«Ogni autoreferenzialità non è buona, non viene mai dallo spirito buono». Chissà se papa Francesco, parlando davanti ai Focolarini ricevuti in udienza sabato scorso, stesse pensando anche alla Comunità di Bose, che si appresta a iniziare un nuovo capitolo, una volta per tutte.

La Santa sede ha infatti concesso cinque giorni all’ex priore Enzo Bianchi per separarsi dalla comunità da lui fondata nel 1965 e trasferirsi nella pieve di Cellole, a San Gimignano, insieme ad alcuni suoi stretti collaboratori. È quanto riporta il comunicato firmato da don Amedeo Cencini, il delegato pontificio che ha sbrigliato la matassa di Bose con l’autorizzazione del papa. Ora a Bianchi e ai suoi collaboratori è stata affidata “in comodato d’uso” la sede toscana, che cessa così di essere una comunità distaccata di Bose dopo otto anni di attività: «Una decisione per noi ardua e carica di sofferenza, ma purtroppo inevitabile e non ulteriormente procrastinabile», recita il comunicato.

L’ultimatum della Santa sede a Enzo Bianchi non è una decisione presa dall’oggi al domani. Il 13 maggio scorso il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, invitava già l’ex priore e alcuni suoi stretti collaboratori ad allontanarsi dalla comunità, a seguito del malcontento di alcuni membri.

Prima del niet definitivo, Bose è stata per anni meta di svariate visite apostoliche. Una prima “visita fraterna” dell’abbadessa di Blauvac, Anne-Emmanuelle Devénche, risale al 2017, e ha portato alle dimissioni di Bianchi. La religiosa ha poi affiancato l’abate Guillermo Tamayo e Cencini in una seconda visita apostolica, terminata con l’ordine di allontanamento dell’ex priore.

Nei mesi intercorsi tra la lettera di Parolin e l’ultima, definitiva parola di Cencini, Bianchi avrebbe rifiutato di allontanarsi di sua spontanea volontà dalla località di Magnano per trasferirsi altrove, secondo quanto predisposto dalla Santa sede. Ora, però, è la stessa comunità che rinuncia a uno dei suoi cinque monasteri, purché Bianchi recida il cordone che lo lega a Bose. La nota vaticana, inoltre, impone a Bianchi e ai suoi “fratelli” il divieto assoluto di utilizzare i nomi di «Fraternità monastica di Bose, Monastero di Bose, o simili, nella pubblicistica, nella cartellonistica, nei siti internet»: per alcuni si tratta di una damnatio memoriae ingiusta ed eccessiva.

Enzo Bianchi, monaco, saggista e fondatore della comunità di Bose

La posizione del papa sui movimenti

Eppure, come indica l’elezione del priore Luciano Manicardi, la Santa sede non mette in discussione la dottrina, né la vita monastica della comunità, così com’è stata concepita dal suo fondatore. La lettera firmata da Parolin lo specifica: «La Santa sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento, che confidiamo infonderà rinnovato slancio alla nostra vita monastica ed ecumenica».

Ad alimentare il “mistero” di Bose è, piuttosto, il fatto che la documentazione raccolta fin dai tempi delle prime denunce sia ancora ignota. Ma il caso Bianchi rivela anche la debolezza del passaggio di testimone alle nuove generazioni da parte di un leader carismatico, protagonista del rinnovamento post-conciliare della chiesa e investito di ruoli pubblici.

Fin dai tempi in cui era arcivescovo a Buenos Aires, Bergoglio ha messo più volte in guardia dalla centralizzazione del potere di alcuni movimenti religiosi: tra gli anni Ottanta e Novanta, per esempio, le tensioni tra i vescovi latinoamericani e alcuni movimenti richiesero l’intervento delle Congregazioni romane. Per il papa, dunque, il vero nemico del carisma religioso è il potere carismatico, come amaramente ricordava nel 2018 parlando del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, caduto in disgrazia dopo innumerevoli denunce: «Il suo lungo governo personalizzato aveva in una qualche misura inquinato il carisma che originariamente lo Spirito aveva donato alla chiesa; e ciò si rifletteva nelle norme, nonché nella prassi di governo e di obbedienza e nell’impostazione di vita».

In otto anni di pontificato, papa Francesco ha visto esacerbarsi diversi movimenti religiosi, spesso soffocati da capi ingombranti: un aspetto denunciato con forza dal cardinale Christoph Schönborn che, rivolgendosi agli universitari di Vienna nel 2019, aveva parlato di «istituzioni chiuse» legate a fondatori visti come «leader carismatici». Di recente, i dossier sugli abusi nella chiesa hanno pesato sull’analisi di alcune realtà religiose, solo apparentemente stabili.

Le indagini su padre Jean Vanier, fondatore della comunità L’Arche, per esempio, sono l’ultimo di tanti casi emersi su scala globale, tutti accomunati da un rapporto tra fondatori assolutisti e ambienti omertosi, inclini a tollerare abusi. Significativo è l’elenco degli ordini religiosi investiti dagli scandali stilato dal gesuita Hans Zollner su La Civiltà Cattolica nel 2017: i Legionari di Cristo, la Comunità missionaria di Villaregia, il gruppo cileno di padre Fernando Karadima, per citarne alcuni. Per questo Bergoglio, pur rilevando la ricchezza di tanti movimenti religiosi in linea con la missione della chiesa contemporanea, mette in guardia dai pericoli di un’eccessiva autonomia che talvolta può mettere a repentaglio il carisma dello stesso movimento.

Con la lettera apostolica in forma di motu proprio Authenticum charismatis, Francesco ha così modificato la norma del diritto canonico e vincolato l’erezione degli istituti di vita consacrata all’autorizzazione della Santa sede: «Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti».

L’eredità del Vaticano II

In questo sentire armonico tra realtà particolare e chiesa universale, il caso della Comunità di Bose è coerente con la linea della chiesa guidata da Francesco.

Rivolgendosi a più riprese alla curia romana, il papa ha più volte parlato dell’abuso di potere come di una “piaga” che dà una contro-testimonianza. L’11 febbraio di otto anni fa, papa Benedetto XVI rivelava, nel gesto delle dimissioni, il messaggio rivoluzionario di chi rinuncia all’esercizio del potere per qualcosa di più grande: Bergoglio non può che tenerlo a mente nel rinnovamento della chiesa che si apre al tempo presente: «È meglio essere coraggiosi e affrontare con parresia e verità i problemi. L’autocelebrazione non rende un buon servizio al carisma».

 

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