Matteo Salvini è concentrato a tal punto sulle trattative per il Quirinale che non ha avuto tempo per commentare l’ultima indagine per truffa che vede coinvolto il tesoriere del suo partito, il deputato Giulio Centemero, indagato dai pm di Genova insieme al suo predecessore, Stefano Stefani, e all’assessore alla Cultura della regione Lombardia, Stefano Bruno Galli.

Come rivelato da Domani, la procura di Genova ha inserito il nome di Centemero nell’elenco degli indagati, ma ha trasmesso gli atti alla procura di Milano. Al centro dell’indagine una presunta truffa realizzata dall’associazione “Maroni presidente” con i rimborsi elettorali della regionali 2013, vinte da Roberto Maroni che ha governato la regione fino al 2018 per poi lasciare il posto al suo compagno di partito, Attilio Fontana.

Ora i magistrati milanesi, che hanno ricevuto il fascicolo prima di Natale, dovranno valutare se proseguire con le stesse ipotesi di reato oppure cambiarle o, nel caso, archiviare tutto e chiudere così l’ennesimo capitolo giudiziario sui soldi della Lega.

Gli atti di Genova sono stati mandati al procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco, che ha in mano altri filoni investigativi sul partito di Salvini. Nel materiale spedito a Milano c’è molto di più, non solo gli indizi che hanno portato all’iscrizione per truffa di Centemero. «Molti documenti e tutti molto interessanti», rivela una fonte investigativa. Il tesoriere, peraltro, è imputato a Milano e Roma per finanziamento illecito.

49 milioni e oltre

Il materiale investigativo potrebbe puntellare l’inchiesta più importante in corso e coordinata dai pm di Milano: ci sarebbero una decina di indagati e la Guardia di finanza sta setacciando da mesi conti correnti anche grazie all’aiuto delle segnalazione dell’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia, che in tre anni ha inviato numerosi report sul partito sia ai pm di Genova che di Milano.

Tra le migliaia di pagine arrivata ai pm del capoluogo lombardo ci sono anche i primi report spediti all’epoca a Genova. L’antiriciclaggio nelle sue relazioni ha evidenziato le anomalie dei bonifici in uscita dalla Lega diretti a fornitori e da questi ai conti di professionisti con ruoli nel partito o a società a loro riconducibili. Il materiale adesso sarà studiato dai magistrati e dalla Guardia di finanza.

L’inchiesta sui fondi della Lega di Matteo Salvini è fatta di molti capitoli. Ognuno racconta un pezzo di questa storia iniziata con la truffa sui rimborsi elettorali, scoperta nel 2012, che ha portato nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi 49 milioni di euro. Per la truffa sono stati processati a Genova sia il fondatore del partito, che era anche il segretario, e il vecchio tesoriere Francesco Belsito. Alla fine i giudici hanno stabilito che il “tesoretto” doveva essere restituito, tutto, ogni centesimo.

Solo che alla guida della Lega non c’era più Bossi ma Salvini, che nel 2013 aveva preso in mano il movimento subentrando a Roberto Maroni. Salvini aveva risposto ai giudici: «La Lega non ha soldi». Ma poi aveva cambiato versione: «È stato speso tutto».

Ma le cose non stavano esattamente come voleva far credere il segretario che ha trasformato il partito in una forza nazionalista. Negli anni in cui Salvini cresceva nei sondaggi, a partire dal 2016, la Lega nord aveva denaro e lo ha usato per pagare lautamente decine di fornitori.

Lega più Lega

Alla fine del 2017 è nata la Lega Salvini premier, partito sovranista sganciato dalla vecchia Lega nordista. Sganciato, cioè, dalla bad company, con propri conti correnti e soprattutto senza la condanna a risarcire allo stato 49 milioni di euro. Le menti di questa strategia finanziaria sono i professionisti scelti da Salvini per amministrare i conti dopo gli scandali di Bossi e Belsito: il tesoriere Giulio Centemero e i suoi amici-colleghi, i commercialisti Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. A questi ultimi era stata affidata la gestione contabile anche dei gruppi parlamentari dopo la vittoria alle elezioni politiche del 2018.

«Di Rubba e Manzoni erano assolutamente convinti che il destino del nuovo partito andava radicalmente separato dal vecchio, in modo da evitare qualsiasi sorpresa negativa che poteva anche riguardare la vecchia Lega; mi riferisco in particolare al sequestro ottenuto dalla procura di Genova», è una passaggio del verbale di interrogatorio di un altro commercialista, Michele Scillieri, in affari con i contabili leghisti e coinvolto nell’inchiesta sulla distrazione di fondi della regione Lombardia. Indagine che ha portato alla condanna di Manzoni, Di Rubba e al patteggiamento della pena per Scillieri.

Il doppio partito, dunque, non tanto per convinzioni ideologiche, piuttosto per salvare il salvabile in termini di risorse finanziarie, sottraendole alla mannaia del sequestro. Dal notaio, per costituire il nuovo partito, c’erano i vertici della Lega: Salvini, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli, Giulio Centemero, Lorenzo Fontana, ha raccontato Scillieri.

Insieme ai tre commercialisti è stato condannato anche un imprenditore: Francesco Barachetti, che dal 2016 era diventato il fornitore numero uno della Lega nord e, successivamente, della Lega Salvini premier.

In tre anni ha incassato fatture dal partito e da società collegate per quasi 3 milioni di euro. Bonifici e centinaia di migliaia di euro che sono finiti sui conti della sua piccola azienda in provincia di Bergamo anche nel periodo in cui i giudici ordinavano alla Lega di restituire i 49 milioni di euro.

Ma non c’è solo lui. Anche un altro fornitore bergamasco, sempre amico dei commercialisti leghisti, ha incassato quasi due milioni di euro per servizi di tipografia. Le prime tracce di questi scambi di bonifici, dalla Lega di Salvini ai fornitori amici dei commercialisti scelti dal leader, si trovano in decine di documenti inviati alla procura di Genova, ora guidata da Francesco Pinto, che ha gestito il fascicolo della truffa dei 49 milioni di euro.

Dopo la sentenza sul raggiro dei rimborsi elettorali i magistrati genovesi avevano avviato un’inchiesta per capire che fine avessero fatto i 49 milioni. Quest’ultimo filone ha incrociato l’attività in corso a Milano sui commercialisti del partito. E da allora lo scambio di informazione tra le due procure è stato costante.

Sospetti alimentati anche dall’autorità antiriciclaggio, che ha segnalato come anomali i pagamenti del partito a un gruppo di piccole aziende tutte di Bergamo, terra dei commercialisti leghisti. Soldi che in buona parte finivano anche a società riconducibili ai professionisti messi a guardia della cassaforte del partito di Salvini.

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