Francesco e Leone sono, per il bene del mondo e della chiesa, due figure diverse: due storie umane e due personalità diverse. Anzi, diversissime, com’è naturale e auspicabile che sia. E ora è il tempo di seguire tutto con attenzione e senza tifoserie
Nella linearità continua delle successioni papali ogni vescovo di Roma rappresenta sempre una rottura. Così nei confronti di Francesco è anche Leone XIV, che martedì 13 – tornato a pranzo dai suoi agostiniani – ha voluto manifestare in un messaggio all’American Jewish Committee l’impegno a «continuare e rafforzare il dialogo e la collaborazione della chiesa con il popolo ebraico» avviati dal concilio.
Jorge Mario Bergoglio, come hanno mostrato sia il nome da lui scelto sia il suo modo di fare il papa, è stato una rottura assoluta in questa continuità che si fonda sulla dottrina cattolica, sulla sua tradizione e sul suo fondatore. Francesco era un nome inedito, letto come un programma e un progetto, e da più parti – soprattutto tra i media – è stato descritto come il segno dell’inizio di una nuova storia, di un qualcosa mai accaduto prima. In questo senso a molti tutto è apparso rivoluzionario, persino dire «buona sera».
Nel caso di Leone XIV tutto fa pensare invece che un’operazione simile, dopo 13 papi dello stesso nome, non sia neanche stata pensata. Prevost, come ha detto, vuole richiamare principalmente la memoria della «nuova questione operaria» che ha sfidato la chiesa alla fine del XIX secolo, così come oggi interpellano i cristiani altre sfide, di fronte alle quali solo un solido e coerente rapporto tra fede e vita può offrire risposte vere ed efficaci.
Acrobazie giornalistiche
Alcuni giornalisti usano parole, neologismi e acrobazie per garantire che tra Leone e Francesco c’è continuità, e anzi che Prevost sarebbe l’equivalente – nella vicenda di san Francesco – di frate Leone, presentato come l’uomo che avrebbe codificato sul piano giuridico le riforme del santo d’Assisi. Questa fatica è insensata, per il semplice fatto che sono storie del tutto diverse, a distanza di quasi otto secoli.
Quest’ipotesi, per la verità un abbaglio, è stata illustrata alla televisione italiana con notevole disinvoltura. È servita però agli ascoltatori più attenti per capire meglio quanto sia fuorviante cercare continuamente un parallelismo tra i due papi. Non solo è inadeguato, non è vero.
Francesco e Leone sono, per il bene del mondo e della chiesa, due figure diverse: due storie umane e due personalità diverse; anzi, diversissime, com’è naturale e auspicabile che sia. Si è visto che Prevost vuole fare il papa con metodi, stili e relazioni che lui sceglierà nel pieno dei suoi poteri e facoltà. Lo stesso ha fatto Francesco, ma allora si è cercato di enfatizzare mediaticamente la discontinuità con Joseph Ratzinger, peraltro più volte negata dallo stesso papa argentino.
Nelle prime parole pronunciate dalla loggia della basilica vaticana papa Leone ha proposto la sua lettura della missione ricevuta mostrandosi con spontaneità e immediatezza. Non c’era nulla di fittizio, come non c’era 12 anni fa con Bergoglio.
Spesso non si riesce invece a cogliere una verità storica indiscutibile: nel bene e nel male la chiesa cattolica ha sempre vissuto la discontinuità nella successione dei pontefici semplicemente perché fare il papa non è un mestiere che s’impara nelle migliori università del mondo.
Certo, è fin troppo evidente che alcuni giornalisti vorrebbero disegnare per Leone XIV un pontificato da incasellare in schemi prevedibili. Per alcuni, un moderato se non addirittura un tradizionalista, scelto per contrastare l’eredità di Francesco. Altri invece vorrebbero presentare Prevost come un progressista, che naturalmente dovrebbe codificare le riforme di Francesco.
Il tempo di capire
Quest’ossessione, che si ravviva molto in questi giorni, è come minimo imprudente. Tutte le persone sensate e in buona fede alle quali abbiamo fatto la domanda se piacesse loro il nuovo papa hanno risposto: «Al momento sì, e molto». In altre parole: bisogna seguire tutto con attenzione e senza tifoserie, capire e valutare. Non c’è nulla di più sbagliato oggi che fare i tifosi e cercare di arruolare altri da portare nella propria curva.
Questa abitudine, molto ricorrente negli anni di papa Francesco, nel giornalismo sia laico che cattolico, ha prodotto un enorme danno d’immagine al pontefice argentino.
Il modo di fare il papa, così come le tante belle sorprese di Francesco, non hanno per nulla inciso nelle riforme, in gran parte ancora attese. Il papato non è una recita o una scenografia teatrale.
Mentre gli storici studiano per cercare di capire, è meglio allora rinunciare alle mistificazioni e alle affabulazioni mediatiche, o almeno non fare lo stesso con Leone XIV. Se dal nuovo papa ci si aspetta il meglio di cui il mondo e la chiesa hanno bisogno, anche i cattolici dovrebbero avere uno sguardo sanamente disincantato, seguendo ogni parola e ogni gesto nell’evolversi del pontificato con un atteggiamento razionale, oltre i pregiudizi. Certo, tocca innanzi tutto ad alcuni cattolici chiudere la guerra civile che combattono almeno da sette anni, dopo il disastroso viaggio del papa in Cile.
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