L'attesa era alta, le aspettative altissime. Ma come sempre, la giustizia egiziana si mostra nella sua imprevedibilità. Per tutta la mattinata di domenica si aspettava la notizia: Patrick Zaki sarebbe stato finalmente libero? Ma dopo ore di attesa la doccia fredda: la corte si ritira e attenderà altre 24 ore per deliberare. Fine dell'ottimismo, ritorno alla cupa realtà dittatoriale.

L'udienza a carico del giovane ricercatore si è svolta in un'accademia di polizia attigua al complesso carcerario di Tora. In aula si è rivisto Zaki, assistito dai suoi legali che hanno sollevato non solo la questione dell'ingiustificato prolungamento della detenzione preventiva ma anche un loro precedente reclamo per tortura.

Per la prima volta dopo l'inizio della pandemia di Covid-19 è tornato, in presenza, anche il rappresentante dell'ambasciata italiana al Cairo. Con lui anche i membri delle delegazioni in Egitto di Germania, Olanda e Canada. Un segnale positivo che faceva ben sperare ma il contesto resta incerto.

«Noi ci ostiniamo a valutare sempre con criteri troppo cartesiani o con l'ottica di vantaggi politici e strategie diplomatiche quello che faranno le autorità egiziane», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Ciò che invece ci troviamo di fronte sono una serie di decisioni che si contraddicono le une con le altre».

L'attenzione su questa udienza, l'ennesima da quando ormai dieci mesi fa Zaki è stato arrestato, è tornata in maniera prepotente dopo l'arresto dei tre uomini al vertice di Eipr, l'organizzazione per i diritti umani per cui il ricercatore lavorava e di cui fanno parte alcuni dei suoi avvocati.

I tre attivisti, Karim Ennarah, Ghasser Abdel Razek e Mohammed Basheer erano stati imprigionati tra il 15 e il 19 novembre scorso per poi essere rilasciati lo scorso 3 dicembre. L'onda lunga della mobilitazione per il loro rilascio ha coinvolto anche il caso di Patrick ma l'entusiasmo si è rivelato immotivato. Ieri mattina, poco prima che iniziasse l'udienza per il caso di Zaki, la terza sezione della Corte antiterrorismo del Cairo ha congelato i beni di Ennarah, Abdel Razek e  Basheer che, nonostante la scarcerazione, rimangono indagati con accuse che vanno da concorso in associazione terroristica a diffusione di notizie false per minare la sicurezza nazionale.

«La Corte ha deciso e non ha ascoltato una sola parola dalla nostra difesa. Abbiamo presentato una mozione per avviare il dibattito e ci è stato negato», scrive in un tweet Hossam Baghat, fondatore e ora direttore in carica di Eipr. «Quindi ricordiamoci cosa è successo oggi quando sentiremo di nuovo un funzionario egiziano sostenere che loro seguono le procedure giudiziarie e non sono contro i diritti umani».

L'entusiasmo degli ultimi giorni e le speranze di vedere Patrick libero al momento si stanno ridimensionando. Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi è partito oggi per una visita diplomatica in Francia dove incontrerà il presidente Emmanuel Macron e l'impressione, tra molti attivisti, è che un'eventuale liberazione dei tre vertici di Eipr, e poi di Zaki, possa alleggerire la posizione del presidente egiziano sul fronte dei diritti umani. Ma si tratta, appunto, solo di un'impressione: il destino del giovane ricercatore è ancora tutto da scrivere. «Il dato sui cui bisogna riflettere è l'arbitrarietà di queste decisioni, sembriamo sempre a un passo dalla liberazione e poi non si sa cosa succede», rileva Elisabetta Brighi, professoressa di relazioni internazionali all'Università di Westminster che segue le vicende legate sia al caso di Giulio Regeni sia a quelle di Patrick Zaki. «L'Egitto, ormai, è in mano a un regime che decide senza una ratio, i suoi comportamenti sono sconnessi. Adesso le autorità si comportano un po' come pare loro perché sanno che a livello internazionale troveranno poca resistenza».

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