La realtà ha il passo felpato della tigre, non sai mai da dove ti arrivi, con i suoi artigli affilati, spesso a forma di carezza. Perché la realtà è più benigna di quanto si possa immaginare, ma alla nostra mente questa cosa non piace, alle orecchie ci spiffera in continuazione che è meglio non viverla, che basta lei e la nostra immaginazione. Vivere in assenza di realtà è il trionfo del male. Quello psicologico, interiore, che massacra in silenzio. Il male di vivere. Anche se sarebbe più corretto dire la paura di vivere.

Altro peccato diffusissimo tra gli assenti dalla realtà è credere alle narrazioni su di essa, crederci in modo totale, senza sentire il bisogno di un gesto empirico, una prova a supporto. Attenzione, le narrazioni sulla realtà che vanno per la maggiore sono quelle che la raccontano, guarda caso, come brutta e cattiva, che la frequentazione del mondo e dell’altro espone a rischi inevitabili. Questi narratori in cattiva fede ci dicono che possiamo affidarci a loro, dunque, saranno loro a dirci, e a orientarci, come si farebbe con un non vedente al quale va illustrato qualcosa che non può cogliere pienamente. Viviamo credendo pigramente, indolenti, ovviamente incattiviti.

La realtà è un’esplosione di forme e colori che fanno inginocchiare la più fervida delle fantasie. Ci prende per mano e ci porta dentro terre inesplorate, a contatto con l’altro, nella sua forma più straordinaria e attraente. Ci offre sconosciuti. Le loro storie, provenienze, drammi. Che epoca triste quella che fa di ogni sconosciuto un nemico. La nostra. Per la poca realtà vissuta, le tante narrazioni false ingoiate di continuo. Invece capita di ritrovarsi di fronte due ragazzi. Due nomi a caso: Jasmin e Jean-Pierre.

Lei palestinese, italiana di seconda generazione, il padre medico arrivato in Italia per studiare, purtroppo scomparso molto giovane, la madre maestra elementare in una scuola araba. Jasmin ha tre fratelli, i due più grandi sono professionisti, uno economista, l’altro medico, la sorella più piccola fa il liceo. Su Jasmin potrei dire tante cose, chi si prende il compito di narrare lo sa, potrei sfruttare il particolare morboso, o sentimentale. Ma narrare è una questione seria, per questo tenterò di farla vedere nel suo meraviglioso insieme. Una ragazza con gli occhi accessi, come il sorriso tanto veloce ad aprirsi quanto a incresparsi di malinconia, più forte di una condizione con cui fare i conti ogni giorno.

Jean-Pierre, invece, è libanese, anche lui di seconda generazione, ha due fratelli, entrambi inseriti nel mondo del lavoro, lui si è appena laureato in medicina e sta per iniziare la specializzazione. Jean-Pierre ha la bellezza della sua terra d’origine, la risata sorniona, ha fatto un percorso di studi semplicemente perfetto. Jasmin e Jean-Pierre si conoscono dal liceo, un’amicizia nata da un dato comune: la lingua araba. Anche se di religione diverse, lui cristiano lei musulmana, hanno tenuto viva la loro frequentazione, con alti e bassi, sino a oggi, che hanno venticinque anni.

I due sono addendi di una somma inaspettata e rinfrancante, risarcitoria. Due ragazzi che guardano al futuro con trepidazione, certo, senza però rinunciare nemmeno per un secondo a quella fiducia che alla loro età non può mancare. Fiducia non nel traguardo sicuro, non sono ingenui, ma nella bellezza dell’avventura da vivere.

Un bellissimo controcanto a tanti ragazzi della loro età che partono con una sfiducia invincibile, sconfitti in partenza, dentro un mondo che non intende concedergli né ora né mai la minima occasione. Perdenti per scelta, apatici, tutto sommato disinteressati all’avventura della loro vita.

Esistono e resistono

Eppure sono giovani, e italiani, allo stesso modo, anche se riflesso di vite e famiglie completamente diverse. Gli italiani di seconda generazione vivono tutta l’energia di chi vuole confermare a sé stesso e ai propri genitori uno status che sente ancora non del tutto acquisito. Il benessere occidentale, la tranquillità, dopo tante fatiche e sacrifici che loro sono chiamati a superare una volta per tutte. Dall’altra ci sono i figli di una tradizione oramai decadente, progressivamente incattivita, lo si è detto, dalle narrazioni che vogliono a tutti i costi trovare il nemico a cui attribuire la responsabilità dell’impoverimento dilagante e inarrestabile.

Ma questi sono discorsi che interessano il giusto. Quel che conta è che Jasmin e Jean-Pierre esistono e resistono veramente. Loro e il loro sorriso, la vitalità più forte di qualunque condizione di disagio, all’inseguimento dei loro progetti da realizzare. Ci raccontano di un paese che riuscirà a farcela se investirà seriamente sull’entusiasmo di chi vuole ancora dimostrare qualcosa, raggiungere un obiettivo. Per farlo dovrà rivedere i pregiudizi costruiti ad arte dai tanti narratori patetici che raccontano violentando la realtà.

Realtà come opportunità da cogliere, attraverso sconosciuti e diversi. Per quanto diverso può essere un essere umano da un altro essere umano.

Jasmin e Jean-Pierre sono pronti a dare consigli.

 

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