«Gli anziani non sono indispensabili allo sforzo produttivo del paese», ha scritto su Twitter Giovanni Toti, presidente della regione Liguria, prima di addebitare ogni colpa a un collaboratore inesperto.

Ma dietro questo scivolone si nasconde un sistema, quello della sanità ligure, che rischia il collasso. Con i malati di Covid-19 che si aggiungono ai pazienti ammassati nei reparti degli ospedali in attesa di cure.

L’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità ha indicato la Liguria come seconda regione per l’incidenza del Covid-19 in rapporto alla popolazione, dopo la Valle d’Aosta ma prima della Lombardia. La seconda ondata sta mettendo in ginocchio la riviera e le ultime scelte del presidente Toti, assistito dal super commissario Walter Locatelli, hanno scatenato la reazione di sindacati e personale medico.

Prima Alisa, l’azienda voluta da Toti che si occupa della sanità nella regione, ha chiesto di bloccare le ferie degli operatori sanitari, e adesso si prepara a dislocare personale pubblico nelle Rsa, mentre il presidente ha deciso di mandare proprio nelle residenze sanitarie 500 pazienti Covid. Non solo, Toti chiede anche di assumere gli infermieri che non hanno ancora completato il corso di studi con iscrizione all’ordine.

Nei mesi scorsi la Liguria aveva già ricevuto le prime avvisaglie di quello che sarebbe accaduto. Il 20 agosto migliaia di persone erano scese in strada per festeggiare la promozione in serie A dello Spezia Calcio. Da allora i contagi non si sono fermati fino a raggiungere a metà settembre numeri che non si erano visti nemmeno nella prima ondata. Quel periodo è coinciso con la campagna elettorale per le regionali che ha oscurato il mostro Covid. L’emergenza a La Spezia è diventata presto l’emergenza delle altre città. A partire da Genova.

Basta guardare i numeri per capire. Dei quasi mille nuovi positivi calcolati ogni giorno oltre la metà sono nel capoluogo ligure con effetti devastanti. Il 19 ottobre è entrato in crisi il pronto soccorso dell’ospedale cittadino. La stessa Alisa ha ammesso il disastro e ha parlato di «sovraffollamento» causato dai pazienti ordinari ai quali si sono aggiunti, si legge in un comunicato, «i numerosi pazienti Covid-19, molti dei quali provenienti da residenze sociosanitarie».

Sono passati pochi giorni e a fine ottobre è arrivata la denuncia dei sindacati. «All’interno del policlinico San Martino, sulle barelle, ho trovato cento pazienti; all’ospedale Villa Scassi ne hanno segnalati centodieci; al Galliera un’altra settantina. La situazione è drammatica», dice Matteo Cascone, delegato della Uil e portavoce degli infermieri.

I casi covid nelle Rsa

«Abbiamo fatto presente che servivano almeno nuove assunzioni già da prima che arrivasse il Covid-19», dice Alfonso Pittaluga, sindacalista Uil. «La crisi Covid si è scaricata su un sistema fortemente indebolito da anni di mancate assunzioni di personale e di centralizzazione dell’organizzazione in Alisa che non ha fatto altro che bloccare l’attività delle Asl riducendo quantità e qualità dei servizi. Già prima del Covid mancavano più di mille professionisti sanitari», dice Fulvia Veirana della segreteria Cgil. Da marzo, calcolano i sindacati, sono state assunte 882 unità a tempo determinato, di cui 430 interinali. Non bastano per affrontare questa nuova ondata. «Eppure questa disorganizzazione non dovrebbe esserci proprio qui che abbiamo un commissario», dice Pittaluga.

La regione infatti si è dotata della struttura per coordinare le Asl nel 2016 quando è nata Alisa. A capo della super azienda è stato messo il commissario Walter Locatelli, in quota Lega, ex direttore generale della Asl di Milano, con uno stipendio da circa 150mila euro all’anno. Doveva restare un breve periodo, assicuravano dalla regione all’atto della nomina, ma è ancora lì. L’ultima decisione del commissario ha scatenato la protesta di lavoratori e sigle sindacali.

«In considerazione della situazione emergenziale in corso si è ritenuto opportuno e urgente attivare con immediatezza tutte le misure rivolte a evitare la mancata copertura dei servizi assistenziali. È stato chiesto alle Asl, se necessario, di provvedere a sospendere le ferie», scrive il commissario in una disposizione inviata alle aziende sanitarie locali nei giorni scorsi. Non solo, «appare necessario che il personale deputato all’assistenza non fruisca, nell’attuale periodo di emergenza, dei permessi. È stata inoltre raccomandata la massima scrupolosità nella concessione dei permessi per la legge 104 (che garantisce i giorni per l’assistenza ai parenti disabili ndr)».

La sospensione delle ferie e dei permessi ha scatenato la protesta dei sindacati, ma ferie o no, restano le carenze di personale. Tanto che l’ospedale San Martino ha deciso di fare un bando per assumere 500 infermieri. «Bene, ma quanti risponderanno a quel bando lasciando scoperte le residenze sanitarie assistenziali della sterminata provincia italiana?», ha detto Giovanni Toti. «Era facilmente prevedibile, ma se qualcuno mi porta un medico igienista, rianimatore, pneumologo o anestesista, infermieri di sala operatoria, io li assumo subito. Ho bandi aperti su tutte le specialità mediche, ma non ce ne sono sul mercato e se li troviamo li rubiamo a strutture che hanno più bisogno di noi», ha aggiunto ancora il presidente della Liguria.

E mentre si cerca personale lo stesso presidente Toti, il 30 ottobre, ha annunciato che è stato concluso un piano per spostare 500 pazienti in strutture extraospedaliere. Trasferiranno malati di Covid-19 «a bassa intensità» assistenziale, ovvero in fase di guarigione ma ancora affetti dal virus, in tredici residenze sanitarie per anziani. L’ufficio stampa della regione ci spiega, al telefono, che saranno prese tutte le precauzioni, ma non può comunicare i nominativi delle strutture perché «non vogliamo scatenare il panico nei parenti di chi vi è attualmente ospitato».

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