Il Covid-19 sta colpendo un profilo ben definito: le ragazze, soprattutto del sud, infrangendo ogni «illusione di parità» a partire dalle più piccole. Si legge nei dati dell’Undicesima edizione del nuovo Atlante dell’infanzia a rischio di Save the children, “Con gli occhi delle bambine”, diffuso a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza che ricorre il 20 novembre.

In Italia circa 1 milione e 140 mila ragazze tra i 15 e i 29 anni rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione. Il limbo senza lavoro e senza studio intrappola 1 ragazza su 4, con picchi che si avvicinano al 40 per cento in Sicilia e in Calabria. Persino nei territori più virtuosi, che registrano percentuali nettamente più basse, accade ad esempio che in Trentino Alto Adige, a fronte del 7,7 per cento dei ragazzi, le ragazze “Neet” siano quasi il doppio (14,6 per cento). Una situazione che – in base ai dati sul mercato del lavoro degli ultimi mesi – è peggiorata per la crisi seguita all’emergenza Covid-19.

«Questo anno resterà nella memoria di tutti, anche dei giovanissimi, per essere stato quello della pandemia, del confinamento obbligato, della paura per un presente e (forse) un futuro impensato» si legge nella presentazione del documento, che rischia di non essere «a misura di bambine».

Povertà

La povertà colpisce i bambini indiscriminatamente. Già prima della pandemia, nel nostro paese 1 milione 137 mila minori (l’11,4 per cento del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Il dato è in calo rispetto al 12,6 per cento del 2018, ma rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19. Dopo la crisi economica del 2008, ricorda l’associazione, la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1 per cento nel 2007).

Anche qui il mezzogiorno torna a dare il peggio. In media più di 1 minore su 5 (il 22 per cento) vive in condizioni di povertà relativa, con la Calabria (42,4 per cento) e la Sicilia (40,1 per cento) ai primi posti di questa triste classifica, mentre Trentino Alto Adige (8,3 per) e Toscana (9,8 per cento) si rivelano le regioni più virtuose in tal senso.

Diseguaglianze di genere

A questo fattore di discriminazione, si aggiunge il divario di genere, alimentato da diseguaglianze sistematiche e ampiamente diffuse nel nostro paese.

Si parte dai lavoretti a casa. Le piccole incombenze domestiche quotidiane sono infatti equamente ripartite indipendentemente dal genere fino agli 11 anni, ma superata quest’età si comincia a evidenziare una sproporzione del carico domestico a sfavore delle ragazze che lavorano mediamente un quarto d’ora in più dei fratelli maschi. 

I dati dell’Atlante mettono in evidenza la nascita dell’ «illusione della parità» delle bambine e delle ragazze, che a scuola godono di una condizione di parità con i coetanei, anzi sono più brave nelle performance scolastiche e leggono di più. L’istruzione rappresenta il principale viatico per l’ingresso nel mondo del lavoro delle giovani. Il fallimento formativo è un rischio che non si possono permettere come i maschi: le espone ancora di più ad un futuro lavorativo fatto di salari più bassi e minore considerazione. Questo le spinge a studiare fino a ottenere una laurea in un terzo dei casi, a fronte di un quinto dei giovani maschi: tra le 30-34enni il 34 per cento è laureata, mentre tra i 30-34enni maschi lo è solo il 22 per cento.

Ma le aspettative si infrangono al primo confronto con il mondo del lavoro, anzi prima, con il sistematico allontanamento dalle materie scientifiche, di cui tutti parlano ma per cui ben poco finora si è riusciti a fare.

Gli interventi

«Servono interventi mirati, qual piani formativi e doti educative, per promuovere tra le bambine e le ragazze – a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati – l’acquisizione di fiducia nelle proprie capacità in tutti i settori. Anche nella matematica, le scienze, l’ingegneria e le tecnologie digitali», ha detto Raffaela Milano direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.

Che il divario di genere sia lentamente instillato a scuola lo dimostrano i voti. Le bambine alla fine della scuola primaria ottengono un punteggio medio ai test Invalsi di matematica di 4,5 punti inferiore rispetto ai coetanei, uno svantaggio che sale a -6 punti al secondo anno delle superiori, fino a -10 punti all’ultimo anno delle scuole superiori.

Secondo i dati forniti a Save the Children dal Miur relativi al 2019, tra i diplomati nei licei i ragazzi sono più presenti in quelli scientifici (il 26 per cento di tutti i diplomati, rispetto al 19 per cento delle diplomate) mentre le ragazze sono più presenti nei licei umanistici-artistici (il 42 per cento di tutte le diplomate, solo il 13 per cento dei diplomati). Allo stesso modo, solo il 22 per cento delle ragazze si sono diplomate in istituti tecnici, a fronte del 42 per cento dei maschi. Quando si iscrivono all’università, poche scelgono le facoltà in ambito scientifico-tecnologico (Stem): solo il 16,5 per cento delle giovani laureate tra i 25 e i 34 anni ha conseguito il titolo in questo settore, a fronte di una percentuale più che doppia (37 per cento) per i maschi. Un percorso che conduce alla segregazione orizzontale nel lavoro e nelle carriere nei settori più innovativi (Stem e Informatici).

Aiutare le mamme

Save the children mette in guardia: bisogna aiutare anche le mamme perché le figlie possano superare il divario che pesa su di loro dall’infanzia. «Occorre invertire la rotta, per non doverci svegliare dalla pandemia in un mondo del lavoro tutto al maschile, con l’effetto di scoraggiare le ragazze che sono oggi impegnate in un percorso educativo già ricco di ostacoli». Sarà necessario partire dalle donne – e dalle bambine – «non solo a parole, ma con investimenti e obiettivi precisi che riguardino il mondo del lavoro così come i servizi per la prima infanzia, i percorsi educativi all’interno delle scuole così come il contrasto ad ogni forma di violenza di genere e il sostegno al protagonismo delle stesse ragazze», ha concluso Milano.

Il governo ha detto che vuole intervenire sul gender gap nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Next Generation Eu, ha ricordato Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia: «Se per uscire dalla crisi il nostro Paese intende davvero scommettere sulle capacità delle donne, questa scommessa dovrà partire dalle bambine, a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati».

© Riproduzione riservata