«Visto il caso Padoan sarebbe utile che il parlamento accelerasse la risposta alla raccomandazione dell’Autorità nazionale anti corruzione». Arturo Scotto, coordinatore nazionale di Articolo 1- Mdp è stato uno dei politici più critici sul passaggio dell’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al consiglio di amministrazione di Unicredit.

Il consiglio di amministrazione di Unicredit sarà rinnovato ad aprile 2020 e Padoan è stato cooptato come presidente designato per svolgere «un ruolo attivo» nella selezione dei nominativi dei candidati a siedere nel nuovo board.

Ora gli viene affidato un ruolo tanto strategico per il futuro della seconda banca italiana, ma l’ex ministro che ha gestito in prima persona il frangente delle crisi bancarie continua per ora a sedere nella commissione Bilancio della Camera, anche se ha annunciato la volontà di dimettersi.

Il suo caso ha sollevato critiche all’interno della stessa maggioranza di governo con i deputati della commissione Finanze del Movimento cinque stelle che hanno promesso di presentare una interrogazione al governo. E ora fa riemergere anche gli appelli lanciati dall’autorità anti corruzione e rimasti inascoltati per normare le porte girevoli di ch ha avuto incarichi di governo. L’utimo risale appena a fine maggio. Nella delibera 44 pubblicata il 27 maggio scorso, infatti, l’Anac fa notare che ben poco su questo fronte «è previsto per le cariche politiche».

La legge attuale prevede che i dipendenti pubblici che «negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione».

Questo blocco di tre anni del passaggio dal pubblico al privato serve ad evitare che il dipendente possa «sfruttare a proprio fine il suo potere o la sua posizione nell’amministrazione per ottenere un lavoro presso l’impresa o il soggetto privati con cui viene in contatto», spiegava sempre l’Anac in una delibera del 2017. E per questo si applica a tutti quei funzionari che possono adottare provvedimenti che producono effetti favorevoli per il destinatario: «autorizzazioni, concessioni, sovvenzioni, sussidi, vantaggi economici di qualunque genere».

Secondo Isabella Stoppani, avvocato amministrativista e membro del consiglio nazionale forense, formalmente si tratta di figure con funzioni differenti, ma già le attuali norme dimostrano l’inopportunità di un tale passaggio per una figura di governo.

L’appello dell’Anac

Ancora a fine maggio l’Anac tornava a segnalare «al governo e al Parlamento di valutare l’opportunità di estendere la disciplina» anche agli incarichi politici. «Se io esco dalla politica, c’è un tempo di decantazione prima di assumere un incarico, qui senza soluzione di continuità si passa da ministro dell’economia a deputato a presidente di una grande banca. Che questo accada a una grande personalità del centrosinistra, dopo che per anni abbiamo posto il conflitto dei temi di interesse, è un fatto molto grave. C’è un vuoto legislativo da colmare», dice Scotto. 

Sulla carta la legge sul conflitto di interessi è tra i punti programmatici del governo Pd – Cinque stelle. La proposta di riforma è stata presentata il 16 luglio scorso ed è stata approvata dalla commissione affari costituzionali della Camera, seppure senza l’appoggio di Italia Viva.

Il testo attuale propone condizioni rigide, ma concentrate nel primo anno. Prevede infatti che i titolari delle cariche di governo nazionali non possano, nell’anno successivo alla cessazione del loro ufficio, svolgere attività di impresa né assumere incarichi in enti pubblici e privati e nemmeno condurre attività professionale autonoma, anche gratuita, senza una valutazione della assenza di conflitti di interessi della autorità garante della concorrenza e del mercato.

I deputati possono proporre emendamenti al testo fino al 28 ottobre. I lavori sono però bloccati sul pacchetto riforme, legge elettorale e voto ai diciottenni. Così il divieto di porte girevoli, introdotto ai tempi del governo di Mario Monti grazie a una modifica del testo unico sul pubblico impiego, si ferma ai livelli più alti dei ministeri e non arriva ai politici che li guidano.

 

© Riproduzione riservata