A Oslo comincia il cammino per esorcizzare una qualificazione che manca da due edizioni. E però attorno alla nazionale del ct Luciano Spalletti si è creato il panico. Non bastano più le parole, le convocazioni, le speranze. All’Italia serve la scossa
Chi ha paura di Erling Haaland? L’Italia, evidentemente. Perché quella contro la Norvegia, venerdì 6 giugno, non è più solo una partita: è diventata la manifestazione di tutte le angosce del calcio italiano. Un viaggio dentro l’inconscio del nostro calcio, dove l’azzurro tenebra si fa horror vacui.
Terrore vero, mica sportivo. Quello di precipitare nel vuoto di un’altra estate senza Mondiali. Noi spettatori, gli altri protagonisti. Loro con i gol, le pizzate by night, i maxischermi e le trombette. Insomma, le notti magiche: che invidia. Noi con i rimpianti, le recriminazioni e le analisi da bar.
A Oslo comincia dunque il cammino per esorcizzare una qualificazione che manca da due edizioni. E però attorno alla nazionale del ct Luciano Spalletti si è creato il panico. Come fosse uno spareggio, l’idea diffusa è che questa sia già una partita da dentro o fuori. Anche se è la prima e davanti c’è ancora molta strada da fare.
Numeri e attaccanti
Secondo molti i motivi sarebbero legati all’aritmetica. Motivi banali, quasi scontati. Gli scandinavi hanno già disputato due incontri e hanno fatto quello che dovevano fare: mettere ko in trasferta la Moldavia (0-5) e Israele (2-4) andando a punteggio pieno, forti anche di una differenza reti importante (+7, 9 gol fatti e 2 subiti). In caso di sconfitta per l’Italia il percorso di avvicinamento alla Coppa del Mondo sarebbe dunque subito in salita, con l’obbligo di vincere sempre e sperare che la Norvegia perda punti per strada così da poterla superare e conquistare la qualificazione diretta evitando i playoff.
Norvegia is the new Mission Impossible? Forse. Ma Haaland non è Tom Cruise. Diciamolo: persino con lui in campo, bomber multiforme, studiato dalla scienza per via della sua capacità di scansionare lo spazio e anticipare i movimenti, la Norvegia ha anche perso. Con la maglia della nazionale Haaland ha già all’attivo 41 presenze con 40 gol dal 2019, ma in tutto questo tempo la nazionale non ha mai messo piede in un Europeo o in un Mondiale.
Quella dell’attaccante implacabile è dunque una narrazione apocalittica degna dei romanzi di Richard Matheson. Lui (Haaland) è sì leggenda. Ma a definirlo inarrestabile è la paura ben più che la realtà dei fatti.
Problemi italiani
E lo stesso vale per tutti i problemi (veri o presunti) con cui deve fare i conti Spalletti. Repubblica ha fatto notare che c’era una volta la difesa più forte del mondo, ma ormai è sparita. Non ci sono più i Facchetti e Burgnich, Scirea e Gentile, Franco Baresi e Paolo Maldini, Cannavaro e Nesta, Chiellini con Barzagli e Bonucci. Si stava meglio quando si vinceva, anche questo è vero. Ma l’Italia che scenderà in campo stasera non ha i mezzi per farlo. «Siamo tutti qui belli felici di andare a giocare una partita di questo livello. C’è sempre la lancetta che oscilla fra la tensione e la difficoltà della gara a livello mentale e la bellezza e l’attrazione per qualcosa di unico che ti vai a giocare», ha detto Spalletti.
La tensione è già alta da mesi. Gli infortuni, i forfait e i dietrofront non hanno fatto altro che alimentare l’ansia di un sistema già fragile. Anche se la Norvegia non è l’ultima spiaggia. Se si guarda bene, i nove giocatori più utilizzati da Spalletti (i suoi fedelissimi) ci sono tutti. Da Bastoni a Tonali, passando per Udogie e Raspadori: la spina dorsale dell’Italia non è cambiata. Quella stessa intelaiatura che (in parte) aveva ben figurato in Nations League e fatto sperare in una rifondazione tecnica, persino in un nuovo corso spirituale. E allora perché il panico?
È bastato lo stop di Matteo Gabbia (25 anni, zero presenze in nazionale) per far scattare gli allarmi di una crisi istituzionale. Al suo posto è stato convocato Daniele Rugani, 30 anni, in prestito all’Ajax dalla Juve (che è in ballottaggio con Diego Coppola del Verona, anche lui al debutto). E poi c’è il caso Acerbi. Il suo rifiuto ha fatto rumore più di un gol al novantesimo. «Acerbi poi mi spiegherà dove gli ho mancato di rispetto. E io gli dirò ciò che penso sul rispetto dovuto a me e alla nazionale», ha detto Spalletti. Una frase che se voleva rasserenare gli animi ha ottenuto esattamente l’effetto contrario.
Non bastano più le parole, le convocazioni, le speranze. All’Italia serve la scossa. E non soltanto in classifica. «Con la Norvegia è la partita più importante, perché è quella che ci può portare ai Mondiali». Ma a forza di gridare al lupo al lupo ogni volta che si incontra un Haaland qualunque, poi finisce che ci si abitua all’idea che i mondiali siano un miraggio.
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