Si può chiedere un processo equo se il processo non c’è? Perché si dà il caso che nell’affaire Bose, l’associazione privata di fedeli fondata da Enzo Bianchi negli anni Sessanta tra i colli biellesi, non c’è ombra di reato. Ciononostante, la storia della comunità è a un punto di non ritorno. Nel 2017, dopo l’elezione del nuovo priore, Luciano Manicardi, sono emerse tali incomprensioni che la Santa sede ha dovuto operare una scelta netta verso il suo fondatore e alcuni membri. Con un “decreto singolare” datato 13 maggio 2020, il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, ha invitato Bianchi e tre membri della comunità ad allontanarsi: il primo a tempo indeterminato, i secondi per cinque anni. D’altra parte, il decreto incoraggia la comunità a seguire il suo carisma fondativo in sintonia con il Concilio vaticano II. Eppure, sebbene papa Francesco abbia confermato questa linea alla vigilia del suo viaggio in Iraq, Bianchi – a cui nel frattempo era stata assegnata una pieve in comodato d’uso – è ancora a Bose, quasi un mese dopo la scadenza dei termini da lui inizialmente accettati.

Nessun contatto

Il punto di svolta del caso Bose è sancito dal decreto di maggio con cui Bianchi e tre membri della comunità venivano invitati ad allontanarsi da Bose, solo il primo a tempo indeterminato. Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi sono, viceversa, stati allontanati per soli cinque anni e non ci è dato sapere se vivono in monasteri oppure in alloggi autonomi, presumibilmente a carico della comunità di cui continuano comunque a essere membri. Sebbene solo gli interessati sappiano il motivo del loro specifico allontanamento, il decreto vieta ai tre di avere contatti con Bianchi. Sei mesi dopo la partenza di Goffredo Boselli, il suo nome compare fra gli amministratori del nuovo sito che Enzo Bianchi ha aperto il 13 novembre 2020 dopo la sua dipartita dalla comunità. Nome che è rimasto pochi giorni prima che venisse oscurato: «Alcuni amici hanno voluto allestire questo nuovo sito “Altrimenti blog” di Enzo Bianchi fondatore di Bose per darvi la possibilità di leggere i miei scritti che ultimamente non trovate più sul sito della comunità di Bose», spiega l’ex priore in homepage. Eppure, basta dare un’occhiata al sito www.monasterodibose.it per vedere che, alla voce “fondatore”, ci sono ancora tutti gli articoli di Bianchi, almeno fino al 2 novembre 2020, cioè due settimane prima dell’apertura del suo sito www.ilblogdienzobianchi.it.

Tweet fuori da Bose

Secondo quanto riportano alcuni, dentro Bose starebbe crescendo un partito parallelo di supporto all’ex priore contro l’attuale, Manicardi, che non solo è stato eletto nel 2017, ma sarebbe stato anche confermato due anni dopo da due terzi della comunità. Su Repubblica di Torino, di recente è stata pubblicata la fotografia di un avviso affisso alla bacheca privata di Bose dal titolo “Ordine e disciplina”. Si tratta della menzione di un capitolo della Regola di Bose del 1973. «Il Priore Manicardi ha inasprito regole e disciplina: nessuno parli con l’esterno e neppure nei momenti comunitari. Eventuali richieste vanno indirizzate al “Discretorio”, inquietante organismo gestionale introdotto dallo stesso Manicardi», scrive il giornalista Francesco Antonioli, ma il discretorio è un organo statutario presente fin dal primo statuto di Bose e risalente al 2001. E le indicazioni contenute nella foto citata ricalcano in realtà la tradizionale, antica consuetudine monastica, e non solo, di conservare il segreto su quanto espresso nei capitoli riservati ai soli aventi diritto.

Tra parole e silenzio

Alcuni sono sorpresi dal silenzio della comunità: «I monaci e le monache di Bose ci hanno fatto sapere la loro sofferenza, e nulla più», scrive il canonista Pierluigi Consorti. Ma la scelta potrebbe essere dettata da varie ragioni. La primaria è che il contenuto del decreto singolare è in possesso soltanto di Bianchi. Sempre Repubblica avanzava un’ipotesi nel dare notizia dell’udienza concessa dal papa al priore Manicardi e al delegato pontificio: «Il papa avrebbe sentito in questi giorni anche lo stesso Bianchi per cercare di ricomporre la situazione… e lo stesso pontefice avrebbe fatto sapere a Bianchi, tramite una terza persona, nei giorni scorsi, che era alla ricerca di una soluzione». Cosa il papa avrebbe riferito tramite il suo ipotetico “emissario” non è noto. Ma è significativo che il 5 marzo Bergoglio, dopo aver ricevuto in udienza privata il priore e il delegato, abbia mostrato la sua vicinanza alla comunità, secondo quanto riferiva la sala stampa vaticana: «Sua santità ha voluto così esprimere al priore e alla comunità la sua vicinanza e il suo sostegno. Papa Francesco, che fin dall’inizio ha seguito con particolare attenzione la vicenda, ha inoltre inteso confermare l’operato del Delegato pontificio in questi mesi, ringraziandolo per aver agito in piena sintonia con la Santa Sede». E, sempre secondo quel comunicato, il papa ha ribadito i contenuti del decreto chiedendone ancora una volta l’esecuzione. La risposta dell’ex priore non si è fatta attendere.

La pieve svuotata

Rompendo il silenzio con un comunicato pubblicato il 5 marzo, ma datato 9 febbraio, Bianchi non ha chiarito il motivo del suo allontanamento, ma ha puntato il dito contro il priore e l’economo di Bose, nonché il delegato Cencini. Seppure, come scrive Antonioli, «in molti stanno chiedendo a Enzo Bianchi di pubblicare il decreto inappellabile che lo riguarda», al momento l’ex priore ne mette in discussione le condizioni di applicazione. Tra di esse, contesta lo spostamento nella pieve di Cellole San Gimignano. La soluzione di affidargli l’immobile in comodato d’uso gratuito precario è stata trovata dalla comunità in accordo con il delegato pontificio e con l’assenso preventivo di Bianchi: in questo modo, non solo la fraternità lì residente è tornata a Bose, ma ne è stata cambiata la destinazione d’uso. A Bianchi non è più consentito l’utilizzo del nome di Bose e neppure ai fratelli che hanno scelto di assisterlo volontariamente. Per costoro vale la condizione di extra domum: i fratelli restano membri della comunità e ne conservano i diritti, a cominciare dalla partecipazione ai capitoli. Due di loro attualmente sono a Cellole dal 9 febbraio scorso in attesa di Bianchi per non lasciare la pieve sguarnita e non pare vivano in «condizioni disumane», come asserito da Bianchi. Basta guardare le visure catastali e camerali e confrontarle con google maps per rendersi conto dei terreni di Cellole: un totale di svariati ettari affidato, con regolare contratto d’affitto, alla società agricola Agribose, di cui sono soci e/o conviventi di soci tutti i membri di Bose, quindi anche quelli presenti a Cellole. Sono questi i terreni, vincolati dall’affitto e che continuerebbero a essere lavorati dai fratelli presenti a Cellole per fornire prodotti agricoli per autoconsumo o vendita, che Bianchi lamenta non essere stati inseriti nel comodato d’uso, a differenza di quelli nell’immediata prossimità della pieve attualmente adibiti a orto.

Abuso di potere?

Dalla faccenda emerge una figura, che è stata dipinta come controversa: il delegato pontificio Amedeo Cencini, “lo psicologo” – come sottolinea Consorti – che ha seguito il dossier di Bose. Il sacerdote canossiano è laureato in psicologia presso la pontificia università Gregoriana, poi specializzatosi in psicoterapia all’Istituto superiore di psicoterapia analitica. Esperto di problematiche psicologiche della vita sacerdotale e religiosa, il suo percorso è in sintonia con una tra le questioni più urgenti della chiesa cattolica. Secondo la congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, circa il 4 per cento degli istituti attuali del mondo cattolico ha affrontato una visita apostolica per abuso di potere, manipolazione di coscienza e derive settarie. Il tema è stato di recente affrontato da Vida Nueva con un approfondimento tematico del gesuita spagnolo Alejandro Labajos. Nell’articolo “Abusi di potere e di coscienza nella vita consacrata”, con sorpresa il gesuita scrive: «In un caso recente, quello di Enzo Bianchi e della comunità di Bose, il comunicato imposto dalla Santa sede parla di una situazione tesa e problematica riguardo l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima di fraternità. Tuttavia forse per prevenire lo scandalo, non parla di abuso sebbene ci siano vittime del potere violento del fondatore e di chi stava intorno a lui». A cosa si riferisce il gesuita spagnolo? C’entrano qualcosa le “calunnie” a cui fa riferimento Bianchi? E perché ne fa menzione una pubblicazione tematica in lingua spagnola?

Domande aperte

Sono domande tuttora senza risposta, ma che fanno di Bose il dossier più difficile degli otto anni di papa Francesco, noto per la sua amicizia con Enzo Bianchi. Oggi sembrano lontani i tempi in cui l’ex priore scriveva: «C’è un ciclo di vita anche per le comunità, le fraternità, le congregazioni e il non riconoscerlo comporta gravissime conseguenze per i singoli membri come per la testimonianza evangelica della comunità stessa. Di eterno c’è solo Cristo e nella vita religiosa occorre imparare l’ars moriendi e accettare il declino, magari fino all’estinzione» (Non siamo migliori, Qiqajon, 2002). Forse morire non è un atto artistico, tanto meno equiparabile all’estinzione di una specie. Forse morire è piuttosto un annientamento «il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e fare il bene alle anime». Lo scriveva il beato Charles de Foucauld prima di morire, ucciso dai predoni algerini per aver scelto di vivere, monaco ed eremita, fra i poveri del mondo.

 

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