«Ai mafiosi piace rappresentarsi come dei moderni Robin Hood. Ma non sono benefattori, non assistono i più deboli e non lo stanno facendo nemmeno in questo periodo di crisi dovuta alla pandemia da Covid-19».

A smontare la retorica della mitologia delle mafie è Rocco Sciarrone, professore di Sociologia economica all’università di Torino. L’allarme di un doppio rischio per la fase post-lockdown era stato messo in evidenza nella relazione della Direzione investigativa antimafia: «Le organizzazioni criminali si faranno carico di fornire un welfare alternativo e allargheranno il loro ruolo di player affidabili ed efficaci a livello globale», si legge nel documento presentato al Parlamento.  

«Il welfare è un concetto nobile e universalistico che non si adatta ai sistemi di pensiero e di azione dei mafiosi che – sottolinea l’esperto – semmai, hanno un welfare selettivo. Non rivolgono la loro attenzione alle persone sul lastrico concedendo sussidi economici, ma la indirizzano, piuttosto, a chi fa parte delle loro cerchie a diversi livelli». Affiliati, contigui e amici appartenenti alla sfera della borghesia imprenditoriale o alla classe dirigente da utilizzare come influencer sui territori per ottenere consensi indirettamente anche dal resto della popolazione.

Senza credito vincono i clan

«Gli effetti della crisi sono eterogenei – sottolinea Sciarrone – I clan che hanno a disposizione liquidità puntano a entrare nelle trame dell’usura in modo indiretto dando sostegno a piccoli e medi imprenditori che si vedono condannati a chiudere le attività (in particolare le categorie più a rischio come la filiera del turismo, dalla ristorazione al settore alberghiero, e l’edilizia) e che hanno il terrore di perdere la posizione sociale che si sono guadagnati».

Una spia di questo assetto è anche «il silenzio sul fenomeno dell’usura della porta accanto», come lo ha definito il presidente dell’associazione antiestorsione Asaec di Catania Nicola Grassi. «Questo però può anche volere dire che ci sono richieste estortive di cui verremo a conoscenza in futuro perché – analizza – date le difficoltà di accesso al credito degli istituti bancari, non è difficile immaginare che ci siano imprenditori, commercianti e artigiani che si rivolgono alla criminalità nell’illusione di potere alleviare i problemi».

In un momento di paralisi economica, per i clan potrebbero aprirsi «prospettive di arricchimento ed espansione paragonabili a ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico», si legge ancora nella relazione presentata della Dia. «Come sempre nelle situazioni di emergenza – analizza Sciarrone, pensando anche alle ricostruzioni post-terremoto – le mafie vanno alla ricerca di ciò che possono guadagnare dai momenti di crisi». Non solo e non tanto obiettivi a lungo e medio termine, nell’immediato puntano soprattutto a dirottare le risorse pubbliche per lucrarci, con il sostegno complice di diverse categorie di professionisti.

Ogni mafia è diversa

«Ci sono delle differenze sostanziali tra le diverse mafie - aggiunge il docente – In Cosa nostra sono emersi problemi di reperimento della manovalanza criminale e dispute legate a questioni economiche (in molti casi anche difficoltà a garantire il sostegno alle famiglie dei detenuti o a farsi carico delle spese per gli avvocati, ndr). Questo potrebbe fare acuire l’istinto predatorio dei mafiosi che rastrellano tutto ciò che possono».

Diverso è, invece, il discorso se si guarda alla ‘ndrangheta. «È la mafia più affidabile dal punto di vista economico nei traffici illeciti – afferma Sciarrone –  e non ha problemi di liquidità».

I mafiosi, non solo non sono supereroi, ma non vivono nemmeno in un mondo parallelo. «Se consideriamo che i loro business principali riguardano l’infiltrazione nell’economia legale – sottolinea il docente – è chiaro che anche loro non sono esenti dagli effetti della crisi».

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