Gratteri show, torna in aula con la toga nel processo contro i Moccia: scontro con gli avvocati

Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha fatto quello che in tanti si aspettavano. Ha rimesso la toga ed è sceso nell’aula dove oggi si svolgeva l’udienza del processo a carico del clan Moccia. I Moccia sono i signori della camorra, scarcerati per decorrenza dei termini a inizio agosto, e considerati padroni del clan omonimo, tra i più potenti d’Italia. Proprio questo giornale aveva intervistato il padrino, Luigi Moccia, e raccontato l’isolamento dello stato e strumenti inadeguati di contrasto. In una delle ultime udienze il presidente del collegio aveva evidenziato le carenze strutturali, un microfono non funzionante e un pc che non si accendeva per stampare una perizia. Non solo. A rappresentare l’accusa nel processo ci sono due magistrate Ida Teresi e Ivana Fulco, le sole che hanno provato a contrastare segnalando ai vertici della magistratura napoletana quanto sarebbe successo con la scarcerazione certa, così come poi è avvenuto. La presenza di Gratteri nell’aula del tribunale di Napoli è un segnale importante. Il padrino a processo: «Noi Moccia? Siamo un brand, come Armani» Gratteri in aula «Questo è un maxi processo e le udienze devono essere prolungate e più frequenti», ha detto il procuratore che ha avuto un botta e risposta con gli avvocati dei Moccia, che si ritengono estranei alle accuse. Oggi era prevista la presenza di alcuni testimoni che, come accaduto nelle altre udienze, non si sono presentati. Il punto di distanza con il team di legali che assiste i vertici della famiglia è sul numero di udienze da svolgere ogni settimana, il calendario ne prevede almeno tre a settimana, ma gli avvocati si sono opposti. Sul tema è intervenuto anche l'ordine degli avvocati e la camera penale con l’indizione di alcuni giorni di sciopero. Gli inquirenti sottolineano che non c'è mai stata una violazione del diritto di difesa. La lista dei testi dell'accusa si è esaurita all'inizio del 2025. Il collegio difensivo invece ha presentato, una lista dei testi esorbitanti - per i fratelli Moccia sono quasi 900 - a cui la Procura non si è opposta. Sulla vicenda nessun politico è mai intervenuto, a fronte del potere del clan i partiti restano muti, silente anche la società civile. Il padrino Proprio a Domani, Luigi Moccia, tra gli imputati nel processo, aveva lungamente parlato. «Lei è il giornalista?», ci aveva chiesto il padrino. «Io comunque volevo dirle una cosa, io non sono mai stato un camorrista, i camorristi sono dei fetenti di merda. Io ho fatto i miei errori e ho pagato quando abbiamo scelto di vendicare l'uccisione di mio padre, ma poi abbiamo chiuso», aveva detto. Lei si rende conto che siete liberi e considerati capi di una famiglia criminale tra le più potenti d'Italia?. A questa domanda Luigi Moccia, stile casual, aveva attinto a piene mani dal manuale di marketing: «Armani è morto, ma il suo brand resterà per sempre. Per noi Moccia è la stessa cosa, si spendono il nome perché funziona, ma i capi non siamo noi. Vecchi amici che hanno continuato, ma noi non c'entriamo niente. Io dagli anni novanta quando ci siamo ritirati non ho preso manco una multa». Quando le domande si erano spostate sui pentiti, a partire da Salvatore Scafuto, reggente del clan per anni, Moccia lo aveva bollato come inattendibile: «Quello è un ubriacone». Il processo continua, i boss sono liberi, ma la presenza di Gratteri è un segnale per evitare l’isolamento e il silenzio.