Il mondo del carcere non è fatto solo di agenti e detenuti. Secondo l'articolo 27 della Costituzione, le misure di restrizione delle libertà personale devono avere una funzione rieducativa. Proprio per questo, l'équipe degli istituti penitenziari vede attivi, in questo senso, i funzionari giuridico-pedagogici, educatori e assistenti sociali. Tutte e tre queste figure, che tutte si di risocializzazione seguire i nel percorso fanno l'Ufficio per l'esecuzione individuale, cui spetta la gestione delle pratiche legali che al detenuto di accesso alle cosiddette misure alternativa.

Così come per il comparto della polizia penitenziaria, anche per questi operatori le difficoltà sono molteplici. Anzi, si può dire che tutte le figure chiave che lavorano in carcere sono state lasciate sole dallo stato.

Le misure alternative

Le misure alternative aumenta alla frequenza negli ultimi anni sono Secondo l'ultimo rapporto pubblicato dall'associazione Antigone, tra il 2019 e il 2021, i soggetti presi in carico dall'Uepe sono stati 29mila.

Si tratta di che hanno ricevuto una condanna fino a tre anni di reclusione che hanno la possibilità di richiedere l'affidamento ai servizi sociali, i domiciliari o la semilibertà. Stando ai dati, l'affidamento in prova al servizio sociale, al 31 gennaio 2021, rappresentava il 57,3 per cento delle misure alternative attive, la fede domiciliare il 40,2 per cento e la semilibertà il 2,5 per cento. Se la richiesta del detenuto, presentata dal legale, viene accolta positivamente dal magistrato, il detenuto viene affidato agli assistenti sociali dell'Uepe, che lo segue nel percorso di rieducazione e risocializzazione.

Nel 2014, con la legge 67 è stata introdotta fra le altre opzioni la messa alla prova. Non si tratta propriamente di una misura alternativa alla detenzione, che di fatto costituisce una diversa modalità di scontare la pena, ma di una richiesta che la persona sotto accusa avanza quando è ancora in stato di libertà, prima di essere condannato o assolto dal tribunale ordinario. Il procedimento penale viene sospeso, e la persona si dedica a lavori di pubblica utilità per un periodo commisurato al reato commesso. Se la prova ha esito positivo, il capo d’imputazione decade e il reato si estingue.

Un ruolo fondamentale

«Ci occupiamo di tutto quello che è il mondo esterno al carcere. Per questo, i dirigenti degli istituti penitenziari chiedono a noi di svolgere le indagini socio-familiari. Quindi, oltre a parlare con le persone più vicine, conduciamo le indagini domiciliari, ricostruendo tutti i rapporti interpersonali del detenuto», spiega Paola Fuselli, assistente sociale da 24 anni, dal 2000 impiegata all’Uepe di Roma e rappresentante nazionale della Fp Cgil.

L’indagine dura mesi, ogni assistente sociale si occupa non solo di ricostruire il passato dei detenuti, ma di offrire loro un futuro. Quando si entra in contatto con le famiglie, infatti, oltre a valutare le condizioni dell’abitazione, si chiede a ogni membro del nucleo se è favorevole ad accogliere in casa il detenuto, nel caso in cui vengano concesse eventuali misure alternative.

Oltre a questo, gli assistenti sociali devono assicurare alla persona che lascerà il carcere un lavoro stabile, contrattualizzato, a norma. Si procede dunque con l’accertamento lavorativo o, nel caso di necessità di percorso terapeutico (per esempio in caso di tossicodipendenza), si stabilisce un contatto con le strutture territoriali, al fine di valutare l’adeguatezza dell’ex detenuto.

Servono assunzioni

Conclusa l’indagine, gli assistenti sociali devono redigere una relazione, destinata alla valutazione del magistrato ordinario.

«Se siamo soltanto 27 assistenti sociali attivi, in una città grande come Roma, nel mio caso, come si fa a rispettare tutte le scadenze?», chiede Fuselli. «La nostra scadenza coincide con l’udienza in tribunale. Ma se ognuno di noi deve relazionare su 15 casi diversi, farlo in un mese diventa difficile».

Secondo quanto riporta Fuselli, ogni assistente sociale prende in carico fra i 160 e i 180 casi.

Il rischio, sempre più concreto, come conferma anche Fuselli, è di incorrere in diffide da parte dei legali o degli stessi giudici. Una volta aperta la pratica osservativa, infatti, i funzionari possono incontrare i detenuti in carcere e stabilire con loro un primo contatto. Ma ogni pratica ha una data di scadenza, che, se non rispettata, non solo espone a procedimenti penali gli assistenti sociali, ma rinvia l’accesso del detenuto alla misura alternativa, costringendolo per un ulteriore periodo in carcere.

A Roma «gli assistenti sociali attivi sono meno di un terzo rispetto al numero totale previsto», dichiara Fuselli.

Secondo quanto si legge nel rapporto di Antigone, l’organico previsto è di 896 unità, mentre sono solo 733 i funzionari giuridico-pedagogici effettivamente presenti negli istituti penitenziari italiani. Il sotto organico totale supera il 18 per cento, a fronte del 13,5 per cento registrato a metà 2020.

Un problema nel problema

Le pratiche osservative inviate all’Uepe non possono essere aperte direttamente dai funzionari giuridico-pedagogici. Al loro sotto organico, infatti, si somma anche quello del personale amministrativo dell’ufficio.

Quando i committenti – legali, giudici o direttamente gli istituti penitenziari – presentano per un detenuto la richiesta di accesso alla misura alternativa, questa arriva direttamente all’Uepe.

«Il nostro ufficio amministrativo riceve ogni mese 200 richieste per posta ordinaria e 200 tramite pec», spiega ancora Fuselli, puntualizzando che nel comparto amministrativo non si assume dal 2019. Anche il ruolo degli amministrativi è fondamentale: se la pratica non viene protocollata, per mancanza di personale e un sovraccarico di richieste, l’osservazione non inizia e il detenuto resta in cella.

La giustizia non rieduca

Negli ultimi giorni è stata presentata la proposta di riforma della giustizia, «ma attenzione, si contempla soltanto la riforma del processo, quindi l’obiettivo è rendere i processi più rapidi ed estendere fino ai 10 anni di condanna la possibilità di accedere alle misure alternative. Questo mostra quanta importanza abbia il nostro ufficio», conclude Fuselli.

Quando si parla di giustizia, dunque, non si può parlare soltanto di udienze, processi e condanne, ma vanno presi in considerazione anche carceri, agenti della polizia penitenziaria ed esecuzione penale esterna, legati indissolubilmente dalla medesima funzione: rieducare i detenuti, in ossequio al principio costituzionale, e abbattere la recidività nel commettere reati.

Queste problematiche hanno spinto l’Uepe interdistrettuale di Roma, insieme ai sindacati di categoria, Fp Cgil e Cisl Fp, a organizzare un sit-in sotto la sede del dipartimento per la Giustizia minorile e comunità del ministero della Giustizia per chiedere l’attivazione di misure straordinarie che vanno dall’incremento dell’organico all’individuazione di una sede adeguata al setting trattamentale.

Una delegazione è stata ricevuta dal direttore generale del dipartimento, Giuseppe Cacciapuoti, che ha assicurato otto nuove assunzioni a ottobre, l'interpello per il settore amministrativo e una nuova sede per l'Uepe romano.

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