Nel feudo di Latina spadroneggiano le anime nere dei partiti che uniti rappresentano l’estrema destra italiana: Lega e Fratelli d’Italia. Qui entrambi hanno la loro roccaforte laziale, dove si contendono il medesimo elettorato. Coma mai? Facile rispondere: entrambi i movimenti sono rappresentati sul territorio da politici provenienti dal vecchio Movimento sociale italiano, o dal sindacato della destra sociale nato sulle ceneri della Cisnal, di matrice neofascista.

Oltre al nero della matrice politica di provenienza, Lega e FdI vengono accomunati anche dall’opacità di alcune vicende su cui indaga la magistratura. Mentre altre sollevano questioni di opportunità e di etica, senza avere risvolti penali. Ci sono le indagini recenti sul sistema Terracina, i processi per voto di scambio con la mafia, le inchieste e i sospetti su politici della Lega di aver ottenuto appoggio di figure contigue o espressione dei clan locali. Sullo sfondo, uno stuolo di fedelissimi e raccoglitori di voti i cui nomi sono emersi in atti investigativi e giudiziari dell’antimafia.

La Lega di Matteo Salvini in questa provincia può contare su Claudio Durigon e sulla sua schiera di collaboratori, luogotenenti e galoppini vari. Fratelli d’Italia ha eletto ras dell’area Nicola Procaccini, già portavoce di Giorgia Meloni ai tempi in cui la leader era ministra della Gioventù nel governo Berlusconi.

È europarlamentare, responsabile ambiente del partito e volto dell’ambientalismo conservatore ed ex sindaco di Terracina. Sono loro i volti principali della destra nazionalista, sovranista e conservatrice nel Lazio. I due alleati in un territorio che è stato da sempre feudo della destra. Storie di consenso che scorrono parallele, connesse da personaggi che dialogano con entrambe le forze politiche che unite rischiano di sbancare (secondo i sondaggi con percentuali assai diverse) alla elezioni del 25 settembre.

Legami

La dirigenza locale di Lega e Fratelli d’Italia in questa provincia italiana ha una particolarità, è legata da radici comuni nel Msi. Durigon proviene dal sindacato Ugl, espressione della destra sociale, erede della Cisnal, braccio sindacale del movimento sociale, al cui interno c’erano neofascisti del calibro di Ciccio Franco, regista della rivolta nera dei Boia Chi molla a Reggio Calabria, anno 1970.

Durigon è candidato in due collegi laziali, all’uninominale nella circoscrizione di Viterbo, al plurinominale in quella che comprende pure Latina. L’elezione è praticamente certa per l’ex sottosegretario che ha dovuto dare le dimissioni dopo la disastrosa uscita pubblica sul parco di Latina intitolato nel 2017 ai giudici uccisi dalla mafia, Falcone e Borsellino. Ai due magistrati-eroi, Durigon disse di preferire il fratello di Mussolini, Arnaldo, che ne aveva dato il nome in passato: «La storia di Latina è quella che qualcuno ha voluto anche cancellare» disse «cambiando il nome a quel nostro parco che deve tornare ad essere il parco Mussolini. Su questo ci siamo e vogliamo andare avanti».

Parole che a fine agosto 2021 gli sono costate il posto da sottosegretario. «Comunque, non sono un fascista». Meno clamore hanno invece destato le notizie dell’appoggio elettorale ricevuto, con tanto di cene da imprenditori poi indagati per i loro rapporti con il clan Di Silvio, il feroce clan di origini nomadi che domina il capoluogo pontino e la provincia. Si trattava della campagna per le politiche del 2018, l’anno del trionfo leghista, con un successo clamoroso anche a Latina. A queste discutibili frequentazioni si aggiungono sospetti su alcuni suoi collaboratori, uno di questi coinvolto in un’inchiesta dell’antimafia e considerato prestanome di un ricco impresario della ‘ndrangheta.

Il delfino di Meloni, Nicola Procaccini, è invece tra gli indagati di un’indagine per corruzione. A lui i pm della procura di Latina contestano due reati: turbativa d’asta e induzione indebita. Ma al di là delle contestazioni, è lo spaccato emerso dagli atti delle indagini a delineare il sistema di potere messo a punto negli anni in cui è stato sindaco di Terracina. L’europarlamentare resterà a Bruxelles, non è candidato alle politiche, tuttavia ha un ruolo di primo piano in questa campagna elettorale, spesso al fianco della leader di Fratelli d’Italia. Si prospetta, dunque, una sfida tutta interna all’area nazionalista laziale, scossa da scandali e rapporti poco chiari con personaggi equivoci.

Latina e la sua provincia sono il campo dove si combatterà questa battaglia all’ultimo voto tra Lega e Fratelli d’Italia. In questa provincia alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 la Lega si è affermata come primo partito con oltre il 17 per cento di voti, Fratelli d’Italia era al terzo posto, con quasi il 7 per cento, comunque sopra la media nazionale. Nel collegio di Terracina è avvenuto lo stesso, Salvini ha battuto Meloni.

La somma dei voti dell’uno e dell’altra avevano garantito più della metà del consenso ricevuto dalla coalizione di centrodestra, arrivata prima. Questo è indicativo della forza della destra radicale a queste latitudini. La Lega e Fratelli d’Italia hanno su questi territori una delle più efficienti macchine del consenso. Con una differenza: Salvini l’ha messa a punto dal nulla nel 2016, Meloni ha potuto contare su uomini e donne provenienti da Alleanza nazionale già forte nel sud del Lazio. Referenti in grado di spostare pacchetti di voti di famiglie e imprese.

Il sistema dei Fratelli

19 luglio 2022. Le agenzie battono la notizia di una retata a Terracina, città non troppo distante da Latina. Qui ha fatto il sindaco per due legislature Procaccini. Dopo di lui è stata eletta Roberta Tintari, con l’appoggio di Fratelli d’Italia. «Tintari è una donna estremamente capace e quando le donne sono capaci hanno una marcia in più, la competenza è un elemento fondamentale. Persona onesta, capace e concreta», diceva di lei Meloni durante un incontro per lanciare la sua corsa a prima cittadina.

A distanza di due anni da quelle lodi pubbliche Tintari è sotto inchiesta con Procaccini, ex portavoce di Giorgia quando era ministra nel governo Berlusconi. Turbativa d’asta è il reato ipotizzato in una vicenda con al centro gli interessi degli imprenditori balneari. Beneficiari, secondo l’accusa, di bandi, finanziamenti e favori da parte delle amministrazioni di destra della città. Lobby dei balneari difesa strenuamente da Meloni in parlamento: Fratelli d’Italia è il solo partito che si è schierato senza se e senza ma contro la messa a gara delle concessioni per occupare le spiagge con lettini e ombrelloni, di fatto appoggiando le proroghe eterne che negli anni hanno provocato una distorsione del libero mercato, concedendo beni demaniali dello Stato (dunque di tutti) a pochi provati a prezzi ridicoli.

«Siamo gli unici a difendere i balneari», aveva annunciato gaudente Meloni dopo aver votato contro il provvedimento del governo sul tema. Procaccini non può che condividere questa linea, lui conosce la questione sul territorio: «Questi sono mezza città di Terracina (…) qui parliamo di voti veri, se questi si mettono contro su questa cosa diventa un problema». Così l’ex portavoce di Meloni con la sindaca Tintari, nel dicembre 2019, alla vigilia del voto. L’intercettazione è agli atti dell’indagine della procura di Latina, e non è la sola prova della vicinanza ai balneari laziali.

Tra i finanziatori della leader di destra alle elezioni comunali di Roma nel 2016 c’è anche la società Corallobeach, con mille euro. Il titolare era Claudio Balini, ras dei lidi del litorale e parente di Mauro Balini, cui la magistratura ha sequestrato beni per milioni di euro nel 2021. Mauro Balini, per gli investigatori, ha legami con la malavita di Ostia, municipio della Capitale. E già nell’anno in cui il suo parente ha versato la donazione a Meloni, erano noti alcuni suoi guai giudiziari. Intanto per Procaccini i magistrati hanno chiesto la revoca dell’immunità al giudice delle indagini preliminari, così da poter utilizzare le intercettazioni captate nel periodo in cui era già europarlamentare. Il seggio a Bruxelles, infatti, gli garantisce questo tipo di tutele.

Per capire però come funziona il sistema di potere di Fratelli d’Italia sul territorio laziale è utile ricordare un altro episodio, con protagonista sempre l’ex portavoce di Meloni. Si tratta del rilascio di una licenza a un imprenditore. Una funzionaria del comune, Graziella Favolo, non era disposta a concederla perché avrebbero dovuto presentare domanda a Roma e non al comune di Terracina.

Di questa dipendente pignola ne parlano, mentre sono sotto intercettazione, un consigliere comunale e la sindaca Tintari: «Gli ha fatto compilare tre volte la pratica e gli ha fatto spendere senza motivo 850 euro e l’ha chiamata Nicola (Procaccini, ndr)... gli ha fatto un culo come un secchio a Graziella che poi dice che si è messa a piangere, e non me ne frega nulla», dice Davide Di Leo alla sindaca, il 18 dicembre 2019. Procaccini era stato eletto da qualche mese all’europarlamento. Da Bruxelles non ha mai smesso di trattare le pratiche del suo feudo. I pm hanno interrogato la dipendente del comune e ha confermato tutto: «L’ho presa molto male e mi misi a piangere al telefono con Procaccini, un pianto di rabbia e di sfogo perché dopo tanti anni di servizio non mi era mai capitato che un politico mi trattasse così». Il pupillo di Meloni aveva chiesto conto a Favolo sul mancato rilascio, accusandola di lentezza e spiegandole che la pratica sarebbe passata a un’altra funzionaria. Per la procura l’intervento di Procaccini configura il reato di induzione indebita, contestato all’uomo forte di Giorgia nel sud del Lazio.

Ma Procaccini è andato pure oltre. Ha tentato di ostacolare l’indagine in corso, almeno questo emerge dall’inchiesta. «Gli indagati hanno posto in essere plurimi tentativi di ostacolare le indagini», scrive la giudice. Per farlo tentano di organizzare incontri con il comandante Federico Giorgi e con il procuratore di Latina, Carlo Lasperanza, senza risultati. Procaccini ha incontrato il comandante Giorgi per lamentarsi degli ufficiali che «stanno facendo le pulci».

Ma soprattutto ha mostrato di conoscere fatti contenuti negli atti dell’indagine ancora segreta. Inoltre il 27 gennaio 2020 il fedelissimo di Meloni ha ottenuto un incontro con il procuratore Lasperanza, senza ottenere alcun risultato però. «Gli indagati si sono finanche serviti dell’intervento dell’europarlamentare Nicola Procaccini, il quale ha provveduto a contattare soggetti appartenenti ad altre istituzioni (...) nella vana speranza di delegittimare e paralizzare le operazioni investigative condotte dagli ufficiali Denaro e Sasso», si legge nei documenti dell’inchiesta.

Soldi e voti

Sulle pressioni di Procaccini indagano i magistrati, lui si è difeso e ha contrattaccato: «È un attacco politico a Fratelli d'Italia». Poi ha fornito la sua versione, spiegando che «le pressioni perentorie nei confronti della dipendente del comune di Latina riportate nell'ordinanza della Procura di Latina, sarebbero state fatte in qualità di primo cittadino e non da esterno all'amministrazione». Sul web è visibile ancora una sua intervista durante un convegno in provincia di Roma in cui difende i balneari dal rischio di aste pubbliche, «un metodo che farà perdere migliaia e migliaia di imprese che hanno fatto la storia del turismo italiano».

Dopo l’indagine Meloni ha comunque lasciato al suo posto Procaccini, attivissimo in questa campagna elettorale e pronto a scippare alla Lega il primato nella provincia di Latina. Garantismo a giorni alterni, dunque: di fronte a casi minori la leader è stata spietata, e sindaci, assessori, presidenti del consiglio comunale o consiglieri comunali sono stati sospesi dopo la notizia di inchieste sul loro conto.

Per superare la Lega nella provincia pontina Fratelli d’Italia dovrà contare su molti voti. E, oltre alla vicenda di Procaccini, far dimenticare le accuse di un pentito del clan di Latina sulle elezioni del 2013. L’ex boss si chiama Riccardo Agostino e con le sue dichiarazione ha messo nei guai diversi politici locali, accuse in alcuni casi confluite in processi in corso. Su Fratelli d’Italia le parole di Agostino non hanno portato all’apertura di un fascicolo. Ha raccontato di una busta con 35mila euro consegnati al clan dall’autista di Meloni, con l’intercessione dell’allora potente esponente del partito a Latina, Pasquale Maietta. Quest’ultimo, ai tempi presidente del Latina calcio, è sotto processo per il fallimento del Latina calcio. Da qualche anno non fa più parte di Fratelli d’Italia, partito per il quale è stato anche tesoriere. Su Maietta pesano pure le relazioni documentate con il padrino della città Costantino Di Silvio.

Meloni ha respinto le accuse al mittente, definendo assurda la ricostruzione del pentito. Il pentito Agostino è stato un frequentatore di quel mondo limitrofo ai palazzi della politica del territorio. In una telefonata intercettata parlava di voti da canalizzare verso un altro candidato di Fratelli d’Italia, Nicola Calandrini, che ai tempi (2016) correva per la poltrona di sindaco di Latina. Anche Calandrini ha respinto i sospetti su di lui e su quella campagna, peraltro perse contro Damiano Coletta del Pd.

Non banale però è l’identità dell’interlocutore di Agostino. Si chiama Simone Di Marcantonio, un giovane sindacalista dell’Ugl, cooptato da Claudio Durigon, il capo della Lega nel Lazio. Di Marcantonio si trova agli arresti domiciliari ed è imputato con l’accusa di estorsione in un’indagine che tocca anche il clan Di Silvio. Ancora prima era citato come prestanome, seppure mai indagato, di un uomo della ‘ndrangheta nel Lazio.

Amici miei

Domani ha scovato sui social network diverse foto datate 2018 in cui Di Marcantonio è ritratto davanti al ministero del Lavoro, ai tempi il sottosegretario era un loro caro amico: il vice di Salvini in regione, Durigon. Accanto al giovane sindacalista c’era Andrea Fanti, leghista doc di Latina, che ha seguito da vicinissimo la campagna elettorale del 2018 di Durigon.

Anche su Fanti il pentito Agostino ha rilasciato dichiarazioni ai pm di Roma: «Noi abbiamo fatto la compravendita di voti per Andrea Fanti... ci fu una discussione con un attacchino perché stava attaccando i manifesti sopra i nostri e gli abbiamo fatto presente chi eravamo e che non doveva coprire i nostri, quelli della lista Noi con Salvini».

Nello stesso interrogatorio Agostino aveva aggiunto che «la campagna di Fanti era curata da Simone Di Marcantonio e Gangemi... Fanti era il migliore amico di Di Marcantonio, di Gangemi e di tutto il gruppo». Fanti aveva replicato: «Non è vero, Agostino lo conosco perché Latina è piccola, fu lui a proporsi per la campagna elettorale e io gli dissi di no, dice bugie: ho chiesto di farmi interrogare nonostante non sia indagato ma nessuno mi ha voluto sentire».

Poi confermava di «conoscere benissimo» Di Marcantonio, «è un amico, ma non lo vedo da anni». Di certo sia Di Marcantonio, l’amico dell’imprenditore Gangemi (legato alla’ ndrangheta e non solo), che Fanti in un’altra foto del giugno 2018, pochi giorni dopo la formazione del governo Lega-5 Stelle, mostrano sorridenti la tessera della Lega Salvini premier: «La Lega al governo mantiene le promesse fatte…per sostenere il nostro capitano tesseriamoci».

Nel 2018 Fanti curava la campagna elettorale per Durigon e con Di Marcantonio esibivano la tessere della Lega sui social. In quel periodo l’ex sottosegretario ha incassato il sostegno di Natan Altomare, stretto collaboratore dell’imprenditore Luciano Iannotta. Entrambi sono sotto processo a Latina, Altomare in passato era stato coinvolto, e poi prosciolto, in un’altra inchiesta sul clan Di Silvio. Durigon di questi rapporti aveva spiegato a Domani che «Altomare condivideva la nostra stessa passione politica e ci siamo ritrovati nella campagna elettorale, non conosco i dettagli personali». L’amicizia è documentata da una serie di messaggi su whatsapp tra i due, in cui parlano anche del nascente governo giallo-verde.

La Lega dei sospetti

A Durigon si può contestare l’opportunità di aver accettato l’aiuto dei due vicini ai Di Silvio, ma nulla di più. Lo stesso vale finora per Angelo Tripodi, capogruppo in consiglio regionale della Lega. Un passato nel Fronte della gioventù, la giovanile del Movimento sociale italiano, ha militato in Alleanza Nazionale, è stato candidato a sindaco di Latina nel 2016, appoggiato peraltro dai neofascisti di Forza Nuova. È di nuovo il pentito Agostino a dire ai magistrati che Tripodi sia nel 2016 sia successivamente, una volta passato nella Lega, ha ottenuto l’appoggio dei clan. Il politico sostiene invece che sono solo fandonie inventate per far male a Salvini. Di certo la procura antimafia di Roma sta cercando riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori, incluso Agostino.

In questa storia ogni personaggio è legato a quello successivo. Per Tripodi, infatti, ha lavorato in consiglio regionale Emanuele Forzan, nome che ritroviamo nell’indagine sull’europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi, sotto inchiesta per voto di scambio. Forzan sarebbe stato, secondo l’accusa, il tramite tra il ras dei rifiuti Raffaele Del Prete e il politico. L’imprenditore avrebbe, è la tesi dei pm, avrebbe pagato 45mila euro a uomini del clan Di Silvio per un pacchetto di voti nel 2016. La cifra sarebbe stata sborsata per favorire Adinolfi. Del Prete e Forzan sono sotto processo, mentre Adinolfi è in attesa di capire quale sarà il suo destino. Sui sospetti attorno ai loro uomini forti nel Lazio, Salvini e Meloni fanno finta di niente. I leader della destra nazionalista amano molto quel detto, i panni sporchi si lavano in casa. Specie se riguardano i due più potenti ras di entrambi i partiti, che nella regione possono assicurare con i loro voti il successo di Matteo su Giorgia, o viceversa.

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