Tra i fondi europei per l’agricoltura e le aziende agricole beneficiarie c’è un un imbuto, un meandro burocratico dove si perdono miliardi di euro.

L’ultima relazione della Corte dei conti su Agea, l’agenzia pubblica incaricata di gestire i finanziamenti comunitari per la produzione agricola, ha lanciato nuovamente l’allarme sulla capacità di spesa dei finanziamenti europei nel settore tradizionalmente più assistito da Bruxelles.

Su 10,4 miliardi di euro di fondi previsti per il periodo 2014-2020, l’Italia è stata in grado di spendere appena 2,9 miliardi (dati al 2018), ovvero meno del 30 per cento. Una perdita secca di più di 7 miliardi, che ora rischiano, almeno in parte, di tornare nelle casse della Commissione.

Un punto tradizionalmente critico per l’Italia, che emerge mentre il governo si prepara a presentare il piano Next Generation Eu, cercando di convincere i partner europei sulle proprie capacità di gestione dei fondi comunitari.

L’Italia è al momento il secondo beneficiario per i fondi di sviluppo rurale, subito dopo la Francia, che ha visto un finanziamento di 12 miliardi nel periodo 2014-2020. Una posizione che però non sta dando nessun vantaggio competitivo. Anzi.

Senza progetti e molte frodi

Oltre alla mancanza di progettazione adeguata, l’Italia si trova nella parte alta della classifica per le frodi o le irregolarità nelle rendicontazioni dei fondi per l’agricoltura. È l’altro punto critico segnalato dai magistrati contabili nella relazione depositata il 18 febbraio scorso: «Vi è un numero elevato di irregolarità e frodi segnalate nel 2018 all’Olaf, sia in termini di casi, sia soprattutto in termini di valore». Indicatore, questo, di un sistema di controllo interno non sempre ottimale.

La Corte dei conti ha evidenziato anche criticità nella governance dell’agenzia, a partire dal direttore, che svolge le funzioni dell’organo di indirizzo politico e quelle gestionali.

Dal 2016 l’incarico è ricoperto dal commercialista pugliese Gabriele Papa Pagliardini, riconfermato nel 2019 dall’ex ministro Teresa Bellanova. Per la sua carica la legge prevede un compenso annuo di 219 mila euro. Il 20 per cento dello stipendio è però legato ai risultati ottenuti, ma il sistema di valutazione per i magistrati contabili non è verificabile oggettivamente: «Il riscontro dell’effettivo conseguimento di tali obiettivi - si legge nella relazione sulla gestione del 2018 - è, però, ancorato alla mera presentazione all’Amministrazione vigilante di una ‘autorelazione’ da parte del medesimo Direttore».

In sostanza il dirigente di fiducia di Bellanova valuta se stesso, assegnandosi il premio di produzione. Non esiste nessuna verifica, secondo i magistrati contabili, sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi, come avviene normalmente in altre agenzie o ministeri: «Va rilevata l’assenza di misure di controllo e validazione equiparabili a quelle previste nell’ambito del pubblico impiego», si legge nella relazione della Corte dei conti.

Analizzando i bilanci, i magistrati hanno poi rilevato come lo stipendio del direttore sia andato oltre i limiti indicati, raggiungendo, proprio nel 2018, la quota record di 320 mila euro. Somma alla quale si aggiunge un rimborso spese, per lo stesso anno, di 61 mila euro.

Per Agea è tutto regolare: la cifra messa a bilancio «comprende anche la quota degli oneri a carico dell’Amministrazione, ovvero l’Irap e la contribuzione Inps». Su questo punto i magistrati contabili hanno annunciato ulteriori approfondimenti.

Diversi i punti critici - e in alcuni casi opachi - rilevati dalla Corte dei conti nella gestione delle società partecipate da Agea. Particolarmente importante è la Sin Spa, che ha il compito di gestire e sviluppare il Sistema Informativo Agricolo Nazionale (Sian), a supporto delle attività agricole, forestali e della pesca. E’ il cuore della produzione primaria del paese, il sistema operativo che gestisce e smista i finanziamenti, i sussidi e gli aiuti all’intero settore.

Attualmente la società è controllata al 51 per cento dall’agenzia, con il restante delle quote in mano a gruppi privati. Nel 2015 è stato previsto il ritorno al completo controllo pubblico, con la liquidazione degli altri soci. La data limite per il riacquisto delle quote era il 16 settembre del 2016, ma ad oggi l’assetto societario è rimasto invariato.

Se le quote non sono tornate allo stato, i soldi per il riacquisto del controllo sono stati però in buona parte già pagati. Quattro anni fa l’agenzia ha deliberato la concessione «di un acconto sul prezzo di cessione delle azioni per un importo di euro 8,84 ad azione sino alla concorrenza dell’importo massimo di euro 20.400.000,00».

Importo già erogato, per il 69 per cento, da Agea ai soci privati della Sin Spa. Il rischio, sottolinea la Corte dei conti, è che alla fine «il valore delle azioni di Sin Spa al momento del riacquisto possa risultare inferiore». Con un evidente danno per i bilanci dello stato.

Appalti

La gestione degli appalti dell’agenzia, infine, è risultata ben lontana dai criteri di buona amministrazione prevista dal Codice dei contratti pubblici.

Agea - si legge nella relazione – «non ha istituito l’albo dei fornitori» ed ha fatto ricorso quasi sempre ad affidamenti diretti per le gare. Su questo punto i magistrati contabili hanno chiesto informazioni sui sistemi di verifica della congruità dei prezzi per tutti gli appalti affidati senza l’utilizzo della piattaforma della Consip. Nessun risposta è mai arrivata.

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