La compravendita del capannone di Cormano, da adibire a nuova sede della fondazione Lombardia Film Commission, è un'operazione «marginale» secondo i pubblici ministeri che indagano su Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due commercialisti della Lega agli arresti domiciliari dal 10 settembre per l'inchiesta della procura di Milano che trae spunto da questo affare.

Questo passaggio, che si rintraccia alla fine delle motivazioni con le quali il Tribunale del Riesame ha rigettato la richiesta di scarcerazione dei due professionisti lombardi, ha la forza di spostare più in alto e più in là  l'orizzonte di questa inchiesta, che vuol far luce su uno spaccato politico affaristico i cui contorni diventano immediatamente più ampi di quanto si riuscisse a percepire con una certa nitidezza finora.

«Rimangono sicuramente da esplorare altri ancor più delicati settori in cui il 'pool' dei commercialisti hanno impiegato la propria professionalità» hanno detto i pm ai tre giudici del Riesame durante l'udienza a porte chiuse, e questi ultimi hanno fatto proprio questo passaggio – sibillino per la verità - valorizzandolo nelle proprie motivazioni con le quali hanno negato la libertà ai due indagati, disposti anche a versare una corposa cauzione (oltre 170 mila euro a testa) pur di potersi affrancare da questa restrizione mentre si continua ad approfondire il loro lavoro.

Uomini di partito e i 49 milioni

Gli stessi giudici del Riesame alzano l'asticella sui due commercialisti, definendoli “uomini di partito” (la Lega). Un passaggio, questo, che legato ai tanti “delicati” settori che la procura deve “esplorare” lascia passare l'idea che questa vicenda giudiziaria possa avere degli sviluppi dirompenti.

Sviluppi che probabilmente si legano agli ambiti dell'inchiesta della procura di Genova, la quale indaga sulla sparizione dei 49 milioni di contributi elettorali incassati ingiustamente dal partito sotto la gestione di Umberto Bossi e del tesoriere Francesco Belsito e poi apparentemente volatilizzati nel nulla.

Le due procure si stanno parlando da tempo e non è escluso che a breve potrebbero esserci delle novità che derivano anche dallo scambio di informazioni che man mano gli inquirenti acquisiscono ed elaborano.

Matteo Salvini, ma anche l'attuale tesoriere Giulio Centemero che è socio dello studio bergamasco di Manzoni e Di Rubba, hanno sempre negato che quei soldi possano essere ancora nella disponibilità del suo partito, com'è noto. A questa tesi, però, non ha mai creduto la procura di Genova che indaga da tempo e forse adesso i pm, coadiuvati dal Nucleo economico finanziario della Guardia di Finanza, iniziano ad avere un quadro più nitido di cosa possa essere successo.

Tornando alle motivazioni che hanno respinto la scarcerazione, i giudici ritengono che la possibilità che i due indagati possano continuare a reiterare il reato sia concreta. Scrivono i magistrati a tal proposito che attraverso «contratti, fatture e pareri che possano mascherare i passaggi di denaro unicamente finalizzati all'arricchimento proprio» i due abbiano un'estrema familiarità nel nascondere la reale finalità della compravendita del capannone di Cormano, grazie al quale i due si sarebbero arricchiti con il denaro pubblico utilizzando un ente compartecipato dalla regione Lombardia e dal comune di Milano del quale Di Rubba è stato presidente.

Passaggi di denaro ben poco chiari che hanno coinvolto anche altre persone e che sono stati alla base, qualche giorno fa, del sequestro preventivo di due villette sul lago di Garda riferibili ai due commercialisti, acquistate secondo i pm con i soldi frutto di questo peculato ai danni della fondazione.

Piani alti della politica

Per il riesame c'è, inoltre, la concreata possibilità di un inquinamento probatorio, ovvero la capacità di distogliere gli inquirenti dalla verità dei fatti contestati. Il Riesame ha evidenziato le «reazioni» dei due indagati non appena la vicenda che li riguarda è divenuta in qualche modo pubblica.

In particolare i giudici fanno proprio il racconto dei pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi che hanno sottolineato l'importanza di un incontro politico avvenuto a Roma il 26 e 27 maggio scorsi per «studiare anche le strategie di difesa del direttore della filiale di Seriate (Bg) di Banca Ubi che era stato raggiunto da gravissime contestazioni disciplinari per aver 'coperto' i due indagati e le loro società nelle movimentazioni di denaro (dell'ordine del milione di euro, ndr) che continuamente facevano scattare gli alert dell'applicativo Gianos su operazioni anomale secondo i canoni dell'antiriciclaggio, non avendo mai il funzionario inoltrato segnalazioni di operazioni sospette». L’incontro avvenuto a Roma fa dire ai pm che i due commercialisti sono in grado di raggiungere i piani altissimi della politica non appena di presenta un problema. Come nel caso della vicenda Ghirardi, appunto.

Il terzo commercialista implicato in questa vicenda – Michele Scillieri -, considerato il “maestro” di Manzoni dai giudici del Riesame, non ha invece mai presentato richiesta di scarcerazione e resta quindi ai domiciliari.

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