Dall’Europa è in arrivo una pioggia di miliardi. Dalla Bce sono già arrivati 232 miliardi quest’anno, tra acquisti di titoli di stato e finanziamenti alle banche e in futuro ne arriveranno altri, previsti dai vari programmi.

Di condizionalità, parametri di Maastricht e austerità non si parla più: gli investitori sono ritornati e il rendimento dei titoli di stato italiani decennali è sceso sotto l’1 per cento.

Il problema della sostenibilità del debito pubblico sembra relegato alla storia economica. Una conclusione confermata se si analizza la dinamica dei flussi futuri (il deficit previsto confrontato con gli aiuti europei e la domanda della Bce): alcuni osservatori stimano che la percentuale di titoli di stato che il settore privato dovrà assorbire rimarrà pressoché costante, e che la Bce sterilizzerà il debito acquisito (ovvero non venderà i suoi titoli e reinvestirà cedole e debito in scadenza).

Il prezzo di mercato del debito non è però determinato dai flussi futuri, ma dalle variazioni inattese, anche al margine, dello stock di titoli desiderato dagli investitori.

A marzo/aprile è bastata una riduzione del 9 per cento dello stock di debito detenuto dagli investitori stranieri (66 miliardi su oltre 2.000 di titoli allora in circolazione) per innescare la crisi che ha richiesto un drammatico cambiamento di rotta alla Bce.

Poiché gli stranieri detengono ancora 677 miliardi di debito pubblico italiano, basta un repentino cambiamento di aspettative per innescare una nuova crisi.

Tutto dipende dalla crescita

I dubbi sulla sostenibilità del debito potrebbero riemergere: il mercato confronta pragmaticamente la crescita del Pil nominale prospettica con il costo degli interessi, più l’avanzo primario (il disavanzo prima degli oneri per interessi) che si ritiene politicamente sostenibile.

È necessario dunque che le risorse messe a disposizione dall’Europa non vengano dissipate a caccia di consensi, come fatto finora, ma usate per riportare la nostra crescita potenziale in linea con la media dell’Eurozona dall’inizio della moneta unica ( circa 1,5 per cento), come promesso dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri; e che la Bce riporti l’inflazione all’obiettivo del 2 per cento. Possibile, ma non probabile.

Nel caso queste condizioni non si verifichino, bisogna che l’Europa ancora una volta (dopo Mario Draghi nel 2012 e Angela Merkel quest’anno) si dimostri determinata a scongiurare una crisi del debito italiano. Possibile, ma non scontato. C’è il rischio tuttavia che in questo caso agli italiani venga richiesto di donare “l’oro alla Patria” come fu nel 1935.

Molti in Europa - i tedeschi in passato e il premier olandese Mark Rutte di recente – hanno rimarcato che gli italiani vantano una ricchezza pro capite tra le più elevate d’Europa e dovrebbero pertanto farsi carico del nostro debito pubblico(quello esistente come il deficit in futuro), invece di chiedere aiuto agli altri paesi.

Questa argomentazione, ironicamente, trova spesso eco in Italia quando si afferma che il debito pubblico non è rischioso in quanto bilanciato dalla ricchezza finanziaria privata e quando si critica il risparmiatore italiano che disdegnerebbe l’investimento in Btp  preferendo accumulare contante e depositi bancari. Ragione che ha indotto il Tesoro a emettere recentemente il Btp Futura, pagando un premio fino al 3 per cento in valore attuale scontato rispetto a un decennale (quasi il 6 per cento ai tassi attuali); preceduta da un'emissione dedicata con un tasso reale dell'1,4 per cento quando i tassi sono negativi in tutto il mondo.

Nel 1935 il regime fascista convocò la giornata “della fede”nella quale gli italiani erano invitati a donare le fedi nuziali per sostenere l’impresa coloniale in Etiopia. Lo slogan era “l’oro alla patria” - Foto Wikipedia

L’illusione della ricchezza

Il debito è dello Stato; la ricchezza dei cittadini italiani. Se, in caso di nuova crisi, quest’ultimi non sottoscrivessero il debito volontariamente, un domani potrebbero essere costretti a farlo (leggi: patrimoniale, repressione finanziaria, prestito forzoso, maggiori tasse) come condizione per un nuovo aiuto dall’Europa. Sarebbe una soluzione sbagliata, basata su argomentazioni che non trovano evidenza nei dati.

È vero che in rapporto al reddito gli italiani sono ricchi quanto e più di olandesi e tedeschi, ma questo è dovuto principalmente alla preponderanza della ricchezza immobiliare, frutto soprattutto di passaggi intergenerazionali.

Un trasferimento massiccio di risorse a favore dello Stato non potrebbe non colpire la casa che, però, è una forma di ricchezza altamente illiquida e, a differenza del reddito, è molto meno concentrata che negli altri paesi (tre quarti delle famiglie italiane vivono in una casa di proprietà).

La sola ricchezza finanziaria vale circa 1,7 volte il debito pubblico. Ma il 22 per cento é costituito da azioni di società non quotate (e altre attività collegate all'impresa): sono i milioni di imprenditori che hanno impegnato una parte notevole della propria ricchezza nell’attività aziendale. È poco realistico pensare di attingere a questa ricchezza per abbattere il debito pubblico: è illiquida, e metterebbe a rischio la solidità di tante imprese.

La parte liquida della ricchezza finanziaria, poi, è già investita per quasi un quarto nel debito pubblico italiano (in linea con altri paesi), ma indirettamente: il 60 per cento di questa ricchezza è infatti gestita da intermediari (assicurazioni, enti previdenziali, fondi di investimento, gestioni patrimoniali, depositi vincolati) che investono in titoli di stato per conto delle famiglie.

Senza contare il debito pubblico dei fondi esteri posseduti dagli italiani.

Al netto dei titoli di stato già detenuti, il rapporto tra ricchezza finanziaria e debito scende a 1. Il margine per manovre straordinarie è dunque limitato.

Non bisogna poi dimenticare che una parte considerevole della ricchezza delle famiglie, di cui le statistiche non tengono conto, è costituita da crediti verso il sistema previdenziale pubblico (Inps), ovvero crediti verso lo Stato, che per i cittadini sono di fatto assimilabili a titoli di stato.

Depositi e banche

Infondata è anche la critica al risparmiatore che tesaurizzerebbe  depositi bancari. Premesso che in periodi di crisi e incertezza è normale che si prediliga la liquidità precauzionale, affinché un sistema bancario sia solido è opportuno che i deposti siano commisurati all'ammontare dei prestiti onde evitare che le banche debbano ricorrere a fonti meno stabili quali il mercato all'ingrosso e le obbligazioni.

Oggi, a fronte di oltre 2.000 miliardi di prestiti a residenti, ce ne sono 1.900 di depositi: non si vede l’eccesso. I depositi di residenti sono aumentati di 93 miliardi da inizio anno ma, nello stesso periodo, le banche hanno perso 55 miliardi di altra raccolta: senza le famiglie, lo squilibrio verso la Bce sarebbe stato ancora più massiccio.

Le chiamate in correo alle famiglie italiane, come i moniti alla Rutte, non appartengono a una moderna economia di mercato. Ma l’abbondanza di finanziamenti europei non dovrebbe farci dimenticare che il problema della sostenibilità del nostro debito pubblico è solo rinviato.

La soluzione viene da crescita, riforme e politiche credibili di controllo della spesa corrente. Altrimenti si rischia che prima o poi agli italiani verrà richiesto di donare l'oro alla patria.

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