Tolleranza zero per i razzisti nel calcio. La condanna a 10 settimane di carcere, inflitta all’autore di commenti via social gravemente discriminatori nei confronti di tre calciatori di pelle nera della nazionale inglese, è un messaggio forte che giunge dal Regno Unito. Colpire l’odio razzista si può e in modo severo, anche quando si tratta di violenza verbale ma non fisica.

Rimanere indifferenti non si può è ciò andrebbe constatato anche in altri paesi dove l’espressione di odio razzista sui campi da gioco (ma non soltanto lì) continua a non essere sanzionata in modo deciso. Ci si indigna, si lancia campagne contro il razzismo, si eleva sanzioni contro le società di calcio, ma infine gli odiatori la fanno quasi sempre franca. Tanto più se questo odio razziale viene espresso via social, uno spazio che continua a essere trattato come una zona franca nella quale vige una molto malintesa libertà d’opinione e di parola.

In questo senso, dall’Inghilterra giunge un messaggio forte e chiaro: la parola non è sempre libera, specie se lede l’integrità e la dignità di una o più persone e le attacca facendo leva su caratteristiche personali come il colore della pelle.

Un video da 18 secondi

L’uomo che ha subito la condanna si chiama Jonathon Smith, ha 52 anni e nella vita fa il mestiere di guidatore di carrelli elevatori a Feltham, West London.

La sera del 11 luglio 2021, quella della finale degli Europei 2020 giocata a Wembley fra Inghilterra e Italia e vinta ai rigori dalla nazionale azzurra, Smith ha sfogato la rabbia per la sconfitta della squadra di Gareth Southgate prendendosela con i tre calciatori che hanno sbagliato le esecuzioni decisive dal dischetto: Marcus Rashford, Jadon Sancho e Bukayo Saka.

Tutti e tre ragazzi di pelle nera, ciò che ha spinto Smith a scegliere il registro razziale per sfogare la frustrazione. Nel corso di una diretta via Facebook durata 18 secondi l’uomo ha vomitato insulti razzisti contro i tre, come se la sconfitta della nazionale inglese dipendesse dal colore della loro pelle. Il video ha immediatamente suscitato indignazione. E secondo quanto ricostruito dalla stampa britannica, a segnalarlo alla polizia sarebbero stati anche conoscenti di Smith (colleghi e componenti della sua rete di contatti su Facebook), disgustati dal comportamento del carrellista.

Le indagini della polizia hanno permesso di accertare facilmente i fatti e ciò ha portato a una rapida applicazione della legge. Lo scorso martedì, a nemmeno 4 mesi di distanza dall’episodio, Jonathon Smith è stato condannato dalla Willesden Magistrates’ Court a 10 settimane di detenzione. Una pena esemplare, che fra l’altro è forse anche il frutto di una certa cattiva coscienza inglese per i fatti accaduti quella notte.

Si ricorderà quanto male venne accolta dal pubblico di casa la sconfitta della nazionale guidata da Gareth Southgate e quali furono le cadute di stile, con gli spalti che si spopolavano e gli stessi componenti della casa reale che andavano via mentre venivano premiati gli azzurri.

E nelle ore successive i video delle aggressioni subite dai tifosi italiani avevano aggiunto un tono cupo all’umore nazionale di quelle ore. La condanna di Jonathon Smith è un gesto riparatore anche rispetto a quel frangente in cui il paese aveva smarrito il controllo di se stesso proiettando all’esterno una pessima immagine.

Quanto razzismo c’è

Nella lotta contro il razzismo nel calcio l’Inghilterra si mostra sempre all’avanguardia. Talmente all’avanguardia da reprimere episodi che in altri paesi vengono minimizzati proprio per mancanza di adeguata sensibilità. Ciò che crea una situazione paradossale: il cumularsi delle denunce di episodi razzisti nel calcio fa sembrare che in Inghilterra l’emergenza-razzismo sia più elevata che altrove, quando invece a essere elevata è la soglia di non tolleranza e ripulsa verso atteggiamenti discriminatori.

Quanto più si diventa esigenti, tanto più si mostra inflessibilità verso episodi che altrove non suscitano particolare allarme perché ancora si stenta a contrastare quelli più eclatanti. In Italia, ma non soltanto in Italia, un video di 18 secondi caratterizzato da insulti razzisti avrebbe provocato indignazione e nulla più.

Questa constatazione serve a far capire quanto lavoro si debba ancora fare per scacciare il razzismo dal calcio, dunque dalla società nel suo complesso. Per i razzisti da stadio o da tastiera non basta il Daspo, bisogna andare oltre e reprimere in modo esemplare. Prima lo si comprenderà, meglio sarà per tutti.

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