- «Ogni minuto che passa rimpiango il giorno in cui sono diventata una collaboratrice di giustizia». A dirlo è Maria (nome di fantasia), moglie di un reggente di ‘Ndrangheta dal 2012 nel Servizio centrale di protezione testimoni.
- La sua è una delle molte storie. Il programma è fermo da circa 20 anni e «necessita di un maggior investimento economico per garantire una qualità della vita dignitosa», ammette Gaetti (M5S) ex sottosegretario dell’Interno.
- Il ministero degli Interni e il sottosegretario leghista Nicola Molteni, alla guida della Commissione centrale di protezione, interpellati da Domani, non hanno fornito nessuna risposta
«Ogni minuto che passa rimpiango il giorno in cui sono diventata una collaboratrice di giustizia». A dirlo è Maria (nome di fantasia), moglie di un reggente di ‘Ndrangheta che dal 2012 è entrata assieme alla sua famiglia all’interno del Servizio centrale di protezione testimoni. Una scelta non sua, ma indotta dalla presa di posizione del coniuge, che sceglie di dissociarsi dall’organizzazione criminale e diventare un pentito, ottenendo in cambio minacce di morte da alcuni suoi ex “colleghi”.



