«Purtroppo in tutta l’area del milanese ci sono solo due letti liberi e quindi ogni giorno vengono trasferiti pazienti da Milano verso gli ospedali delle altre province». È il dato più preoccupante che emerge da una mail inviata dall’ospedale Niguarda di Milano due giorni fa, cercando di fare il punto sulle disponibilità dei letti nelle terapie intensive per malati di Covid-19 in tutta la regione Lombardia, dove risultano ricoverati 72 pazienti, di cui 54 intubati.

Una situazione particolarmente preoccupante visto il numero crescente dei contagiati a livello nazionale, che vede la regione amministrata da Attilio Fontana ancora tristemente in testa.

Lo scenario di marzo

Lo scenario è lo stesso di marzo, nulla sembra cambiato rispetto a qualche mese fa e gli ospedali più colpiti continuano a essere quelli della provincia, come Bergamo e Pavia.

Nelle stesse ore, il direttore generale del Welfare lombardo, Marco Trivelli, ha firmato una circolare dall’oggetto «indicazioni operative per l'epidemia da Coronavirus» in cui si dà notizia di un incontro che si è svolto il 13 ottobre con le direzioni sanitarie dei 17 centri chiamati a gestire il livello 1, ovvero i casi più lievi.

Nell’incontro «è stata confermata la necessità di rendere rapidamente disponibili da parte di tutti gli hub la dotazione di posti letto semi intensivi e di degenza per acuti, rispettivamente 400 e 1.000 posti letto».

(Foto: LaPresse)

Senza programmazione

La circolare mostra come anche questa volta in regione non ci sia stata alcun tipo di programmazione. Come a marzo, anche nella seconda ondata ci si è ridotti a inseguire l’emergenza, con una curva dei contagi che inizia a spaventare.

«Nelle ultime ore si è registrato un ulteriore appesantimento della pressione delle strutture ospedaliere soprattutto nell’area metropolitana, con conseguente difficoltà da parte del sistema di Emergenza urgenza extraospedaliera ad inviare i pazienti dal territorio agli ospedali», prosegue Trivelli nell’atto diramato ai direttori generali delle Aziende socio sanitarie territoriali, delle Agenzie di tutela della salute (le vecchie Asl), al direttore del 118 lombardo, ai direttori degli Irccs pubblici e ai legali rappresentanti degli Irccs privati, case di cura private, accreditate e a contratto.

Correre ai ripari

«La verità è che ci troviamo nella stessa situazione di marzo, non abbiamo imparato nulla», commenta la consigliera del Pd in regione Lombardia, Carmela Rozza. 

«Hanno smantellato le strutture Covid e oggi ci ritroviamo a dover correre ai ripari nuovamente, senza strutture neppure per l’isolamento dei pazienti con sintomi leggeri che oggi occupano posti letto ospedalieri».

Come in altre regioni, anche in Lombardia alcuni ospedali si stanno riconvertendo in nosocomi Covid, sospendendo nuovamente gli interventi programmati, lasciando un sospeso di prestazioni diagnostiche che si va a sommare a quello dei mesi scorsi per le altre patologie. La sospensione della normale attività ospedaliera è da «considerarsi propedeutica al passaggio dal livello 1 ai livelli successivi del piano ospedaliero, in funzione dell’evoluzione del quadro epidemico», nel caso le cose si dovessero mettere male.

(AP)

In cerca di un posto

Insomma, dagli atti e dalle mail che stanno circolando in queste ore tra gli addetti ai lavori la situazione si mostra nella sua gravità e il centro di coordinamento delle terapie intensive che oggi risponde dalle 8 alle 20, al momento non si occupa della destinazione dei pazienti. Questo vuol dire che chi ha la necessità di trovare un posto in terapia intensiva dovrà chiamare ogni singolo ospedale e vagliare la disponibilità di volta in volta.

«I ricoveri avvengono per contatto diretto tra ospedale spoke e hub di riferimento» che nella medicina moderna vuol dire che nella gestione delle patologie complesse l’ospedale periferico fa riferimento al centro di eccellenza regionale o di macro area, che dovrebbe indicare, in questo caso, dove si trovano i posti in terapia intensiva disponibili.

In queste ore, il comitato tecnico scientifico della Lombardia è impegnato a riattivare la piena operatività del Coordinamento delle terapie intensive che nei giorni bui di marzo e aprile ha gestito più di cinquemila chiamate.

Allo sbaraglio

Ai numeri in costante crescita si aggiungono anche le tensioni delle categorie professionali che lavorano all’interno degli ospedali, che qualche giorno fa sono scesi a manifestare a Roma. Si tratta degli infermieri che hanno annunciato uno sciopero per il 2 novembre, quando i livelli delle strutture sanitarie potrebbero essere di nuovo in codice rosso.

Quello che lamentano i sindacati Nursind e Nursing Up è che, a marzo, il personale infermieristico è stato mandato allo sbaraglio, inizialmente senza neppure i dispositivi di protezione, con grossi rischi per la salute personale nella gestione di un virus ancora sconosciuto, ma che adesso la situazione non sia migliorata.

(AP)

Finita la tempesta

A causa del Covid, solo in Lombardia hanno perso la vita più di 14mila persone, in questi numero ci sono tanti medici, infermieri e personale socio-sanitario.

«I medici che ho incontrato già lo sapevano che il rischio era quello che finita la tempesta, la gente avrebbe dimenticato quanto fosse stata grave ed oggi ci troviamo così, di nuovo, con le nubi nere sulla testa e un sistema in affanno, tra debolezze del territorio e un eccesso di ospedalizzazioni», commenta Tiziano Rugi, autore che da pochi giorni è in libreria con il saggio Bergamo anno zero, edizioni Round Robin, che in maniera feroce ripercorre lo shock vissuto dalla provincia lombarda durante l’emergenza e i traumi fisici e psicologici che hanno lasciato il segno sul personale impegnato in prima linea nella cura.

© Riproduzione riservata