«Ti ammazzo. Se vedo qualcosa in onda ti uccido», si è sentito ripetere quattro anni fa dal gestore di un bar di Taranto il giornalista Danilo Lupo, mentre insieme al videomaker Nicola Corraro, stava lavorando a un’inchiesta televisiva sui consiglieri comunali tarantini che si erano fatti assumere da parenti e amici per «scroccare i rimborsi di stipendio alle disastratissime casse municipali».

«Quando andammo a chiedere come mai la procura contestasse la falsa assunzione di Rosa Perelli, ex consigliera del nuovo centrodestra, il suo ex datore di lavoro aggredì entrambi», dice Lupo.

Il cronista ha denunciato tutto. «Non solo quell’aggressione andò in onda, ma tuttora prosegue il processo che vede imputato l’aggressore e in cui di recente sono stato chiamato a testimoniare», aggiunge.

Il coraggio di Pacella

©Andri Wyss

Che la regione Puglia non sia una terra ospitale per chi pratica il giornalismo d’inchiesta, lo conferma la storia della giornalista Fabiana Pacella. La giornalista ha subito finora otto querele, tutte archiviate, e ha un doppio procedimento tuttora in corso, a Roma e Milano, per essersi occupata, in particolare, degli affari che ruotano attorno al comune di Carmiano, in provincia di Lecce.

Un territorio complicato da raccontare dove l’ex sindaco dell’ente, Giancarlo Mazzotta, è tuttora imputato di estorsione aggravata dal metodo mafioso e siede tra i banchi del consiglio comunale.

Il suo nome è citato nel caso D’Alema e nella trattativa per la vendita di armi in Colombia, sollevato dalla Verità. «Il giornalismo è impegno, ho subito diverse intimidazioni verbali, anche in tribunale, da parte di un pregiudicato legato alla Sacra corona unita. Ho scoperto una microspia nella mia macchina e l’attività commerciale di mio padre ha subito diversi furti e danneggiamenti», dice Pacella.

La giornalista, qualche anno fa, ha portato alla luce una storia clamorosa denunciando e facendo arrestare per truffa i vertici dell’associazione Antiracket Salento, associazione per cui lavorava come addetto stampa perdendo così anche il lavoro. «Ma la cosa più brutta che ho subito rimane il sequestro di un servizio poi mai andato in onda», conclude.

Più si è soli, più si è esposti

Sulla condizione generale dei giornalisti, oggi, in Puglia, riflette il sociologo Stefano Cristante, professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università del Salento. «Le condizioni del lavoro giornalistico sono cambiate profondamente durante la pandemia. Il mestiere di giornalista è diventato ancor di più un mestiere individuale, solitario. E più si è soli e di più ci espone ai condizionamenti dei poteri», dice Cristante: «a tali problemi legati all’isolamento, poi, si aggiungono quelli atavici. Il precariato, che spesso provoca lo scadimento della qualità dell’informazione, è uno dei problemi più grossi».

«Nella sola provincia di Lecce esistono oltre 700 iscritti all’albo dei giornalisti pubblicisti. Una grossa percentuale di questi è gente che fa la fame, senza garanzie contrattuali, ma che non ha una coscienza di classe», dice un ex collaboratore di diversi giornali locali.

«Ci sono quotidiani storici che pagano i collaboratori sei euro e 71 lordi al pezzo. È ovvio che in tal modo la qualità dell’informazione ne vada a discapito», dice chiedendo l’anonimato. «Siamo diventati venditori di notizie», dice un altro giornalista che sceglie l’anonimato «per tutelare quelle poche centinaia di euro che guadagno al mese».

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