A novembre il paesaggio fresco e verde dei pascoli delle Madonie sembra quello delle Alpi. Eppure, tutto quello che si vede è stato bruciato interamente poco più di tre mesi fa, durante l’onda di calore Lucifero che ha scatenato incendi in tutta l’area mediterranea orientale, dalla Turchia, alla Grecia, al sud Italia. I prati che circondano la cascina «sono bruciati come benzina» dice Antonio Raspante, mentre mi mostra nervosamente il perimetro della proprietà dove le recinzioni sono bruciate. «Non ho mai visto un fuoco di queste dimensioni». Ci tiene a spiegare gli effetti delle fiamme che ormai non sono più così evidenti ad autunno inoltrato, ma non meno desolanti. A metà agosto il nero carbone e il grigio cenere coloravano entrambi i versanti della vallata e il versante sud delle Madonie, a perdita d’occhio, avvolgendo cascine, fienili, case, fino oltre la linea del bosco alpino a più di 1400 metri di quota.

(Foto Davide Mancini)

Antonio Raspante ha 74 anni e vive nelle Madonie dal 1965, ovvero da quando ha lasciato Palermo per dedicarsi all'allevamento di bovini nei terreni di famiglia, nella cascina di inizio Novecento. Oggi le sue figlie portano avanti l'attività, allevando mucche e vitelli in pascoli estensivi e incontaminati. «Se non fosse stato per loro, questa volta avrei lasciato. Non avrei avuto la forza per affrontare tutto ciò». L'espressione di Antonio cerca di nascondere la voce rotta di un uomo dal carattere forte e nobile che, nonostante abbia formalmente smesso di lavorare, non dorme più notti tranquille. Non riesce a pensare ad altro se non a come evitare che accada di nuovo.

Le mucche sopravvissute si stanno riprendendo dal trauma delle fiamme. Anche se alcune di loro hanno partorito, a causa dello shock non hanno prodotto latte sano e, di conseguenza, i vitelli sono morti. In alcuni casi il fuoco ha rovinato le mammelle. Questi danni non sono risarcibili poiché non imputabili direttamente all’incendio e rappresentano una perdita economica per l’attività produttiva.

(Foto Davide Mancini)

Ecosistema in agonia

L’impresa familiare di Antonio ha perso un quarto dei suoi animali. Su un totale di ottanta vacche, cinque sono morte carbonizzate. Altre quindici si sono ferite gravemente: nel panico hanno provato a rompere le recinzioni con la forza. Sono state abbattute successivamente per evitare un'inutile agonia. «Abbiamo curato con pomate le mammelle e le zampe delle mucche, ma in alcuni casi le ferite erano troppo gravi». La parte inferiore degli animali è stata la più colpita perché la terra è diventata incandescente e gli animali non sapevano dove fuggire. Tra le fiamme e il fumo non si poteva capire dove fossero gli animali in preda al panico. È stato impossibile metterli in salvo. Le foto che mi mostra la famiglia di Antonio sono difficili da guardare. Il nero delle ustioni delle mammelle e delle zampe dei casi più gravi parlano da sé: non si poteva fare nulla per salvarle.

(La famiglia di Antonio ha perso 5 mucche su 80. Una quindicina è rimasta ferita negli incendi. Foto Davide Mancini)

Anche altri animali hanno sofferto per l’incendio, come spiega Marilina Barreca, responsabile provinciale di Coldiretti, la principale associazione italiana di agricoltori. «Le api di questa zona sono fuggite e sono andate perse; le arnie e gli alveari sono bruciati. È stato un duro colpo per la produzione di miele locale». Anche lei agricoltore e gestrice di un’azienda agricola, Marilina mi dice che i suoi animali da pascolo non possono più sfruttare quella parte di bosco dove solitamente, in inverno, trovavano rifugio dalla pioggia e dal freddo. La sua azienda è stata obbligata a fermare investimenti già programmati per aumentare il numero di vacche da latte. 

Il ruolo della mafia

L’incendio che ha colpito le Madonie è iniziato in diversi punti ed è diventato un unico grande fuoco. Come la maggior parte dei roghi occorsi sull’isola, è stato doloso. Un gesto intenzionale e pianificato, sul quale ci sono diverse ipotesi. La popolazione locale denomina questi fuochi come criminali, ma non si sa chiaramente chi siano i responsabili. Le Madonie sono una zona storicamente connessa a Cosa Nostra. Negli ultimi anni, alcuni clan hanno cercato di riorganizzarsi e riacquistare potere. Parlando con la gente di questi paesi, la sensazione è che tutti vogliano uscire dall’oscura presenza della criminalità organizzata. Eppure, per il momento, non sembrano esserci indagini in corso. Quello di cui tutti hanno certezza è che la crisi climatica si somma alle condizioni già dure delle aree rurali del Meridione d'Europa, a un’economia fragile fortemente basata sull’agricoltura che ne mette a dura prova il tessuto sociale. I periodi di siccità estiva stanno aumentando di anno in anno, così come anche le onde di calore come quella che ha investito il Mediterraneo sud-orientale, alimentando gli incendi. A causa della vegetazione e del sottobosco secchi, l’intero paesaggio risulta altamente a rischio. Ciò crea le condizioni per roghi di dimensioni mai viste prima nell’area. Inoltre, è da considerare che il tipo di fenomeni che si vedono oggi nel sud Europa arriveranno a coinvolgere anche l’area centrale del Continente. 

(Foto Davide Mancini)

Secondo le proiezioni, il 70 per cento della più grande isola italiana è a rischio desertificazione, per lo più l'area interna e meridionale. Il complesso montano delle Madonie e gli annessi monti Nebrodi, che costituiscono le montagne a nord dell'isola, sono, insieme al vulcano Etna, l'ultimo baluardo verde che potrà garantire l'approvvigionamento idrico della regione. Questi sono i polmoni verdi dell'isola, dove nascono le sorgenti che si diramano verso l'interno arido della regione, rifornendo l'agricoltura e i centri abitati. Per quattro secoli le Madonie sono state anche il punto di accumulo per il ghiaccio che veniva usato per fare il famoso gelato siciliano. Prima che fossero inventati strumenti meccanici, proprio su questi pendii veniva infatti immagazzinata la neve invernale in fossi scavati nella montagna. La neve veniva pestata per creare blocchi di ghiaccio. Quest’ultimo veniva poi tagliato dai 'nevaioli' in primavera, fino a estate inoltrata. Poi veniva trasportato il più velocemente possibile, di notte, con i muli, nei paesini vicini o in altre parti della Sicilia, sulla costa fino a Palermo, a 85 chilometri di distanza. Così venivano prodotti il gelato e le granite, ma il ghiaccio veniva usato anche per altri scopi medicali. Da qualche anno, però, la 'neviera' della Principessa, la più famosa fossa di accumulo, a 1880 metri di altitudine, non trattiene più neve fino all’estate.

Il clima mediterraneo si fa sempre più caldo, con siccità sempre più lunghe e piogge spesso torrenziali. «Ero qui il pomeriggio di inizio agosto quando le fiamme si sono alzate da Gangi (a cinque chilometri in linea d'aria). C'era un caldo anormale, con temperature intorno ai 42 gradi centigradi e la vegetazione, inclusi i pascoli, erano tutti secchi da due mesi. Con il vento Scirocco che soffiava forte, la linea del fuoco camminava veloce verso di noi. Ho capito che sarebbe arrivato». Alcune delle vacche sono state messe al sicuro, il genero e gli impiegati hanno cercato di scavare un solco nel pascolo per tagliare la strada alle fiamme, ma non è servito a nulla. Si sono chiusi nella cascina aspettando che Lucifero passasse. Dopo circa mezz’ora il paesaggio intorno era totalmente incenerito.

(Antonio Raspante, conosciuto come ‘il cavaliere' dalla gente locale, ha passato quasi sessant’anni della sua vita sulle Madonie. Foto Davide Mancini)

In quello che oggi sembra un pascolo normale, con le vacche sopravvissute che ancora portano un'aria inquieta, le conseguenze dell'incendio sono poco percepibili. Tutte le recinzioni sono bruciate. È per questo motivo che i tre impiegati stanno piantando di nuovo i paletti di legno che compongono le recinzioni su un’area di 300 ettari di terreno irregolare e non sempre accessibile dalle macchine. L'erba cresciuta di recente è ancora troppo corta per essere mangiata dalle vacche, e l'inverno, ormai alle porte, ne bloccherà la crescita. Così gli animali devono mangiare il fieno comprato da altre zone della Sicilia. La mancanza di alimenti per il bestiame è stata la prima emergenza affrontata subito dopo l'incendio. Alcune balle sono state mandate da altri agricoltori siciliani e dalle regioni limitrofe, in forma di donazioni e grazie a una campagna di crowdfunding. «C’è stata una solidarietà e un coordinamento sorprendente tra gli agricoltori della zona e del resto dell’isola. Le donazioni hanno permesso a chi aveva perso tutto di acquistare il fieno. Un contributo importante è arrivato anche dal Vescovo di Cefalù».

Un trauma collettivo

Il caso della famiglia di Antonio è solo uno tra i tanti agricoltori di questa vallata che è stato sconvolto dagli eventi di quest’estate e che sta facendo i conti con gli effetti a lungo termine delle fiamme. A ciò si aggiunge lo shock collettivo vissuto dall’intera comunità. Il fuoco è arrivato fino ai centri abitati dei paesi delle Madonie: molte persone sono state evacuate per sicurezza, come a Petralia Soprana, Gangi e Geraci Siculo, borghi medievali, tra i più belli d'Italia e che dipendono quasi interamente dall'agricoltura e dal turismo. Eppure, gli incendi nell'Europa mediterranea non sono un fenomeno eccezionale, bensì parte integrante dell'ecosistema. 

La crisi climatica sta mutando il clima del Mediterraneo più velocemente che in altre aree del mondo, con un aumento delle temperature del 20 per cento superiore al resto del pianeta. L'aumento della frequenza e intensità degli incendi è una conseguenza, al di là dell'origine dolosa o meno dei fuochi. In Sicilia, durante l'onda di calore Lucifero, si è raggiunta la temperatura più alta mai registrata in Europa: 48,8 gradi centigradi. Secondo lo European Forest Fire Information System (EFFIS), il gruppo di ricerca della Commissione europea per il monitoraggio degli incendi in Europa, in Italia sono stati persi 158 mila ettari nel 2021 (per dare un’idea, ciò equivale all'estensione dell’area metropolitana ed extra-metropolitana di Londra). 

La Sicilia è di gran lunga la regione più incendiata nel 2021, “accaparrandosi” la metà di questa area. Ma i fuochi in questa regione non sono una novità: «Ne ho visto tanti durante la mia vita, ma mai di queste dimensioni» racconta Antonio. Contemporaneamente, l'aumento delle temperatura del mare Mediterraneo, fa aumentare gli episodi pluviometrici estremi, come i Mediterranean Hurricanes, o Medicane, cicloni che assumono la forza e le caratteristiche degli uragani e che portano inondazioni lampo devastanti per il territorio, come accaduto a Catania recentemente. A differenza di quanto si potrebbe pensare, tanta pioggia concentrata in poco tempo accelera il processo di desertificazione, portando verso i fiumi (e quindi in mare) strati fertili del suolo. La stessa cosa succede per le montagne spogliate dal fuoco che vengono colpite da forti precipitazioni.

(Segni di degradazione del suolo. Foto Davide Mancini)

Mezzo secolo cancellato

«La pioggia che è caduta nelle ultime settimane non ha fatto bene alle aree colpite dall'incendio, perché il terreno non riesce ad assorbire l’acqua in così breve tempo». Gaetano La Placa, dottore forestale, si occupa della protezione e ripopolamento di un abete endemico di quest'area: l’Abete delle Madonie. Oggi ne sono rimasti solo 30 esemplari adulti. Oltre ad agricoltori come la famiglia di Antonio, anche il parco ha subito perdite enormi. Gaetano lavora per il progetto Life4Fir, un progetto LIFE, finanziato dall’Unione europea e coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Lo incontro mentre è occupato a realizzare un sopralluogo: analizza l'effetto che il fuoco ha avuto sugli esemplari di abeti, nativi ed esotici, nella parte boschiva del parco. «Cinquant'anni di politiche di rimboschimento cancellate in un giorno», afferma Gaetano, mentre raggiungiamo a piedi l'area del parco più colpita. Ha portato con sé qualche strumento per la misurazione e un quaderno dove contare gli abeti bruciati. È visibilmente abbattuto nel vedere l'estensione dell’incendio. Ma fortunatamente il rogo non ha ucciso tutti gli alberi e questo gli dà un po’ di speranza. Gaetano indica i diversi tipi di alberi del parco: quelli nativi e quelli che, invece, erano stati piantati in passato, quando non c’era ancora un’adeguata pianificazione forestale. 

Il dottore forestale conosce alla perfezione queste montagne, dove è nato e cresciuto. È determinato a conservare il patrimonio di questo ecosistema assediato da un clima anomalo e dalle attività umane. In effetti, l’azione congiunta dei due fattori possono letteralmente spogliare le montagne, come è accaduto alla cima del Pizzo Carbonara che indica all’orizzonte. L'incendio ha bruciato il 5 per cento del Parco delle Madonie - circa 2000 ettari. L’area si trova al lato opposto della valle dove si estendono anche i terreni della famiglia di Antonio. «Un albero non vale l'altro», dice Gaetano, prima di continuare: «Alcune specie sono pirofile, ovvero possono ricrescere facilmente dopo un rogo. Queste ultime contengono resine altamente infiammabili. Sono piante che si riprendono più in fretta di altre native con un ciclo di vita più lento», come l’abete delle Madonie che cresce molto più lentamente dei pini neri.

Purtroppo l'incendio ha bruciato anche una parcella vicino a Geraci che funzionava come vivaio naturale per 30 abeti delle Madonie di 10-15 anni - esemplari che avrebbero dovuto riprodursi e ripopolare l’intera area. La sfida di Gaetano e di tutto il progetto Life4Fir per la conservazione degli abeti autoctoni siciliani è ulteriormente ostacolata dai cambiamenti estremi del clima. 

(Gaetano nel parco delle Madonie per monitorare i danni dati dall’incendio sugli abeti. Foto Davide Mancini)

Dal punto di vista della biodiversità, le montagne delle Madonie sono una piccola isola alpina nel Mediterraneo, che poco a poco viene sommersa da un clima diverso.

L’isola compromessa

Per questo motivo le specie cercano di adattarsi come possono, ma non tutte ci riescono. Per esempio, il faggio - un albero che è sempre cresciuto a questa altitudine -, si sta spostando più in alto, alla ricerca di un ambiente più adatto. Sul monte Etna, questa piana è già ‘migrata’ a quota 2000 metri. Visto che le Madonie sono più basse, in questa zona rischia di scomparire. Le vette del Carbonara, la cima più alta delle Madonie, a 1,979m, si presentano spoglie, senza alberi. Ormai lo strato di terreno fertile è scomparso da generazioni, eroso dalla pioggia e dal vento. E dagli esseri umani che per secoli si sono procurati il miglior legname da queste foreste per trasformarlo in combustibile o materiale per costruire.

(Il fumo degli incendi. Foto Davide Mancini)

Cammino con Laetitia all’ingresso del Parco, in una mattinata nebbiosa che avvolge gli alberi bruciati. L’atmosfera è spettrale. «La Rosalia alpina è un coleottero raro, predilige le vecchie faggete di altitudine ed è a rischio per le stesse ragioni climatiche. In Sicilia abbiamo le faggete più a sud di tutto il Continente. Qui questo albero cresce soltanto a partire da 1300 m di altitudine, mentre nel nord Europa si trova già al livello del mare. Perché ha bisogno di freddo». Laetitia Bourget è francese e si è trasferita in Sicilia 12 anni fa. È guida naturalistica e lavora con il suo compagno Mario nel Parco. Insieme mostrano a chi è interessato le bellezze del parco, diventato ormai una vera e propria destinazione turistica. Laetitia si è innamorata del paesaggio e della cultura siciliana. Ma è stata un’adozione reciproca. Anche gli stessi siciliani vengono dalle città vicine, come Palermo: vogliono riscoprire queste montagne. 

Laetitia conferma che l'impatto degli incendi sono stati enormi: «Non solo per gli animali selvatici più grandi, ma soprattutto per la popolazione degli insetti che non possono spostarsi velocemente. La loro scomparsa, anche se meno evidente, ha delle ripercussioni importanti sull’intero ecosistema». Alcune tipologie sono endemiche della zona e rischiano di scomparire con il clima che si trasforma. Laetitia è volontaria dell'EBMS, lo European Butterfly Monitoring System (“Sistema di monitoraggio europeo delle farfalle), un database europeo al quale lei apporta informazioni sulle specie locali. La presenza o meno di certe farfalle viene tradotta in un indicatore sullo stato di salute dell'ambiente. «Le specie Parnassius, Polommatus e Hesperia vivono in altitude, a partire da circa 1600m. La’aumento delle temperature riduce sempre di più l'area dove trovano il giusto habitat (e in particolare le loro piante ospiti). A un certo punto, però non potranno più ‘salire di quota’», conclude Laetitia.

(Dopo gli incendi. Foto Davide Mancini)

Il compagno di Laetitia, Mario, è nato e cresciuto a Castelbuono, altro paese delle Madonie. Oltre a lavorare come guida turistica, si dedica all’estrazione della manna. Si tratta di una linfa che si ottiene da un albero, il frassino, e che viene usato come dolcificante naturale. È una tradizione che si tramanda da millenni. I greci e i romani la chiamavano ‘miele di rugiada’ o ‘secrezione delle stelle’. L’estrazione avviene tramite un incisione sul tronco degli alberi nel periodo estivo e la raccolta è molto sensibile alle oscillazioni meteorologiche. I produttori esistenti in questa zona sono una ventina. L’incertezza che devono affrontare in estate, tra il caldo eccessivo che blocca la linfa e le piogge improvvise che dissolvono la manna, mette sempre più in difficoltà i raccolti e l’attività economica che ne deriva.

Nonostante sia ormai in pensione e sebbene siano le famiglie delle sue figlie a portare avanti il lavoro dell’azienda, Antonio non riesce a stare troppo lontano dalla cascina e dall’allevamento. «I danni economici e il lavoro necessario per recuperare potrà essere compreso solo tra qualche anno: non è come cambiare un computer», dice Antonio. Il lavoro dell’azienda, per ora, continua nonostante lo shock subito. Oggigiorno, un’intera nuova generazione di agricoltori sta cercando di portare avanti la conoscenza antica di una vita in armonia con i ritmi naturali. Saper interpretare il clima da cui dipendono le coltivazioni e gli allevamenti fa parte di questa sfida. Ma il clima nei prossimi anni non sembra destinato a stabilizzarsi. Gli agricoltori delle Madonie dovranno per forza adattarsi alle temperature eccezionali e ai frequenti incendi. Di persone che, come Antonio sessant’anni fa, lasciano le città per andare a vivere e lavorare in aree rurali, se ne vedono sempre meno. Ma Antonio continua a parlare delle sue Madonie che ha visto cambiare nel corso della vita con la stessa passione e preoccupazione di sempre.

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