C'è un caso europeo molto simile a quello di Graphite prodotto dalla società israeliana Paragon. È venuto a galla in Grecia tre anni fa e mercoledì 5 marzo, ad Atene, è iniziato il processo nei confronti di quattro persone accusate di essere in qualche modo responsabili penalmente per i fatti avvenuti nel 2022. Come vedremo più avanti, alla sbarra non sono finiti però i possibili mandanti dello spionaggio.

I media ellenici lo hanno ribattezzato Watergate greco, in altri casi hanno usato l’espressione Predatorgate in onore del software spia usato, chiamato appunto Predator e prodotto dal gruppo Intellexa, fondato dall’ex militare israeliano Tal Dilian.

Le similitudini con Graphite e usato per intercettare segretamente almeno cinque persone, fra cui tre cittadini italiani, non finiscono qui. Anche in Grecia governa la destra, guidata dal premier Kyriakos Mitsotakis e, proprio come Graphite, Predator è stato usato per intercettare giornalisti (oltre che politici, poliziotti, magistrati, ministri e imprenditori).

Predatorgate scoppia nel dicembre del 2021, quando il Citizen Lab dell’Università di Toronto pubblica un report in cui dà notizia per la prima volta dell’esistenza dello spyware Predator e di due vittime, entrambi cittadini egiziani. Nell’aprile del 2022 la testata greca Inside Story rivela che il suo collaboratore, Thanasis Koukakis, che pubblica anche su media internazionali come il Financial Times, per almeno 10 settimane è stato spiato con Predator, inoculato sul suo telefono tramite il link a un finto articolo di stampa inviato tramite sms. A certificarlo, anche in questo caso, è il Citizen Lab, cui Koukakis aveva chiesto aiuto dopo aver iniziato a sospettare di essere intercettato.

Come nel caso Graphite, dopo la prima denuncia ne arrivano altre. Si scopre che tra le vittime greche di Predator ci sono anche un altro reporter, Stavros Michaloudis, e Nikos Androulakis, presidente del Pasok, il principale partito di opposizione al governo Mitsotakis.

La vicenda guadagna le prime pagine dei giornali greci e non solo. I sospetti di reporter e commentatori si concentrano sui servizi segreti ellenici (Eyp) e sul premier. Il quale, però, nega qualsiasi responsabilità. A cospargersi il capo di cenere sono due suoi fedelissimi. Ad agosto si dimettono il capo dell’intelligence, Panagiotis Kontoleon, e Grigoris Dimitriadis, nipote del premier, suo segretario generale e responsabile governativo della supervisione sui servizi segreti. Sulle dimissioni di Dimitriadis il governo non ha mai fornito spiegazioni, mentre Kontoleon si è dimesso «a seguito di azioni scorrette riscontrate nelle procedure di sorveglianza legale», si è limitato a dichiarare all’epoca il governo greco senza spiegare a quali procedure si riferisse e chi siano stati i bersagli dello spionaggio.

A novembre del 2022 la testata Documento svela che altri 33 greci sono stati attaccati con Predator e al contempo monitorati dai servizi segreti ellenici. La lista non include solo giornalisti, imprenditori e politici dell’opposizione. Tra le vittime ci sono anche membri del partito di maggioranza, Nuova Democrazia, tra cui il leader Antonis Samaras; e poi figure apicali del governo in carica, come il ministro degli Esteri, Nikos Dendias, e quello dell'Economia, Christos Staikouras; l'ex commissario europeo per le migrazioni, Dimitris Avramopoulos; pure l'ex capo della polizia greca, Michalis Karamalakis, e Vassiliki Vlachou, il magistrato responsabile della sorveglianza dei servizi segreti.

A giugno del 2023 l’autorità per la protezione dei dati personali (Dpa) annuncia di essere riuscita ad identificare in tutto 92 persone attaccate con Predator. I sospetti sul premier Mitsotakis aumentano, ma lui continua a negare qualsiasi responsabilità diretta. Eppure, alcune delle vittime di Predator sono state infettate da sms ricevuti nel gennaio del 2021 da un numero molto importante.

Come ha rivelato nel novembre del 2023 un’inchiesta realizzata da Domani insieme alla testata greca Reporters United e agli altri partner del consorzio di giornalismo investigativo EIC, il numero telefonico in questione era uguale a quello di Dimitriadis che all’epoca era il responsabile governativo della supervisione sui servizi segreti. Impossibile sapere però con certezza se sia stato davvero Dimitriadis a inviare quegli sms: i messaggi sono stati infatti mandati alle vittime via web, utilizzando carte prepagate.

Contattato per un commento, Dimitriadis ci ha assicurato di non avere «niente a che fare con l'invio dei messaggi», intimandoci di condividere con lui tutte le informazioni che lo riguardano e di rivelare come le abbiamo ottenute, altrimenti – ci ha scritto - «agirò contro di voi attraverso ogni mezzo legale». Fatte le debite proporzioni, è una linea simile a quella seguita finora dal governo Meloni. Nell'unica risposta pubblica fornita finora al Parlamento, tramite il ministro Luca Ciriani l'esecutivo ha assicurato che i servizi italiani, che fanno capo a Palazzo Chigi, non hanno messo in atto alcuno spionaggio nei confronti di giornalisti. E ha annunciato possibili querele nei confronti di chi insinuerà il contrario.

Proprio come in Italia, anche in Grecia alcune delle vittime dello spionaggio hanno presentato denunce in procura nella speranza di riuscire a conoscere l'identità dei mandanti. Risultato? Nel luglio scorso la Corte Suprema greca, che nel frattempo aveva avocato a sé l'indagine avviata dalla Procura di Atene, ha messo il punto sulla vicenda: secondo la procuratrice capo Georgia Adelini, nominata dal governo Mitsotakis, non ci sono prove per affermare che i servizi d'intelligence o qualsiasi altra agenzia pubblica siano coinvolti nell'utilizzo di Predator. In altre parole, sebbene sia stato confermato che una parte delle persone attaccate con lo spyware fosse al contempo intercettata dai servizi segreti, secondo la Corte Suprema si è trattato solo di una «coincidenza». Dunque, nessun procedimento penale nei confronti di membri dei servizi segreti o del governo di Atene. A tre anni dallo scoppio del caso greco, a processo sono finite quattro persone: Tal Dilian, Aleksandra Hamou, Yannis Lavranos e Felix Bitzios. Si tratta di dirigenti o azionisti delle società che hanno prodotto e venduto lo spyware. Il processo è iniziato lo scorso 5 marzo, al tribunale di Atene. Gli imputati sono accusati di violazione delle leggi sulla privacy.

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