Dov'è finita l'acqua pubblica? Era il 2013 quando i primi rappresentanti del Movimento 5 stelle entravano in parlamento in jeans e zaini casual da cui sfilavano borracce con scritto “Acqua bene comune”. Uno dei primi e più importanti cavalli di battaglia del nuovo partito dei cittadini. Quel progetto non è mai stato realizzato. Se sette anni fa non erano loro a guidare il governo, in minoranza era difficile approvare una legge-principio di tale portata, l'orizzonte odierno è ben diverso.

Eppure da due anni a questa parte, nonostante l’arrivo del M5s a palazzo Chigi, non è cambiato niente. Lo slancio per esaminare un tema così dirimente per i 5 stelle è finito nelle secche di Montecitorio. Complice il primo governo Conte, nel quale l’alleato di governo era la Lega, contraria alla ripubblicizzazione dell'acqua. E ora un Pd restio ad approvare una legge che sconvolgerebbe il sistema delle concessioni ai privati.

Il Movimento 5 stelle che fa? Ha battuto colpi in passato, molti meno negli ultimi mesi. Il testo unico scritto e presentato dalla relatrice Federica Daga (M5s) è fermo nel limbo della Camera senza che nessuno se ne occupi da un anno e mezzo. È vero che del tema se ne era parlato con il cambio di esecutivo: c'era l'impegno a presentare un nuovo testo più condiviso, il presidente Roberto Fico ha continuato a condurre una battaglia per lo più in solitaria, ma poi tutto si è arenato.



Dal referendum a oggi

La storia è lunga. I 5 stelle hanno depositato un proprio progetto di legge il 23 marzo 2018, quando la legislatura era appena iniziata e la formazione del governo ben lontana. La proposta nasceva sulle ceneri di una legge di iniziativa popolare scritta e presentata alle camere nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, sostenuta da 400mila italiani. Era quella la base del referendum del 2011, a seguito del quale il 54 per cento degli elettori (27 milioni di italiani) si è schierato contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali, tra cui il settore idrico, e la tariffa per l'erogazione dell'acqua comprendente la remunerazione del capitale investito dal gestore. La proposta del M5s puntava a una ripubblicizzazione totale delle attuali gestioni (archiviando definitivamente gli appalti alle società miste o private), a un finanziamento del settore anche con la fiscalità generale, ambiti territoriali più piccoli, la bonifica delle tubazioni dalla presenza di amianto e piombo e funzioni di regolazione trasferite dall’Arera al ministero dell’Ambiente. Sempre nel 2018, il 22 giugno, il Pd scriveva la sua proposta, ben diversa da quella dell'attuale alleato: lasciare ai comuni la scelta sulla forma di gestione da adottare, con una preferenza per quella tramite le società in house, ma senza escludere le gare. Dunque nessuno stop anticipato delle concessioni in essere (che costerebbe 10 miliardi), no al finanziamento tramite fiscalità generale e funzioni di controllo che rimangano in capo all'Authority.


Il governo gialloverde
Come detto, era l'epoca del governo gialloverde, con la Lega di fatto contraria alla proposta di legge dei Cinque stelle. Cosa che non ha comunque impedito di procedere, in commissione Ambiente, con il lavoro sul cosiddetto testo base: essendoci più proposte sul tavolo, la relatrice Daga ha presentato un testo unificato, che però ha accolto solo i contenuti della sua proposta omonima. Come facilmente prevedibile sono stati presentati numerosi emendamenti. Il Pd ha addirittura presentato proposte che riscrivevano intere parti. I gruppi di opposizione, cercando di prendere tempo, hanno chiesto di leggere le relazioni tecniche all'esecutivo. È stato chiesto a dodici ministeri di dare un parere tecnico. Non ne è arrivato neppure uno. Era il 6 marzo 2019. L'attesa ha portato a un rinvio dietro l'altro dell'approdo in aula del provvedimento, con l'ultima data fissata per il 16 settembre.


Il governo giallorosso
Quasi un anno dopo, però, è arrivato il cambio di governo. Qualche interlocuzione tra Pd, M5s, Iv e Leu c'è stata, lo riferisce la stessa relatrice Daga: «Con il nuovo esecutivo avevamo concordato di proseguire, arrivando in commissione con un testo già condiviso e presentando pochi emendamenti, puntando anche a un accordo con le opposizioni». Sono passati tredici mesi ma della mediazione non c'è neppure l'ombra e lo confermano gli esponenti del Pd. «Il tema non è archiviato – spiega la deputata democratica, Chiara Braga – ma una sintesi non c'è, un testo condiviso non c'è. Il tema è in maturazione ma non abbiamo sciolto tutti i nodi».

Tutti i partiti ribadiscono che intervenire è importante ma forse l'argomento è troppo spinoso perché venga davvero affrontato. «Il tema è sicuramente molto importante – dice Alessia Rotta, presidente della commissione Ambiente – ma la maggioranza non ha trovato un punto di caduta condiviso. Non c'è comunque nessuna preclusione a riprendere la discussione e a sciogliere i nodi per arrivare ad una proposta condivisa».

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