Amiche mai, però diventando grandi hanno imparato a dividersi la scena. Oggi sono donne di 34 e 32 anni, sanno gestire la loro distanza naturale. Hanno capito che il loro eterno duello le sposta entrambe un po’ più avanti. Una è tecnica, riflessiva e appartata, l’altra impulsiva, esuberante e selvaggia. Tutt’e due vanno ai Mondiali per vincere
Amiche mai, però diventando grandi Federica Brignone e Sofia Goggia hanno imparato a dividersi la scena, la gloria e le attenzioni. Lontane anni luce per storia personale, indole e desideri, ma obbligate a scendere sulla stessa pista, che in queste ore è quella mondiale di Saalbach, in Austria. Tecnica, completa, tagliente, riflessiva, appartata Federica. Impulsiva, esuberante, arrischiata, selvaggia, sconfinata Sofia. Una non la vedi arrivare, l’altra fa rumore prima durante e dopo.
Beata l’Italia che può contare su due fuoriclasse assolute nella stessa generazione, due campionesse capaci di dominare il loro sport tenendo banco, non senza quelle frecciate e quelle polemiche che hanno spaccato il popolo dai tempi di Coppi e Bartali passando per Mazzola e Rivera e approdando a Rossi e Biaggi.
Il racconto delle rivalità femminili
Quando ci sono di mezzo le atlete sembra esserci ancora più gusto a cercare la rissa: capaci di amicizie totali, le donne sono ancora viste come inadatte a fare squadra, e tutti gli esempi possibili vengono utilizzati allo scopo di dimostrare la loro difficoltà a mettersi insieme per un unico risultato. Giovanna Trillini e Valentina Vezzali hanno quattro anni di differenza e sono cresciute tutte e due alla scuola di Jesi: erano ancora ragazzine quando il maestro Triccoli immaginò che un giorno si sarebbero sfidate per l’oro nella finale olimpica.
Successe ad Atene ma lui non visse abbastanza per vederlo. Negli anni Ottanta e Novanta lo sci di fondo si spaccò: da una parte Manuela Di Centa, dall’altra Stefania Belmondo, troppo diverse per sopportarsi, ma in due portarono all’Italia 17 medaglie olimpiche (7 la friulana, 10 la piemontese). È stata la mitologia a insegnarcelo. Le dee che litigavano per chi fosse la più bella erano tre: Era, Atena e Afrodite. Fu stabilito che a decidere fosse il più bello tra i mortali, Paride.
Era gli promise infinite ricchezze e potere, Atena gli giurò che lo avrebbe reso imbattibile in battaglia, Afrodite gli garantì l’amore della donna più bella del mondo, e ovviamente Paride scelse lei: rapì Elena, scatenò la guerra di Troia, e insomma dovremmo aver capito da tempo che quando le donne litigano sarebbe saggio non intromettersi.
Loro
Essere amiche non è obbligatorio, neanche se si è compagne di nazionale. «Siamo due persone completamente diverse, abbiamo un modo diverso di vivere la nostra vita e di fare tante cose. Non siamo amiche, ma c’è grande rispetto e siamo delle grandi professioniste».
Sofia è molto social, fa video in cui si rivolge ai suoi «fans» (lei li chiama così), i giornali di gossip l’hanno paparazzata in piscina con Massimo Giletti, quando toglie la tuta da sci veste Armani, suona il pianoforte ma si sente una chitarra elettrica, sappiamo tutto dei suoi animali, delle sue galline che fanno le uova per il ristorante di Cracco a Portofino, della carta da parati con il mandorlo in fiore di Van Gogh nella casa di Bergamo.
Federica ha preteso il primo paio di sci (di plastica) quando aveva un anno e mezzo e aveva appena imparato a camminare, per sciare di più e meglio si è trasferita da Milano alla Val d’Aosta da piccola, è figlia di una campionessa (Ninna Quario), ha un compagno che fa lo skiman in Coppa del Mondo e si chiama Davide, proprio come l’altro uomo della sua vita, quel fratello che l’allena e divide con lei le lunghe giornate sulla neve; sui social condivide medaglie, numeri di pettorale e le sue tante attività a tutela dell’ambiente.
Brignone e Goggia oggi sono donne di 34 e 32 anni, e sanno gestire la loro distanza naturale. Hanno capito che il loro eterno duello le sposta entrambe un po’ più avanti, «avere una persona forte in squadra sicuramente ci ha portato a lavorare sempre al massimo per essere sempre al top», ma ormai le hanno disegnate così e allora giocano la parte delle rivali fino in fondo.
Dice Brignone: «Non mi interessa essere la migliore italiana della gara. Io voglio vincere, essere la migliore di tutte». Risponde Goggia: «Siamo entrambe la fortuna dell’altra. Io ne parlo sempre un po’ scherzosamente, perché è passato il periodo dell’adolescenza, quando ci si tirava per i capelli».
Sofia era alle elementari quando scrisse in un tema che da grande voleva vincere l’oro olimpico in discesa libera, e c’è riuscita nel 2018 in Corea, anche se la sua mamma professoressa la sognava donna di lettere. A lei ha scritto (pubblicamente) una lettera strappacuore prima di tornare dall’ultimo, tremendo infortunio e aver pensato anche di smettere: l’ha ringraziata per averla sempre incitata a tenere vivo il suo sogno e anche per il frigo sempre pieno di verdure.
Era un anno fa, il 5 febbraio 2024, e Goggia si ruppe il piatto tibiale mentre si allenava a Pontedilegno: le hanno messo una piastra tra i nervi e i tendini, i primi due mesi guardava il mondo dal divano, attraverso le finestre, e si consolava pensando che un giorno quel dolore le sarebbe stato utile. Non era la prima volta che si costringeva a pensarlo.
«Adesso niente può più scalfirmi». Piena di cicatrici, dentro e fuori, la prima volta non aveva ancora quindici anni: rottura del legamento crociato e del menisco esterno del ginocchio destro. Sofia non sa andare piano: per trovare il modo migliore di usare la forza che ha dentro non ha avuto paura di chiedere aiuto a una psichiatra. Anche in quel caso non ha frenato, non ha pensato che stava buttando giù un muro.
«Arrivi a un punto in cui puoi migliorare soltanto se riesci a crescere interiormente. Vorrei mantenere la stessa capacità di sognare che avevo quando scrissi quel tema da piccola. Ci vuole coraggio a cambiare se stessi, io sto lavorando per evolvermi come persona, sono una donna che vuole credere in se stessa e prova a migliorarsi giorno dopo giorno».
Le ambizioni
Poi c’è il suo contrario. «Voglio rimanere chi sono e non cambiare mai». Brignone è forte in tutte le specialità, nell’ultimo mese ha vinto quattro gare di Coppa del Mondo ed è arrivata tre volte terza, «forse è la mia stagione migliore», ai Mondiali sente di avere più chance in gigante ma negli ultimi tempi il salto di qualità lo ha fatto nelle discipline veloci, andando a vincere in quella che tradizionalmente è casa Goggia, la discesa libera.
Paradossalmente, il suo punto debole è lo speciale, che era invece la disciplina d’elezione di sua madre, «il confronto con lei? Zero, non mi ha mai infastidito». Ma certo non l’ha aiutata quando nel suo ruolo di commentatrice dello sci per Il Giornale – lasciato nel 2022 dopo trentasei anni – Quario ha insinuato per la seconda volta che un infortunio di Goggia non fosse proprio così grave.
Brignone si protegge nel suo mondo, chiuso come la valle dov’è cresciuta e che ama, il suo preparatore atletico la chiama Tigre, e sarà perché quando qualcosa non le piace si punisce allenandosi fino a farsi male, perché tutto fa crescere ma il dolore di più.
Se a Saalbach Goggia deve riempire un vuoto, visto che alla sua carriera extralarge manca un oro mondiale, Brignone giura che anche tornando a casa a mani vuote per la sua storia non cambierebbe una virgola, «la mia stagione rimarrebbe questa, non devo dimostrare niente, sono serena, vada come vada». All’orizzonte ci sono le Olimpiadi in casa, tra un anno, ultimo traguardo per Federica e per Sofia.
Come diceva il giovane Stefano Accorsi nel famoso spot di un gelato: «Granel, straciatel, tu gust is megl che uan». Era il 1994. Brignone aveva quattro anni, Goggia due. Sciavano già.
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