«Possiamo sentirci nel pomeriggio? Sto correndo da una parte all’altra a piazzare bidoni della differenziata», dice trafelata al telefono Susanna Sieff. È la sustainability manager dei Mondiali di sci che iniziano il 7 febbraio a Cortina. È un evento del quale è impossibile sottovalutare l’importanza, perché è una delle manifestazioni sportive più importanti organizzate in Italia durante la pandemia e per il suo status di test e prologo all’Olimpiade di Milano - Cortina del 2026. La sostenibilità è lo spin intorno al quale sono stati venduti questi Mondiali, più che una libera scelta commerciale è quasi un obbligo per eventi di questa scala e in particolare quelli in montagna, l’ambiente più esposto ai cambiamenti climatici.

Il problema è che la visione e la pratica della sostenibilità a Cortina sono da anni contestate dalle organizzazioni ambientaliste e dai comitati locali, che accusano la Fondazione di aver riempito i dossier di operazioni di facciata, mentre il territorio veniva devastato e veniva aperta la strada a ulteriori scempi. Non sono esattamente le parole che usano, ma il concetto è che quella di Cortina 2021 è un’idea astratta e coloniale di sostenibilità, concepita a prescindere dal territorio e non per il territorio.

Il futuro del turismo

Con Cortina 2021 non c’è in ballo solo l’organizzazione di un grande evento presente e la preparazione di un ancor più grande evento futuro, ma anche il futuro delle attività turistiche in montagna, già penalizzate dalla pandemia. L’esistenza dei Mondiali contiene due domande distinte, che si incrociano sul paesaggio delle Dolomiti. Una è ciclica e generale: a quale costo – sociale, economico e ambientale – continuiamo a organizzare grandi manifestazioni di breve durata e lunghissima eredità?

Qui un riferimento inevitabile è l’esito dei Giochi di Torino 2006, quattro miliardi di euro di investimenti per impianti che nell’ultimo decennio hanno reso 3 milioni all’anno, con strutture in abbandono, come il trampolino per il salto e la pista da bob. La seconda domanda è locale: qual è il futuro dello sci alpino sulle montagne italiane? Proteggere lo sviluppo che nei decenni le ha portate fuori dalla povertà e pensare un nuovo modello che tenga conto dei cambiamenti climatici sono solo in apparenza esigenze in conflitto. Già oggi – secondo il rapporto Nevediversa di Legambiente – le cime italiane sono un cimitero diffuso di 348 impianti abbandonati o in procinto di essere abbandonati. Hotel mai aperti, impianti di sci dismessi o strutture chiuse per mancanza di neve, problemi economici o fine vita tecnica.

Vincenzo Torti è presidente del Cai, il Club alpino italiano, organizzazione moderata, non contraria per principio ai grandi eventi ma avversa a Cortina 2021 per la filosofia di fondo che è stata attuata: costruire, scavare, edificare. «Gli impianti già esistenti per lo sci alpino in Italia hanno già soddisfatto una domanda ormai inalterata da anni. Ma è folle continuare a costruire e ampliare, stiamo continuando a drenare risorse e paesaggio per allargare quel grande luna park che stanno diventando le nostre montagne».

Cortina 2021 rischia di essere esattamente questo: l’apertura di nuove sezioni del parco giochi montano italiano, anticiclico rispetto ai dati sul cambiamento climatico. C’è meno neve, a quote più alte, con una stagione più breve di 38 giorni rispetto agli anni Sessanta e con un bisogno crescente di neve artificiale. L’esatto opposto della sostenibilità e della creazione dei nuovi modelli turistici di cui hanno bisogno Alpi e Dolomiti.

I tre pilastri

I tre pilastri dell’idea di sostenibilità per Cortina 2021 sono l’economia circolare, la gestione delle emissioni di Co2 e la certificazione indipendente. «Abbiamo tentato per quanto possibile di ridurre l’impatto di alcune scelte. Abbiamo lavorato tantissimo sulla circular economy, per contenere al massimo gli scarti», spiega Sieff. È l’idea di sostenibilità più facile da attuare e da vendere: la raccolta differenziata, l’uso di stoviglie biodegradabili, le forniture bio e fair trade, le auto elettriche, i metalli dei cantieri recuperati per le cerimonie di premiazione, i banner che diventano merchandising.

Non si butta niente ed è nobile, ma è abbastanza? «Un evento di questo tipo ha un impatto ambientale, è inutile negarlo, quello che abbiamo cercato di fare era alleggerirlo, per quanto possibile. Siamo parte di un percorso in continuo miglioramento, chi verrà dopo di noi potrà fare meglio anche in base alla nostra esperienza». È tutto vero (e certificato) ma le contestazioni non riguardano tanto la sostenibilità dell’evento in sé, quanto i cantieri e le strutture. Sono fuori dalla sfera di intervento della Fondazione ma riguardano lo stesso ecosistema.

Il principale conoscitore degli interventi è Luigi Casanova, presidente dell’associazione Mountain Wilderness. Casanova ha monitorato Cortina 2021 dall’inizio, è un ex forestale severo e radicale. «Avevamo chiesto un percorso partecipato, il primo passaggio della sostenibilità è la condivisione. Fino al 2017 si dialogava, poi Alessandro Benetton è diventato presidente della fondazione e il percorso partecipativo è stato bloccato». Gli interventi più contestati sono gli sbancamenti e i disboscamenti per l’ampliamento delle piste di gara, l’allestimento della pista di allenamento, la nuova cabinovia, il grande parcheggio all’arrivo della discesa libera, l’allargamento della strada per arrivare in cima, tutto con la beffa di un evento senza pubblico causa Covid. Il totale dell’area boscata tagliata solo per raddoppiare le piste è di 27 ettari, è stato sacrificato un bosco di larici secolari, un capitale di 10mila piante.

Le compensazioni

Nella sostenibilità di Cortina 2021 c’è il rimboschimento in altre aree, ma è proprio questa l’idea contestata, che un luogo valga come un altro, che si possa tagliare a Cortina e piantare altrove, tanto i conti rimangono in pareggio. Un discorso simile vale anche per la compensazione delle emissioni: si conteranno quelle assorbite dall’impianto di cattura e stoccaggio della Co2 di Blue Valley, nella laguna di Venezia. «Meglio che comprare i crediti in paesi in via di sviluppo, come fanno tanti», dice Sieff.

«I disboscamenti hanno esposto le piste a rischio valanghe – aggiunge Casanova – Sono stati creati degli impianti anti-valanga alimentati da un gazometro a bassa quota che pompa gas esplodente nelle campane piazzate a quote elevate. L’infrastrutturazione così in alto modifica la morfologia del territorio, lassù non dovrebbe essere manomesso niente, le cime sono sacre e vanno considerate tali». Un altro tema contestato è quello degli invasi per la neve artificiale, sempre più importante ora che quella naturale è imprevedibile (a parte questo inverno anomalo): la portata aumenta, i nuovi impianti arrivano a 100mila metri cubi di acqua. Il bilancio di Casanova è questo: «La Tofana di Mezzo, la cima che ospita le piste, è stata devastata, il piede della montagna è sconvolto dai cantieri, tutto il territorio è stato esposto a rischi idrogeologici e a un dovere di manutenzione continuo, che ricadrà sulla comunità locale». Che poi è il rischio di questi grandi eventi, una breve festa mobile e un lungo inverno di conseguenze.

Cortina 2021 è una finestra su Milano - Cortina 2026 e sul rischio di altre costruzioni e altro cemento. Qui il principale fronte di conflitto è la nuova pista da bob, che ha già fatto litigare Veneto e Cio. L’alternativa è tra l’ampliamento di una struttura esistente ma lontana, quella di Cesana (costruita per Torino 2006) e la costruzione di un impianto nuovo sul vecchio tracciato dei Giochi del 1956, in contraddizione con le raccomandazioni Cio sull’uso di strutture esistenti o smontabili. Sullo sfondo però c’è qualcosa di ancora più grande, che riguarda tutto il futuro delle Dolomiti. Il progetto, caro a Zaia e alla sua visione sviluppista della montagna, si chiama Grande Carosello.

Mondiali e Olimpiade fungono da innesco e contesto a questa idea di collegare gli impianti esistenti sulle Dolomiti in una ragnatela di ulteriori piste e funivie. Si tratta di un investimento da 100 milioni di euro, farebbe di Cortina, Civetta e Arabbia un unico comprensorio, il più grande al mondo, sul quale il ministro Spadafora ha già speso la parola magica: sostenibilità. «Invece significa urbanizzare le alte quote, non sono mai solo gli impianti, perché ogni impianto porta una funivia, un ristorante girevole, un albergo, un danno paesaggistico immane e irreversibile», conclude Casanova.

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