Il programma di vaccinazione anti Covid-19 è appena agli inizi, ma sono già iniziate le polemiche sui suoi supposti ritardi. «Le regioni devono correre, nessuna dose utilizzabile può attendere di essere usata anche solo per qualche ora», ha scritto domenica la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa, sottolineando la responsabilità delle regioni, come aveva già fatto il commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Una risposta indiretta a queste accuse è arrivata dall’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera, che ha dato la responsabilità della lentezza di questa prima fase al periodo di vacanza e ha spiegato che la vaccinazione vera e propria inizierà soltanto questa settimana.

Siamo in ritardo?

Ma il piano di vaccinazioni è davvero in ritardo e se sì, di quanto? Tra il 31 dicembre e il primo gennaio, l’Italia ha ricevuto 469.850 dosi di vaccino Pfizer-Biontech e ne ha somministrate 84.730, cioè circa il 18 per cento del totale. Il ritmo di vaccinazioni è accelerato molto in questi giorni, passando da circa 22 mila somministrazioni il 31 dicembre alle oltre 33mila di sabato.

Ma per chiarire davvero se l’Italia sta restando indietro non basta sapere quanti sono i vaccini disponibili e quanti sono quelli somministrati: serve guardare anche a quello che accade negli altri paesi. Secondo il portale Our world in data, curato da scienziati dell’università di Oxford in collaborazione con l’ong Global Change Data Lab, la Danimarca è il paese europeo che ha vaccinato più persone, poco più dello 0,50 per cento della popolazione. Segue la Germania, con lo 0,23, poi Estonia e Croazia con lo 0,19. L’Italia arriva al quinto posto, con lo 0,12 per cento della popolazione vaccinata. Sono numeri da prendere con una certa cautela, ma mostrano comunque che l’Italia non sta facendo particolarmente male in questa primissima fase.

«La questione dei ritardi mi sembra un pochino esagerata», dice a Domani Carlo Palermo, segretario dell’Anaao, il principale sindacato dei medici dirigenti. Palermo ricorda che ben più importante in questi giorni è la questione delle forniture, cioè se il nostro paese riceverà le 84 milioni di dosi di vaccino necessarie a vaccinare almeno il 60 per cento della popolazione entro l’autunno. 

Federalismo vaccinale

Ma di chi sarebbe la responsabilità se il piano dovesse iniziare a mostrare problemi e ritardi significativi nei prossimi giorni? Il piano vaccinale pubblicato a metà dicembre assegna il coordinamento della campagna al ministero della Salute, alla conferenza delle regioni e delle provincie autonome e alla struttura del Commissario Arcuri, (che ha inoltre la responsabilità specifica di occuparsi di tutti gli aspetti logistici del piano, come stoccaggio e trasporto dei vaccini).

Le responsabilità di ciascuna attore, però, cambiano a seconda della fase del piano in cui ci troviamo. La prima, quella attualmente in corso, prevede la vaccinazione di specifiche figure, come medici, operatori sanitari, ospiti e dipendenti delle Rsa ed è sostanzialmente in mano alle regioni e ai singoli ospedali. Sono loro che decidono se, ad esempio, le vaccinazioni del personale avvengono tramite sistema di prenotazione volontario, oppure se la è la direzione sanitaria a decidere chi e quando viene vaccinato. 

Questo spiega come mai vediamo risultati così differenti da regione a regione. Il Lazio ad esempio, che è al momento una delle regioni più virtuose, ha somministrato quasi il 40 per cento dei vaccini che aveva a disposizione. A riceverli sono stati quasi esclusivamente medici e personale sanitario. Un’altra regione virtuosa, la Toscana ha invece utilizzato circa un terzo dei suoi vaccini per gli ospiti delle Rsa. 

Il timore che ci fossero squilibri nella campagna regionale dovuti alla differenza tra i vari sistemi regionali era presente fin dall’inizio. «In effetti rischia di esserci un tema di “federalismo vaccinale” sotto il profilo organizzativo - dice Palermo – ma per ora non mi focalizzerei troppo sul confronto tra singole regioni, visto che alcune di fatto non hanno ancora iniziato: la questione andrebbe osservata a partire almeno dal 7 gennaio».

La seconda fase

Per cercare di aggirare il problema del “federalismo vaccinale” il piano vaccini stabilisce che il ministero e la struttura commissariale avranno un ruolo preminente nella seconda fase del piano di vaccinazione, quella che riguarderà gran parte della popolazione. L’inizio di questa seconda fase dipenderà in larga parte dalle tempistiche con cui le varie aziende farmaceutiche messe sotto contratto dalla Commissione Europea riusciranno a consegnare i vaccini.

In questa seconda fase più “centralizzata” un ruolo importante dovrebbero averlo i medici e gli infermieri che il commissario Arcuri sta reclutando con un processo particolarmente complicato: la struttura commissariale sta selezionando una serie di agenzie interinali che hanno partecipato a un bando scaduto lo scorso 28 dicembre.

Spetterà alle agenzie scelte il compito di selezionare, preparare e coordinare fino a 3mila medici e 12mila infermieri da assumere con contratti tempo determinato (un compito non facile, visto che non sono molti i medici e gli infermieri disponibili ad un impiego).

Secondo le stime, difficilmente questo gruppo potrà essere impiegato prima della fine di marzo. Il suo ruolo sarà soprattutto occuparsi delle vaccinazioni nei gazebi e negli altri centri di vaccinazione che il commissario riuscirà ad allestire.

A loro si affiancheranno con un ruolo centrale i medici di famiglia, che dovrebbero occuparsi delle vaccinazioni nei loro studi, anche se al momento non c’è alcun accordo ufficiale tra il governo e la categoria. Un altro gruppo che potrebbe avere un ruolo importante nella seconda fase è quello dei circa 30mila specializzandi di medicina, ai quali potrebbe essere richiesto di partecipare alla campagna di vaccinazione come parte della loro attività formativa. Tramite le loro organizzazioni, però, gli specializzandi chiedono di essere regolarmente pagati per svolgere questo lavoro.

Infine, tutte le vaccinazioni che non saranno effettuate da questi gruppi saranno affidate alle regioni e alle loro strutture. Se a loro continuerà a toccherà la stragrande maggioranze delle vaccinazioni, come sta avvenendo nella prima fase, sarà probabilmente un indicatore del fallimento del piano di centralizzare le vaccinazioni per evitare squilibri regionali.

 

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