Soltanto un “francese di carta”. È una velenosa etichetta quella che Karim Benzema si è visto attribuire da Stéphane Ravier, senatore della destra lepenista chiamato a dire la sua sul ritorno dell'attaccante in nazionale alla vigilia degli Europei. Il parlamentare marsigliese del Rassemblement National (RN, nuova denominazione del partito di Marine Le Pen) ha così commentato nel corso di un programma televisivo la chiamata, da parte del commissario tecnico francese, Didier Deschamps, di uno fra i calciatori più controversi del nostro tempo.

Eccellente per rendimento in campo, Benzema è stato più volte discutibile per molte vicende avvenute fuori dal campo. E soprattutto c'è per lui il fatto di essere un simbolo, suo malgrado, della doppia appartenenza da beur alla società francese. Lo status che continua a essere legato a una questione culturalmente e politicamente irrisolta nella coscienza profonda francese, al di là della retorica di cui proprio la nazionale di calcio è stata fatta strumento di propaganda dopo le due vittorie mondiali (1998 e 2018). La retorica della Francia plurale, che si accende nei mesi successivi ai trionfi internazionali dei Bleus salvo spegnersi nella disillusione quando, inesorabilmente, le fratture identitarie tornano a far sentire presenza.

Una vita turbolenta

È l'impossibilità di essere un calciatore normale. Karim Benzema la sta sperimentando una volta di più e anche in modo speciale, dato che speciali sono questi giorni per la sua traiettoria di carriera. Il centravanti del Real Madrid è stato richiamato in nazionale dopo sei anni di ostracismo. E a richiamarlo è stato lo stesso commissario tecnico che nel 2015 aveva deciso di escluderlo dalle convocazioni, anche a costo di compromettere le chance di vincere l'Europeo 2016 giocato in casa e perso in finale contro il Portogallo. Ma due anni dopo, ancora senza Benzema, il ct avrebbe vinto il mondiale di Russia spegnendo ogni ulteriore critica sulle scelte. Per di più, dopo aver ricevuto la certezza d'essere escluso sine die dalle convocazioni (l'ultima gara giocata in nazionale risale alL’8 ottobre 2015, amichevole vinta 4-0 a Nizza contro l'Armenia con doppietta dell'attaccante), Benzema accusò Deschamps di avere ceduto «a una parte razzista della società francese». Dichiarazione molto pesanti contenute in un'intervista rilasciata al quotidiano sportivo spagnolo Marca, con tanto di chiassoso titolo in prima pagina, che provocarono le reazioni avverse non soltanto da parte delle due Le Pen, Marine e Marion, ma anche dal ministro dello sport Patrick Kanner. E altrettanto vasto è stato l'appoggio a Deschamps, ribadito due anni dopo dal presidente della repubblica Emmanuel Macron alla vigilia dei mondiali 2018.

Del resto, i motivi che portarono all'ostracismo dell'attaccante erano ben noti e suscitavano vasto consenso riguardo alla decisione di escluderlo dalle selezioni dei Bleus. Su tutti, la squallida vicenda del video hardcore in cui veniva ritratto il compagno di nazionale Mathieu Valbuena, che per questo motivo è stato oggetto di un ricatto. In quella circostanza il ruolo di Benzema, che fece da mediatore fra Valbuena e i ricattatori, fu quantomeno ambiguo. Al punto da costargli nello scorso marzo il rinvio a giudizio, con processo penale che verrà inaugurato nel prossimo mese di ottobre presso il tribunale di Versailles.

Ma lo scandalo del video hard è soltanto uno fra i tanti episodi controversi in cui l'attaccante del Real Madrid si è trovato coinvolto. Fra gli ultimi, un like al post su Instagram scritto in data da Xhabib Nurmagomedov, daghestano di religione musulmana, campione di Ultimate Fighting. Erano i giorni dello shock causato dalla decapitazione del professor Samuel Paty, vittima dell'integralismo islamico perché accusato di aver mostrato in classe le vignette satiriche sul profeta pubblicate anno fa da Charlie Hebdo. In conseguenza di quell'episodio il presidente Macron lanciò un pubblico e fermo appello in favore della libertà d'espressione, cui Nurmagomedov rispose pubblicando una foto del presidente su cui era impressa la suola di una scarpa, accompagnata da didascalie in caratteri cirillici e islamici che parlavano di punizioni divine. Quel post raccolse numerosi like nel mondo del calcio, fra cui quello insospettabile di David Beckham. Ma a suscitare polemica, al solito, fu quello di Benzema. Una figura nei confronti della quale l'ostilità dell'opinione pubblica francese è stata sempre mediamente elevata negli anni più recenti e verso cui ancora nella prima decade di maggio Deschamps pronunciava parole che parevano non aprire spiragli. A chi gli chiedeva se fosse possibile rivedere l'attaccante in nazionale, rispondeva: «Non sono Babbo Natale». Cosa sia accaduto per fargli cambiare idea, non è dato sapere.

Il ritorno alla racaille 

A margine del suo ritorno in nazionale (celebrato martedì 2 giugno con la gara Francia-Galles e un rigore sbagliato), non poteva non ravvivarsi intorno a Benzema la polemica sul profilo identitario del calciatore. Figlio di immigrati algerini, l'attaccante non ha mai nascosto un certo attaccamento alla patria dei genitori né di sentirsi francese in modo molto tiepido. Per di più, Karim è cresciuto in uno dei quartieri più turbolenti della cintura metropolitana di Lyon: Terrallion, nella municipalità di Bron.

Oltre a essere ormai etichettato come “il quartiere di Benzema”, Terraillon è una delle Zones de Securité Prioritaires (ZSP) individuate nel 2013 dall'allora ministro degli Interrni, Manuel Valls, sulla base di una legge voluta l'anno prima dal primo ministro Jean-Marc Ayrault. Tale estrazione territoriale, con le amicizie pericolose che ne sono derivate, è stato uno degli aspetti più discussi sul conto di Benzema. Ma il tema più lacerante rimane quello della differenziata appartenenza: tiepidamente francese, sentimentalmente algerino. A questo aspetto ha fatto riferimento Ravier, che come molti personaggi pubblici variamente collocati a destra ha accolto male la notizia del ritorno di Benzema in nazionale.

Il senatore del Rassemblement National ha invitato l'attaccante del Real Madrid a giocare per la nazionale algerina, quindi ha piazzato l'affondo definendolo “français de papier”. Parole che hanno suscitato vive reazioni in Francia e offerto una vetrina internazionale a un esponente politico che, piazzandosi sul versante dell'ultradestra, è andato in direzione opposta rispetto alla tradizione di famiglia. Il nonno comunista e i genitori (padre elettricista, madre casalinga e italiana) socialisti non si sarebbero aspettati di vederlo nelle file lepeniste. Ravier non è nuovo a prese di posizione sbracate. Nel 2013, a chi gli chiedeva se ritenesse possibile legalizzare la cannabis, rispose che a quel punto si potesse legalizzare anche lo stupro, «che in fondo è un rapporto amoroso».

Poi provò a rimediare dicendo che si trattasse di una provocazione. Se lo dice lui. Di inequivoco c'è comunque la sua condanna per insulti sessisti rivolti alla senatrice marsigliese Samia Ghali, definita nel 2019 “Samia G., il punto G di Marsiglia”. Gli è costato un'ammenda da 1.500 euro, con sentenza emessa giusto pochi giorni prima della tirata contro Benzema.

Ma che il conflitto etno-culturale intorno alla nazionale di calcio francese stia raggiungendo picchi poco rassicuranti è confermato da un altro passaggio polemico. Tutto nasce dal fatto che l'inno di accompagnamento della nazionale francese agli Europei è stato affidato a Youssoupha, rapper di origine congolese.

Il suo “Écris mon nom en Bleu” ha diviso i francesi e indotto il presidente della federcalcio francese, Noël Le Graët, a una clamorosa dissociazione dalla scelta della sua stessa organizzazione. Ma il commento peggiore è giunto ancora una volta dall'estrema destra, autore il giovanissimo (classe 1995) vicepresidente del RN, Jordan Bardella. Che ha ripreso le antiche parole di Benzema (quando diceva che Deschamps avesse ceduto a una parte razzista della società francese) per dire che, permettendo a Youssoupha di cantare l'inno della nazionale, la Francia avrebbe ceduto “a una parte feccia”.

Ha dunque usato la stessa parola, “racaille”, con cui l'allora ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy, incendiò le banlieu nel 2005. A volte ritornano, come la spuma dei giorni peggiori.

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