Si spacciava come uno dei discendenti dei grandi banditi sardi dell'inizio del secolo scorso come "Sa Tigre de Ogliastra”, la tigre dell'Ogliastra Samuele Stochino, medaglia d’oro sul Carso con lo scrittore Emilio Lussu nella Grande Guerra. Ma la leggenda dell’eroe che combatteva contro lo stato carabiniere è definitivamente finita quando una decina di anni fa accettò una comparsata all’Isola dei Famosi, da imprendibile latitante si era ridotto a soubrette televisiva.

Quarant'anni è stato ricercato e poco più di trenta li ha passati in carcere Graziano Mesina, "Grazianeddu”, fama (immeritata) di ultimo balente della Barbagia per il suo orgoglio e per il suo coraggio. Un’altra fine di un’altra libertà è arrivata ieri notte, i carabinieri del Raggruppamento speciale dei carabinieri e uno squadrone dei "Cacciatori di Sardegna” l’hanno preso in una casa di Desulo, un paesino di tremila abitanti in provincia di Nuoro.

Era latitante dal 3 luglio del 2020, quando "Grazianeddu” sparì alla vigilia di una sentenza della Corte di Appello di Cagliari che l'avrebbe condannato a 24 anni di reclusione per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti. Viveva nella sua Orgosolo, con la sorella Peppedda e la sorella Antonia.

Crimine e marketing

Era diventato una preda vanitosa alle soglie degli ottant’anni, metà fuorilegge e metà “comunicatore”, sponsor di sé stesso, crimine e marketing, riti arcaici e la modernità più spinta per alimentare il mito - costruito in gran parte da un giornalismo poco attento agli accordi sottobanco che in altre parti d'Italia chiamano trattative - di una sorta di Robin Hood sardo che era figlio del popolo e che era bandito al servizio del popolo.

Penultimo di undici figli di un pastore barbaricino, nel 1956 fu fermato con un fucile e senza porto d’armi. La prima fuga, i sentieri del Supramonte, gli arresti, le altre fughe, le evasioni, le carceri di Lecce, di Nuoro, di Sassari, di Badu' e Carros dove è ritornato da poche ore. Da fuggiasco come tanti a pericolo pubblico numero uno, Graziano Mesina finisce ai primi posti sul bollettino dei latitanti italiani negli Anni Sessanta, sulle pagine dei quotidiani è "la primula rossa di Sardegna”, il ministero dell’Interno mette sul suo capo una taglia “per chi ne agevola la cattura”.

Prima sono 5 milioni di vecchie lire, poi diventano 10. Ma lui è sempre libero, un giorno si fa riprendere sulle sue montagne a viso scoperto. Ride. E stringe fra le mani una mitraglia. È in quella Sardegna di mezzo secolo fa, e in quell’Italia ancora non devastata dalle bombe dei terroristi neri e dalle P38 dei terroristi rossi, che nasce la favola del figlio del pastore barbaricino. Lo avvistano in ogni angolo dell’isola, "camuffato con parrucche”, mentre insegue le innumerevoli amanti stregate dalla sua balentia. Lo intravedono allo stadio Sant’Elia perché - dicono - non resiste alle esibizioni e ai gol di "Rombo di tuono”, il cannoniere Gigi Riva dello scudetto cagliaritano del 1970.

Danno per certo perfino un incontro segreto con Giangiacomo Feltrinelli, l’editore che - secondo l’aneddotica - lo avrebbe immaginato come una specie di Che Guevara di un’isola del Mediterraneo che somigliava tanto alla Cuba rivoluzionaria.

Al centro di trattative

©Girella/Lapresse 24-11-2004 italia Grazia al bandito Mesina Sessantadue anni, di Orgosolo, Pasquale Mesina ha trascorso circa 40 anni in carcere per il cosiddetto meccanismo del cumulo delle pene. Oggi il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha firmato il provvedimento di grazia nei suoi confronti. Nella foto 1992 Asti, Graziano Mesina

Lo scaltro “Grazianeddu” non smentisce mai e al contrario alimenta ogni voce che lo sfiora, intorno a lui è gloria e mistero, per decenni è un fantasma forse anche coperto da qualcuno molti in alto. Qualche traccia delle sue relazioni non tanto banditesche quanto istituzionali si ritrova nel 1992.

È in permesso speciale fuori da uno dei tanti carceri dove l’avevano rinchiuso e lo contattano per la liberazione di Farouk Kassam, un bambino di sette anni di origine canadese figlio di un visir molto amico dell’Aga Khan. Rapito in una villa di Porto Cervo, mutilato (gli tagliano un orecchio prima di chiedere il riscatto), il bimbo torna a casa e l’annuncio lo dà proprio il giorno prima Graziano Mesina.

È invischiato nella mediazione per salvare Farouk, qualcuno gliel’aveva chiesto. Scriveranno in quei giorni i giornali stranieri: «In Sardegna non comandano né il governo di Roma né quello, semiautonomo, di Cagliari: comandano Graziano Mesina e l’Aga Khan».
Bandito sulla carta e nell’ombra amico di qualche pezzo grosso del Sifar, il servizio segreto militare italiano dal 1949 al 1966 coinvolto in trame, stragi, tentativi di colpo di stato.
Personaggio dai mille volti, imprendibile, enigmatico. C’è un'Italia che tifa per lui. In carcere riceve migliaia di lettere. Fuori dal carcere presentano una domanda di grazia. È il 1991. Presidente della Repubblica è il sardo Francesco Cossiga, direttore degli Affari Penali del ministero della Giustizia è il giudice Giovanni Falcone.

Appena sbarcato a Roma da Palermo, Falcone si ritrova sulla sua scrivania quella domanda di grazia e si oppone: «...Salvo i rari casi in cui sussistano gravi ragioni per eliminare, con un successivo atto di grazia, la libertà vigilata che per legge consegue alla libertà condizionale, l’Ufficio non usa avanzare proposte di grazia…tali gravi ragioni non sembrano, allo stato, sussistere per il Mesina».

Altra domanda di grazia viene presentata quando al Quirinale c'è Oscar Scalfaro. Bocciata anche quella. Poi, la grazia, arriva nel 2004. Il commento del ministro (sardo) dell’Interno del tempo, Beppe Pisanu: «Si conclude un duro itinerario di redenzione umana e riscatto sociale che riconsegna Graziano Mesina alla condizione di uomo libero».

L’incontro con Montanelli

©Torres/Lapresse 25-11-2004 Voghera Italia Interni LIBERATO GRAZIANO MESINA Graziano Mesina e' stato liberato. Fuori dal cancello del carcere di Voghera, c'era ad attenderlo il fratello Salvatore. Ha caricato due borsoni e, assediato dai cronisti, ha scambiato qualche battuta con loro. Poi e' salito a bordo di un'auto e si e' allontanato con il fratello. Nella foto: Graziano Mesina

Ma con quanti mazzi di carte ha giocato nelle sue vite Graziano Mesina? Quanti hanno creduto davvero nel suo affrancamento e quanti hanno finto di credergli? C'è un "Grazianeddu” prima e un "Grazianeddu” dopo o c'è solo un filo rosso e nero che tiene insieme la stessa storia? Graziano Mesina ha avuto tantissimi ammiratori in pubblico e in privato.

Una volta, durante una delle tante "uscite” per i benefici di legge, incontra ad Asti Indro Montanelli. Gli dice: «Sono evaso nove volte e ci ho provato altre trenta. Mi portavano sempre in carceri di massima sicurezza o presunte tali… Perché non esiste un carcere incompatibile con l'evasione: un punto debole io lo scoprivo sempre». E ricorda: «Ogni tanto facevo un pensierino di sparare a Saragat (presidente della Repubblica dal 1964 al 1971)… venne otto volte a Orgosolo, sempre per invitare la gente a farmi prendere, io sapevo perfettamente dove sarebbe passato l’elicottero e a quale balcone si sarebbe affacciato il Presidente. Volendo lo tiravo giù come un piccione».

Vecchie vicende che si intrecciano con l’ultima latitanza, i segreti del bandito sardo che fa spettacolo (e che intanto traffica in droga), gli inviti a presenziare come esperto nei convegni sulla criminalità, la sua agenzia turistica per far conoscere le meraviglie del Gennargentu. Realtà e fiction che si mischiano.

La retorica sui banditi

Come in ogni storia di un bandito sardo che si rispetti ci sono fiumi di retorica che inondano i protagonisti. Ecco cosa scriveva quasi un secolo fa Sebastiano Satta, avvocato penalista di Nuoro, sugli avi di uomini come Graziano Mesina: «Incappucciati, foschi, a passo lento, tre banditi ascendevano la strada..ai banditi piangea la nostalgia. E mesti eran, pensando al buon odore. Del porchetto e del vino, e all’allegria. Del ceppo, nelle lor case lontane».
Nel bollettino dei ricercati del ministero dell’Interno fino a ieri c’erano sette foto segnaletiche e sette nomi. La scheda di "Grazianeddu” era al quarto posto. Da oggi ne rimangono sei. Il primo della lista "dei latitanti di massima pericolosità facenti parti del programma speciale di ricerca” è Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa Nostra che è introvabile dal giugno 1993. Ma al secondo posto, sorpresa, c’è un altro bandito sardo. È Attilio Cubeddu, nato il 2 marzo del 1947 ad Arzana, Ogliastra, ricercato da un quarto di secolo. Qualcuno, una quindicina di anni fa, l’aveva dato per morto. Ma Cubeddu era vivo, vivissimo. Poi è tornato morto. Ma dicono ad Arzana - 2526 abitanti, 670 metri sul livello del mare, 16mila ettari di territorio quasi tutti sul Gennargentu - che stia anche molto bene.

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