiani presenti nel Donbass come osservatori. A raccontare l’esperienza a Domani è il coordinatore del gruppo Vito Grittani, fondatore dell’Osservatorio diplomatico internazionale e ambasciatore presso l’Abkhazia, una carica formalmente inesistente, dato che è un altro territorio separatista, questa volta in Georgia, non riconosciuto a livello internazionale dall’Onu e dall’Unione europea ma solo da: Russia, Nicaragua, Venezuela, Nicaragua, Nauru, e Siria.

«Siamo venuti nel Donbass con un aereo messo a disposizione dal ministero della Difesa russo che da Mosca è atterrato a Rostov. Gli inviti provengono dalle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk», dice.

La maggior parte dei convocati è stata smistata tra le due repubbliche separatiste, mentre un paio di loro si sono recati a vedere le procedure di voto nelle regioni di Zaporizhzhia e Kherson, due aree che non sono sotto il completo controllo dei soldati russi e dove si continua a combattere.

Non è la prima volta che alcuni di loro sono stati convocati dai separatisti. Ad agosto Grittani, insieme a Nicola Narzaro e Luca Genovese (entrambi osservatori al referendum), si è recato a Donetsk come parte della delegazione che ha fatto visita al carcere di Elenovka.

Tra i detenuti c’erano diversi soldati ucraini, anche quelli del battaglione Azov che hanno combattuto nell’acciaieria di Mariupol, e gli italiani sono stati chiamati per verificare le loro condizioni di salute.

«Ho visto delle persone incarcerate, come tutti i detenuti sono innocenti, anche nelle carceri di Roma le diranno che sono innocenti», dice Grittani. Nonostante la guerra «erano normali, parlavano liberi, non li ho visti impauriti».

I nomi

Quasi due mesi più tardi Grittani è di nuovo nel Donetsk ma in veste di osservatore per il referendum di annessione.

Ha visitato i seggi scortati dai militari russi. «Non c’erano militari con mitra e pistole. Noi questo non lo abbiamo visto. C’erano 123 osservatori, non li conosco tutti personalmente, eppure ci sono dei ragazzi che hanno dichiarato le nostre stesse cose, non credo che ci si possa mettere d’accordo tutti quanti no?», dice Grittani.

«Dalla frontiera fino a dove siamo andati avevamo la scorta ma era lontana. I soldati sono rimasti in macchina, non avevamo scorte ad personam. Ci hanno chiesto: “Chi vuole andare in questo seggio? Chi vuole andare nell’altro?” E così abbiamo fatto», aggiunge il fondatore dell’Osservatorio diplomatico internazionale.

Per Grittani, così come gli altri osservatori, si è svolto tutto nella norma, anche se i funzionari ucraini hanno denunciato che alla popolazione è stato vietato di lasciare alcune aree occupate fino al termine dei giorni di votazione, e che gruppi armati sono entrati nelle case e che i dipendenti sono stati minacciati di licenziamento se non avessero partecipato al voto. 

«Abbiamo visto persone piangere di gioia. Una signora ci ha detto “ora siamo liberi”, ma non so se è tutto programmato. C’era gente con il sorriso, se era tutta una messa in scena non so che dirle».

Dello stesso parere è anche Gianfranco Vestuto, direttore di Russia News, che nel 2014 ha già partecipato come osservatore ai referendum per l’annessione della Crimea. 

All’epoca fu invitato con una lettera scritta da Aleksej Komov, presidente russo del Congresso mondiale delle famiglie, che gli chiedeva di andare in Crimea per osservare «la democrazia in azione».

Vestuto era onorato dell’investitura: «Crediamo che questo sia un risultato importante non solo per noi, ma per tutti coloro che credono che l’informazione non sia solo quella data da grandi testate giornalistiche», ha scritto in un articolo pubblicato su Russia news.

Gli altri nomi nella lista sono i giornalisti Giannantonio Micalessin, Roberto di Matteo e Graziarosa Villani, oltre a Luca Giuseppe Genovese, Giovanni Corleone, Nicola Marzaro (imprenditore), Marco Pata, Gianluca Procaccini e Irina Vikhoreva.

Secondo Grittani, Micalessin e di Matteo si sono recati a seguire i seggi a Zaporizhzhia, ma Micalessin, giornalista del Giornale, smentisce. «Intendevo eventualmente seguire il loro lavoro da giornalista, non certo da osservatore. Il signor Grittani ha tentato arbitrariamente di inserirmi nel suo gruppo come osservatore e ho ovviamente rifiutato sia l’eventuale qualifica (non ho alcuna competenze né mi interessava farlo) sia la partecipazione sia di seguire le loro attività», dice Micalessin.

I video pubblicati online confermano invece la presenza di Irina Vikhoreva, originaria di Donetsk ma che vive in Italia da diversi anni dove è a capo dell’associazione Speranza. In un’intervista a Tele Radio Stereo ha specificato di essere russa e non ha nascosto le sue simpatie per Mosca, ribadendo anche le radici storiche russe del Donbass. Nel 2016 Vikhoreva ha anche tentato la strada politica come candidata alle comunali di Roma nella lista di Alfredo Iorio, militante di Forza nuova ben conosciuto negli ambienti della destra romana. Da quando è scoppiata la guerra civile nel 2014, diversi militanti del partito di Roberto Fiore si sono recati nel Donbass a combattere dalla parte dei separatisti filorussi.

Tra gli osservatori c’è anche Marco Pata, che nei suoi profili online si presenta come un avvocato esperto in diritto civile, diritto amministrativo e contrattualistica internazionale. 

Intervistato da giornalisti locali, racconta che si trovava a Lugansk per verificare con i suoi occhi le condizioni dell’autoproclamata repubblica. 

«Lugansk è più pacifica perché ora è libera», ha detto.

Eliseo Bertolasi è uno degli altri italiani individuato come osservatore nel Donbass. «È andato lì con altri, con me non c’entra nulla», ci tiene a specificare Grittani. 

A Repubblica Bertolasi ha detto: «Sono osservatore in quanto giornalista che va sul posto e verifica quello che sta accadendo nella Repubblica popolare di Donetsk».

Bertolasi si presenta come ricercatore di antropologia all’università Bicocca, ha studiato russo all’Università statale umanistica di Mosca e ha scritto anche su Sputnik Italia.

Il suo nome compare più volte insieme a quello di Gianluca Savoini, ex presidente dell’Associazione culturale Lombardia- Russia, che ha accompagnato nei viaggi in Crimea e Donbass.

È lo stesso Bertolasi nei suoi articoli per l’Antidiplomatico a tirare fuori altri due nomi di osservatori.

Il primo è quello di Gianluca Procaccini presidente dell’associazione Volontari di guerra, già presente nei nomi scelti da Grittani.

In un articolo pubblicato dal Corriere dell’Umbria ha detto: «Sull’esito di questo referendum nelle Repubbliche del Donbass non ho dubbi: sono anni che la popolazione attende questo momento».

L’altro nome pubblicato da Bertolasi è quello del giornalista Pietro Cassano, presente anche lui come osservatore.

La presenza in Ucraina di Luca Giuseppe Genovese è stata confermata da lui stesso durante un’intervista a Repubblica in cui ha detto di essere imprenditore attivo nel commercio e nelle consulenza oltre che a essere un simpatizzante della Lega, tuttavia ha negato un suo coinvolgimento nel partito, come invece scritto dall’Agenzia stampa russa Tass.

Grittani sostiene che le guerre «non vanne fatte nel 2022», ma dice che ora è arrivato il momento di trattare. «Dopo l’annessione Putin ha detto che è interessato a discutere ma l’altra parte ha risposto “si ma non con questo presidente”. Questo significa gettare benzina sul fuoco», dice Grittani, scordandosi i crimini di guerra commessi dai russi a Bucha, Irpin, Kramatorsk e Izyum che hanno fermato i negoziati.

«Non sta a nessuno di noi giudicare, ci sarà un tribunale che giudica su questo. Oggi ci vuole pratica. Sono passati già sette mesi. Mi auguro che il nuovo governo possa intervenire».

La dichiarazione finale degli osservatori letta da Vito Grittani al termine del referendum

Il giudizio degli osservatori

Al termine delle procedure di voto i russi hanno sottoposto agli osservatori un modulo finale da compilare per esprimere il loro giudizio su quanto visto.

Erano chiamati a rispondere con tre livelli di giudizio: buono, soddisfacente, cattivo e con dei commenti. «Io spero che la volontà delle persone prevarrà e che l’autodeterminazione sarà realizzata come prevista dalle persone», si legge in uno degli estratti dei commenti. 

«Le persone che hanno l’opportunità di partecipare al processo sono molto contente, hanno aspettato questo momento da otto anni. Ora sono molto contenti che hanno finalmente l’opportunità di esprimersi», si legge in un altro. E ancora: «Gli umori sono euforici e le persone sono molto eccitate e contente che finalmente gli sia stato garantito il diritto di voto».

Dando per buono che questi commenti siano stati veramente scritti dagli osservatori e non siano stati in qualche modo manomessi dalle autorità russe, resta difficile considerarli come dei giudizi scritti da persone imparziali e non faziose.

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