Ogni notte c'è una vampa, la fiamma che si alza e illumina il vicolo o una piazza. E poi un'ombra che fugge, a terra i resti di una bottiglia e intorno la carcassa di un'auto, la saracinesca annerita di un bar, il fumo che avvolge un portone.

Ogni notte è un rogo, piccolo o grande, sempre cattivo, sempre carico di risentimenti, di vendetta. Perché Gela è la città che parla con il fuoco.

Le ultime vittime si chiamano Catena, Michele, Nunzio, Francesco, Salvatore, Agata, Tonino, Vincenzo, Crocifisso. Sono casalinghe, pensionati, impiegati, studenti, venditori ambulanti, netturbini, muratori, medici, pastori. C'è anche qualcuno di passaggio.

Basta una parola in più o un saluto in meno, basta solo una talìata, una guardata storta e Gela maledice e si maledice. Suda paura e brucia.

Il sacrestano incendiario

E' capitato che un sacrestano abbia incendiato la casa di un volontario della Caritas dopo una discussione per la donazione del cibo, la stessa punizione è stata inflitta dal commesso di una farmacia all'architetto che abita al piano di sopra al suo. Antipatie spinte.Mo

Consideriamoli pure piromani. In effetti, sono tutti colpiti dall'impulso ossessivo a provocare incendi. Moltissimi gli incensurati.

Lo fanno per dissidi familiari o commerciali, per un posteggio soffiato da un automobilista più svelto, per liti condominiali, per veri o presunti tradimenti amorosi. Pochissimi denunciano.

Un personaggio molto noto in città ha assistito in diretta all'intimidazione a lui dedicata, giù in strada ha visto in faccia chi l'ha fatta, si è chiuso nel suo appartamento e quando la polizia è andata a bussare non ha aperto. Poi ha detto che era fuori sede. E' Gela che sputa violenza e in qualche caso si sputa addosso.

Statistiche da spavento

Le statistiche fanno spavento. Un attentato ogni ventiquattro ore, negli ultimi due anni erano calati del venti per cento ma in queste settimane sono risaliti.

«La regolazione ordinaria dei conflitti fra le persone lì prevede il danneggiamento e in particolare il fuoco», racconta Emanuele Ricifari, questore di Caltanissetta, capoluogo di provincia che ha in fondo al suo territorio proprio Gela, una distanza di neanche settanta chilometri che trasporta però in un altro mondo, una sterminata casba abusiva e una preziosa zona archeologica, dune di sabbia bianchissima che scivolano in un mare verde e le ciminiere del vecchio petrolchimico, grande vivacità imprenditoriale e una piana deserta che sembra una discarica. Tutto fa contrasto e tutto fa fiamme.

Definirlo un fenomeno tipicamente gelese non è azzardoso. In altri luoghi della Sicilia, sia ad occidente che ad oriente, non si è mai visto nulla di simile. E sarebbe troppo facile dare la colpa alla mafia locale, troppo semplice accusare gli esattori del racket che pur non mancano.

E' il mal di vivere che divora Gela, la giustizia fai da te per le offese ricevute, tribalità e follia collettiva, l'onore che si lava con mezzo litro di benzina.

L’impotenza dei boss

La mafia a Gela c'è e c'è sempre stata ma non sempre è padrona pienamente del suo regno. Si lamentano i boss di questi roghi, le loro conversazioni intercettate svelano stizza e impotenza.

Ogni tanto riescono a dare qualche “lezione” agli incendiari, il più delle volte devono sopportare gli asfissianti controlli della polizia e dei carabinieri dopo le vampe.

Perquisizioni, retate, posti di blocco, elicotteri che volano a bassa quota. E i battaglioni mobili, di stanza a Palermo e a Catania, che vengono inviati a Gela ogni fine settimana. Un brutto affare per i loro affari. E' il trionfo dei piromani.

La par condicio delle fiamme

I dati ufficiali dicono che nel 2021 i roghi notturni sono stati duecentosettantadue, probabilmente un po' di meno di quelli reali, ma sempre tantissimi per una città di nemmeno 80 mila abitanti che, fra l'altro - come viene riportato nelle relazioni del ministero dell'Interno - può vantare, in relazione alla popolazione residente, la presenza di "soggetti pregiudicati” più alta d'Italia in compagnia di alcuni paesi dell'aversano, di Cerignola e di un paio di zone di Napoli. Ma il fuoco notturno viene da un altro inferno.

Rancori per una bici elettrica rubata e mai restituita, per un'eredità contesa fra cugini, per i confini incerti di una proprietà di campagna.
A fine ottobre, in piazza Umberto, il cuore della città, un botto verso le tre del mattino. Riportano le cronache locali; «E' stata data alle fiamme la Mercedes E220 di proprietà di Nunzio Cafà, rappresentante di carni e salumi per una società. L’incendio è stato domato dai vigili del fuoco che ne hanno accertato la natura dolosa». Il giorno dopo hanno trovato liquido infiammabile anche davanti al negozio "Baby Glamour” di Francesco Ciaramella.

La tecnica sempre la stessa. Un po’ di tempo prima avevano bruciato anche le auto di due consiglieri comunali, Gabriele Pellegrino della lista "Diventerà Bellissima” e Alessandra Ascia del Partito democratico. La par condicio del fuoco. Ma fino a un certo punto, il 2 novembre ancora fiamme per un’altra auto di Pellegrino.

Una volta i piromani non li prendevano mai. Sembravano fantasmi. Oggi più del sessanta per cento degli incendiari finiscono denunciati o in carcere, dell'altro quaranta per cento si conosce quasi tutto ma non ci sono prove per trascinarli in tribunale. Non parla nessuno. Né le vittime né i testimoni. Le poche telecamere piazzate nei pressi delle attività commerciali catturano immagini di vittime e testimoni che sono lì, a vedere il loro rogo. Ma stanno zitti.

L’illusione del Grande Occhio

"Gela, città videosorvegliata e derackettizata”, annunciano grandi cartelli sulla statale che viene da Catania e quell'altra da Ragusa. «Ma non è affatto vero», dice Fernando Asaro, il procuratore capo della repubblica che da sei anni fa i conti con una Gela cieca e muta.

La storia del Grande Occhio che vede tutto in città è uno dei tanti giochi di prestigio di Rosario Crocetta, un illusionista che quando era sindaco aveva spacciato Gela come una sorta di capitale mondiale della legalità.

Invece si è scoperto - in una recentissima seduta del consiglio comunale - che neanche il dieci per cento delle telecamere sono funzionanti. Notizie fornite dalla prefettura di Caltanissetta dove, almeno una volta al mese, la prefetta Chiara Armenia convoca un comitato provinciale per l'ordine pubblico e la sicurezza con Gela all'ordine del giorno.

La notizia di questi ultime ore è che, entro novembre, ci saranno finalmente cento telecamere vere, la giunta comunale ha appena trovato mezzo milione di euro alla bisogna. E con duecentocinquamila euro, provenienti da fondi ministeriali, ne sistemeranno altre ancora negli angoli cruciali della città. Gela diventerà un grande schermo.

Le tante identità

Cosa dice il sindaco di questa sua città dei fuochi? «E' un dolore ciò che sta accadendo e proprio quando anche qui si cominciano a vedere i turisti grazie a una straordinaria mostra sul mito di Ulisse». Aggiunge: «Poi c'è quella subcultura che ci affossa, la stragrande maggioranza della popolazione vuole voltare pagina anche se deve fare i conti con quelli là». Lucio Greco difende il buon nome della sua comunità ma sa che la realtà è quella che è.

Nonostante la nave greca del V° secolo avanti cristo ripescata, in eccezionale stato di conservazione, a meno da un miglio della costa. Un gioiello della marineria greca. Altri due relitti sono ancora al largo, in attesa di entrare nel bellissimo museo archeologico della città. Storia antica e infamie contemporanee.

Gli indemoniati dei roghi

«E questa è Gela, è Gela con le sue tante identità, città di mare e di terra, città industriale e pastorale insieme, con una cultura assai diversa da quella della Sicilia interna», spiega lo scrittore Enzo Russo che è di Mazzarino, paese vicino e lontanissimo. Le tante identità (anche criminali) di Gela ne hanno sempre fatto una polveriera.

I vecchi boss della Cosa Nostra, che stanno tornando in libertà dopo avere scontato le pene subite nei processi di fine Anni Novanta. Gli scalmanati della Stidda, una mafia parallela che ha parecchio infastidito i padrini più blasonati. E poi la prateria selvaggia delle rappresaglie per i torti subiti. Un brutto voto dato alla figlia, un certificato non rilasciato in tempo, le spese condominiali non pagate. Lo stato (inteso come forze di polizia e magistratura) a Gela c'è. E’ il resto che manca.

Se per avere giustizia basta una mezza parola, bastano 50 o 100 euro per assoldare uno dei disperati che popolano i quartieri di Scavone o di Settefarine, le navi dell'epoca dorica potranno fare ben poco contro il fuoco. E contro gli indemoniati che lo accendono.

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